Libri Rari & d’Occasione by Libreria Aiace Roma Montesacro

Trompe L'oeil

Trompe-l’œil: Tecnica pittorica che crea illusione ottica

Il trompe-l’œil ( letteralmente “inganna l’occhio” ) è un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell’osservatore l’illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale. Il trompe-l’œil consiste tipicamente nel dipingere un soggetto in modo sufficientemente realistico, da far sparire alla vista la parete su cui è dipinto. Ad esempio, il trompe-l’œil trova il suo campo nella rappresentazione di finestre, porte o atri, per dare l’illusione che lo spazio interno di un ambiente sia più vasto. Se ne hanno esempi già nell’antica Grecia, nella società romana e nelle epoche successive, fino all’arte contemporanea. L’espressione trompe-l’œil pare sia nata nel periodo barocco, sebbene tale genere pittorico sia di gran lunga precedente ( si rammentino, ad esempio, opere come la Camera degli Sposi del Mantegna a Mantova, o il finto coro di Santa Maria presso San Satiro a Milano, del Bramante ). Dal punto di vista tecnico, il trompe l’œil richiede un’assoluta conoscenza del disegno, delle regole prospettiche, dell’uso delle ombre e degli effetti di luce, oltre alla perfetta padronanza dell’uso del colore e delle sfumature, tecniche ben precise e rigidamente sottoposte a regole matematiche e geometriche per ottenere l’effetto voluto. Lo studio del punto di vista dell’osservatore rispetto al dipinto è fondamentale. Pertanto, subito dopo avere scelto la superficie su cui operare l’intervento, l’artista dovrà individuare i punti di vista privilegiati, ossia i punti di vista da cui generalmente si osserva quell’area. Per esempio, se si decide di collocare il dipinto sulla parete di una stanza che sta di fronte alla porta di ingresso, si costruirà l’opera pittorica in modo da “ingannare” la percezione visiva di colui che entra nella stanza. Se l’artista desidera creare un’illusione prospettica, dovrà inoltre collocare il punto di fuga dell’immagine pittorica in corrispondenza del punto di vista dell’osservatore. L’illusione ottica è particolarmente efficace se l’osservatore si pone al centro della stanza, in corrispondenza del punto di fuga. È fondamentale, per raggiungere il massimo dell’illusorietà pittorica, tener conto delle reali sorgenti luminose dell’ambiente, la loro natura e la loro direzione, in modo che il soggetto rappresentato appaia come illuminato da quelle luci. ( Wikipedia )

Prigionieri italiani nei campi di Stalin

Il ritorno dei prigionieri, tra la seconda metà del 1945 e l’estate ’46, avvenne per lo più nell’indifferenza generale: troppe erano le ferite da rimarginare nel paese; al Nord tutti avevano combattuto o sofferto la guerra civile; ovunque la gente era impegnata nella ricostruzione e non c’erano né tempo né moti di compassione per i reduci dai lager sovietici. Di quel periodo dà oggi un quadro generale, in una ricostruzione efficace e convincente, Guido Crainz. Ad attendere i rimpatriati, pressoché a ogni arrivo alle stazioni delle diverse città, c’erano i genitori e le spose dei militari “dispersi”, di cui non si avevano più notizie, che mostravano ai reduci le fotografie dei loro cari domandando se li avevano visti e se ne sapevano qualcosa.

Il problema dei prigionieri italiani in Urss determinò nella popolazione forti tensioni sin dai primi passi compiuti dal governo Bonomi nel Regno d’Italia liberato dagli Alleati, nell’estate 1944; il motivo stava evidentemente nella assoluta mancanza di notizie su tutti i dispersi, di cui non si sapeva se fossero ancora vivi e prigionieri o se fossero morti e dove. L’esame delle carte diplomatiche italiane da quell’anno 1944 fino al 1954, compiuto di recente, ha dimostrato che il governo italiano, pur nella frammentarietà delle notizie, era tuttavia a conoscenza con una certa precisione che i prigionieri detenuti dai sovietici erano in numero ben minore di quanto l’opinione pubblica italiana sperasse. La questione dei prigionieri in Urss era trattata con particolare cautela, sia per la precaria posizione dell’Italia, almeno sino alla definizione del trattato di pace, sia per la difficoltà di rapportarsi con uno Stato molto diverso per forma di governo, per costumi e per ideologia, che considerava i prigionieri di guerra (compresi i propri cittadini detenuti in quel momento da altre potenze) come traditori della patria indegni di qualsiasi forma di attenzione. ( Tratto da Biblioteca Persicetana )

 

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Uguaglianza e Lavoro: la Società ideale di San Leucio

Una vera e propria società ideale sancita dalle “leggi del buon governo” di quello che è noto come “Il Codice Leuciano” di Ferdinando IV Re delle Sicilie. Si tratta delle emanazioni reali che sancivano le modalità comportamentali degli abitanti della Real Colonia ispirate al dispotismo illuminato della fine del ‘700.

Il sito di San Leucio era stato acquistato dai Borbone come residenza di caccia ma Ferdinando, dopo la morte prematura del suo primogenito, lo adibì a sito per la lavorazione su scala industriale della seta. Oltre alle abitazioni per i lavoratori, il progetto prevedeva strutture educative e sanitarie. Una siffatta città ideale necessitava di un codice di leggi contenente i principi fondamentali che avrebbero dovuto guidare la comunità e favorirne il florido sviluppo. Fu così che nel 1789 nacque lo Statuto di San Leucio o Codice Leuciano, un chiaro esempio di dispotismo ispirato ad ideali di uguaglianza sociale e di solidarietà. Diverse fonti riportano che il codice fu redatto dall’intellettuale Antonio Planelli, appartenente all’entourage della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena.

Il Codice Leuciano è composto da 5 capitoli e 24 brevi paragrafi e descrive una società fondata sulla pari dignità tra i lavoratori e sul merito.

“Essendo voi dunque tutti Artisti, la legge che Io v’impongo, è quella di una perfetta uguaglianza”, si legge nel codice, l’unica distinzione tra i lavoratori è quella “che deriva dal merito”. “Nessun di voi pertanto – prosegue – sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrassegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest’oggetto per evitar la gara nel lusso, ed al dispendio in questo ramo quanto inutile, altrettanto dannoso, comando che il vestire sia uguale in tutti”. ( Tratto da CasertaNews.it )

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I Nobili Spiriti: Pascoli D’Annunzio e le Riviste dell’ Estetismo Fiorentino

I nobili spiriti cosí suggestivamente dipinti da Pascoli e assurti a dignità titolografica nel libro di Oliva sono i frequentatori del circolo culturale animato da Angiolo Orvieto intorno alla rivista fiorentina Marzocco; raffinati esteti rosi dal tarlo della poesia e della Bellezza , definisce l autore questi giovani intellettuali appassionatamente orientati al recupero di un ideale artistico epurato degli eccessi del tecnicismo positivistico. Vale la pena di seguire passo passo il dipanarsi dei capitoli per meglio comprendere metodologia, qualità e valore dell operazione analiticamente condotta dal critico. Le prime due sezioni del volume sono dedicate rispettivamente ai nuovi goliardi , giovani smaniosi di sapere, dediti al nomadismo intellettuale, che si muovevano tra storicismo e carduccianesimo, redattori della rivista da cui essi prendevano nome (il cui programma si leggeva nel fascicolo d apertura, 1877), seguaci del Bartoli, del Trezza, del D Ancona, e spesso non indifferenti al verbo socialista di Andrea Costa. Accomunati nel segno del ribellismo bohémien, generoso anche se un po folkloristico, e rinnovatori dell aria stantia di biblioteca , ce li dipinge un comprimario di quegli anni, Giulio Salvadori, che militerà poi nella fila degli animatori dei fogli romani sorti dietro l impulso del bizantino Angelo Sommaruga: raccolti in tre grosse divisioni, ripartiti in cento altre minori, sotto cento bandierine di carta, i ribelli furono in arme . Battaglieri contro gli sdilinquimenti della letteratura rosa di un Ferdinando Fontana, nemici del sentimentalismo deamicisiano, schierati a difesa di Carducci (di cui la rivista fiorentina ospita il Preludio delle Odi barbare) in opposizione ai suoi detrattori, tra cui il vate catanese Mario Rapisarda. Agiva in essi infatti anche l eredità degli studi severi di filologia ed erudizione di cui alti esempi Pascoli, D Annunzio e le riviste dell estetismo fiorentino 299 aveva fornito il poeta e critico cui facevano prevalentemente riferimento; eredità che trovava espressione nel prezioso lavoro informativo e divulgativo che tali goliardi dell età moderna svolgevano stilando schede, recensioni, presentazioni e sommari delle maggiori pubblicazioni periodiche italiane ed europee (di paleografia, linguistica, storia…), cosí ragguagliando i lettori sulle novità librarie, sprovincializzando cultura e gusto e preparando il campo per altri gruppi vitalissimi a Firenze, quello costituito dai redattori della Vita Nuova (Angiolo Orvieto, Giuseppe Andrea Fabris, Severino Ferrari, Ugo Fleres, Giovanni Marradi, Guido Mazzoni, Cesare Musatti, Giovanni Pascoli…), e quello del cenacolo del Marzocco  ( Tratto da Rita Verdirame )

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Il Mito di Merlino

Il mago e chiaroveggente Merlino ( in bretone: Merzhin, in gallese: Myrddin, in francese e inglese: Merlin ) è uno dei personaggi centrali del ciclo bretone e delle leggende arturiane. Fu lui l’artefice della Tavola Rotonda: grazie a un suo incantesimo, inoltre, Uther Pendragon giacque con Ygraine e così fu concepito re Artù. Fu ancora lui ad allevare Artù e condurlo fino all’ascesa al trono. Sua allieva (e rivale nelle versioni più recenti dei racconti arturiani) fu Morgana ( Morgan Le Fay ), un altro personaggio magico importante della tradizione arturiana.

Nella letteratura in lingua gallese vi sono in effetti due diversi personaggi di nome Merlino ( Myrddin ): Myrddin Wyllt ( Merlino «il Selvaggio» ), un pazzo nordico che non ha alcuna relazione specifica con il ciclo di Artù, e Myrddin Emrys ( Merlino «il Saggio» o Caledonensis ). La rappresentazione standard di questa figura comparve per la prima volta nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth ( 1136 circa ) ed è basata sulla fusione di precedenti figure storiche e leggendarie: Goffredo, infatti, combinò le storie esistenti su Myrddin Wyllt con i racconti su Ambrosio Aureliano per formare la figura che egli chiama Merlino Ambrosio. Fu proprio Goffredo a porre in relazione per la prima volta Merlin con la saga arturiana, di cui Merlino divenne in seguito uno dei personaggi più importanti.

La versione goffrediana di questa figura divenne subito popolare e gli autori successivi ampliarono poi questi elementi così da produrre un’immagine più completa del mago. La sua biografia tradizionale lo vuole figlio di un demone e di una donna mortale che alla nascita ereditò dal padre i suoi poteri. In alcune versioni delle leggende fu il consigliere di Artù fino a che fu imprigionato dall’allieva di cui era innamorato, Viviana (la Dama del Lago), mentre in altre egli se ne andò lontano per vivere felicemente con lei.

Se il pubblico moderno conosce Merlino secondo lo stereotipo del mago buono con cui viene rappresentato, tra l’altro, da Walt Disney ( nella Spada nella roccia ), molte fonti medievali forniscono di questo personaggio un’immagine ben diversa: egli appare inquietante, calcolatore, imperscrutabile, talvolta persino diabolico. ( Wikipedia )

 

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Libreria Aiace in via Ojetti 36 Montesacro Talenti – Roma

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

 

L’Emozione della Lettura by Libreria Aiace Roma Montesacro

Russia.San Pietroburgo

SOLOMON VOLKOV, SAN PIETROBURGO, MONDADORI, 1999

Solomon Volkov, attraverso i ritratti delle grandi personalità che vi hanno vissuto, l’autore traccia la storia di San Pietroburgo, una delle città più belle e affascinanti del mondo.

Data di fondazione della città è considerato il 27 maggio 1703 (16 maggio nel calendario giuliano allora in vigore), allorché Pietro il Grande fece iniziare gli scavi della fortezza dei Santi Pietro e Paolo sull’isola delle Lepri, al centro della Neva, in una zona paludosa e selvaggia, praticamente disabitata, dove il fiume sfocia nel golfo di Finlandia. Il nome originale di Sankt Peterburg era stato conferito in lingua nederlandese, poiché Pietro il Grande aveva vissuto e studiato sotto mentite spoglie nei Paesi Bassi per un periodo di tempo ed era divenuto un grande ammiratore della corte e dell’architettura nederlandese.

La città venne concepita fin dall’inizio come porto commerciale e base navale. Nello storico primo viaggio di uno zar nel mar Baltico, a bordo della fregata Standard, Pietro trovò adatta ad un’installazione militare a protezione del porto l’isola posta quindici miglia al largo della foce che presto diventerà Kronštadt.

Un po’ alla volta, nella mente del sovrano prese forma l’idea di una città vera e propria, costruita dal nulla, in una zona peraltro totalmente inospitale. Affidò così l’opera all’architetto ticinese Domenico Trezzini, che aveva da poco realizzato per Federico IV di Danimarca fortificazioni costiere e l’edificio della borsa, e ad architetti di scuola italiana.

La città finì per rappresentare per Pietro la fuga da tutto ciò che non sopportava della vecchia Russia e fu destinata ben presto a divenire la nuova capitale dell’Impero russo. In virtù della sua posizione era una “finestra sull’Occidente”, che permetteva scambi commerciali e culturali. L’obiettivo era tra l’altro quello di fare della Russia uno dei principali partner commerciali della Gran Bretagna. La città si prestava inoltre a divenire la principale base della marina di Pietro il Grande. ( Wikipedia )

 

ARMAND PUIG: I TARRECH, GESÙ, EDIZIONE SAN PAOLO, 2007 – RISPOSTA AGLI ENIGMI

Armand Puig i Tàrrech, nato a La Selva del Camp nel 1953, è professore di Nuovo Testamento presso la Facoltà di Teologia della Catalogna e sacerdote dell’arcidiocesi di Tarragona, dove dirige l’Istituto Superiore di Scienze Religiose SantFructuós. È codirettore del Corpus Biblicum Catalanicum e coordinatore della Bíblia Catalana Interconfessional, nonché autore di numerose opere di esegesi neotestamentaria e di storia medioevale. Presso le Edizioni San Paolo ha pubblicato Gesù. La risposta agli enigmi( 2008 ) e I vangeli apocrifi ( 2010 ).

Gesù di Nàzaret è esistito veramente ? Di quali documenti disponiamo ? I quattro vangeli hanno un fondamento storico ? E cosa nascondono gli scritti apocrifi ? Gesù ebbe davvero fratelli e sorelle ? Si sposò ? Conobbe la comunità essena di Qumran ? Cos’è il regno di Dio che predicava ? E chi erano, nella realtà, i suoi dodici apostoli ? Con instancabile rigore e un linguaggio accessibile a tutti, Armand Puig raccoglie, verifica e ordina gli infiniti indizi che decenni di ricerche hanno portato alla luce. Ne esce un racconto ponderato, storicamente fondato e di straordinaria solidità, che cambierà per sempre il vostro modo di leggere il vangelo.

Vranov, Slovakia. 2019/8/22. Icon of the Christ Pantocrator (Christ "Almighty" or "All-powerful" or "Ruler of All" or "Sustainer of the World"). The church of Saint Elijah. Convent of the Holy Trinity

CARL ARNOLD WILLEMSEN, L’ENIGMA DI OTRANTO, CONGEDO EDITORE 1980

Il mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto è eseguito tra il 1165 e il 1167 dal prete Pantaleone: l’unico superstite di una famiglia di pavimenti simili, di cui rimangono lacerti e frammenti nelle Cattedrali di Trani, Brindisi e Taranto.
Un’opera, questa del prete Pantaleone, al centro di una larga attenzione da parte di storici, filologi, iconologi per i numerosi e complessi problemi che presenta non solo sul painao tecnico e stilistico, ma anche su quello interpretativo e contenutistico.
La pluralità dei temi ispirati alle fonti bibliche, ai cicli mitologici, agli elementi della quotidianità, la stretta simbiosi di storia sacra e di storia profana secondo uno schema di periodizzamento riveniente da categorie teologiche; la finalità didattica e pedagogica, scandite secondo i canoni della Bibbia pauperum; i raffronti con un’area di intervento artistico che annovera le grandi e più eccellenti opere musive della Cappella Palatina e della Martorana a Palermo, della Cattedrale di Monreale e del catino absidale di Cefalù, fanno di quest’opus taessallatum un campo di rilettura sempre più suggestivo e affascinante.
Una rilettura che non può prescindere, oltre che dall’ambiente, dal particolare carattere del territorio idruntino teatro di esperienze culturali diverse, ellenistico-orientale, bizantina, nordico-occidentale, confluite, attraverso lunghi processi e ricorrenti stagioni, entro un preciso alveo di civiltà, dove lo stesso sincretismo originario è mirabilmente condotto a unità. ( Fonte: Congedo Editore )

 

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Libri & Letture

Aggiornato al 3 Febbraio 2024

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Il Piacere della Lettura by Libreria Aiace Roma Montesacro

Bibbia

M.H. ABRAMS, LO SPECCHIO E LA LAMPADA, Il MULINO

Riagganciandosi alle teorie organicistiche di Samuel Taylor Coleridge e studiando in particolare William Wordsworth ( di cui in qualche modo legittima in sede critica la grandezza ), Abrams dimostra che la poesia prima dei romantici era vista essenzialmente come specchio riflettente il mondo reale, per qualche tipo di mimesis, ma con l’avvento dei romantici la poesia fu vista piuttosto come una lampada che dall’interno del poeta rischiara il cammino ( in The Mirror and the Lamp ).

Un’altra sua tesi è che le teorie letterarie si dividono in quattro gruppi:

A) le teorie mimetiche (che mettono in relazione l’opera con l’universo)
B) le teorie pragmatiche (che si interessano della relazione tra opera e pubblico)
C) le teorie espressive (che guardano al rapporto tra opera e artista)
D) le teorie oggettive (interessate all’opera in quanto tale).

In Natural Supernaturalism (1971), con altrettanta autorità, Abrams riallaccia il Romanticismo al pensiero Cristiano e Neoplatonico, sostituendo il “Preludio alle Lyrical Ballads” con l’introduzione a The Recluse quale opera centrale del pensiero di Wordsworth, e spostando la visione del poeta-lampada verso quella del poeta-redentore che tenta di restaurare il divino.

In ogni caso, Abrams ha voluto vedere nel pensiero romantico inglese e tedesco una vera e propria svolta decisiva dell’Occidente. ( Wikipedia )

LA SACRA BIBBIA, CASA ED. SALANI, 1963

Il Vaccari fu il primo ad affrontare una traduzione in italiano della Bibbia dai testi originali»83. Fu il primo cattolico romano, ma lo aveva, seppur di poco, preceduto il protestante Giovanni Luzzi. L’iniziativa di traduzione del Vaccari fu suscitata da una richiesta di Pio X al Pontificio Istituto biblico, fondato nel 190984. Vaccari pubblicò una traduzione del Pentateuco nel 1923 e una dei libri poetici nel 1925. L’opera fu completata nel 1958, avvalendosi di altri collaboratori, con il titolo La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali con note a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma, presso la casa editrice Salani. ( Treccani )

La Bibbia è il testo sacro della religione ebraica e di quella cristiana.
È formata da libri differenti per origine, genere, composizione, lingua, datazione e stile letterario, scritti in un ampio lasso di tempo, preceduti da una tradizione orale più o meno lunga e comunque difficile da identificare, racchiusi in un canone stabilito a partire dai primi secoli della nostra era.

Diversamente dal Tanakh ( Bibbia ebraica ), il cristianesimo ha riconosciuto nel suo canone ulteriori libri suddividendo lo stesso in: Antico Testamento ( o Vecchia Alleanza ), i cui testi sono stati scritti prima del “ministero” di Gesù ( Nuovo Testamento ) che descrive l’avvento del Messia.

La parola “Testamento” presa singolarmente significa “patto”, un’espressione utilizzata dai cristiani per indicare il patto stabilito da Dio con gli uomini per mezzo di Gesù e del suo insegnamento. ( Wikipedia )

A. L. KROEBER, LA NATURA DELLA CULTURA, IL MULINO, 1974

Alfred L. Kroeber è una delle figure più rappresentative dell’antropologia culturale americana. La sua attività antropologica presenta una tale complessità di aspetti e di interessi da collocarlo senz’altro tra i classici di questa disciplina: dalle ricerche etnografiche sugli Indiani della California e del Sud-Ovest alle indagini archeologiche in Messico e in Perù, dalla ricostruzione etnologica delle aree culturali del Nord-America alla considerazione di diversi modelli culturali delle più importanti civiltà storiche, dall’analisi dei sistemi di terminologia di parentela di numerose società preletterate o di alcuni fenomeni della moda occidentale alla riflessione teorica sui più importanti problemi dell’antropologia culturale e specialmente sul concetto di cultura.

« La natura della cultura •, che rappresenta appunto una sintesi di tali temi e raccoglie una vasta serie di saggi scritti da Kroeber nel primo cinquantennio del ‘900, consente di ripercorrere le tappe fondamentali della ricerca di questo antropologo e di valutare gli esiti a cui egli è pervenuto nel suo lungo
itinerario intellettuale. E ciò è tanto più importante in un momento in cui, anche in Italia, l’antropologia culturale è costretta a ridefinire il proprio campo d’indagine e i propri metodi.

Nato nel 1876 a Hoboken, New Jersey, da una famiglia di origine tedesca, Alfred L. Kroeber visse gli anni della sua formazione a New York, dove frequentò il Columbia College. Fu tra i primi allievi di Franz Boas, che proprio in quegli anni dava vita in quell’università ad un importante centro di studi antropologici. Nel 1901 conseguì il Ph.D e si recò a Berkeley dove iniziò ad insegnare e collaborò all’organizzazione del Museo e Dipartimento di Antropologia. Nel 1946 Kroeber lasciò l’Università della California per recarsi come • visiting professor • in numerose altre università americane.
Morì a Parigi nel 1960.

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Libri & Letture

Libri Rari by Libreria Aiace Roma Montesacro Talenti

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J. OLESA, INVIDIA E I TRE GRASSONI, EINAUDI, 1969

Jurij Karlovic Oleša ( Elisavetgrad, 3 marzo 1899 – Mosca, 10 maggio 1960 ) è stato uno scrittore russo.
Esordì con versi ricchi di satira nel 1922 sulle rivista Gudok, Il fischietto, nelle cui pagine scrivevano anche poeti come Bulgakov e Petrov.

Nel 1927 diede alle stampe il suo primo romanzo Invidia, suscitando non poche polemiche nei confronti dell’establishment sovietico.

Rimane, quest’opera, insieme a pochi altri racconti, il capolavoro di Olesa. Le tematiche affrontate in Invidia spaziano nello scontro fra la civiltà meccanizzata e quella di massa, da lui tratteggiata con forti connotazioni negative e con un linguaggio che si riallaccia al cubofuturismo.

Sia questo capolavoro che I tre grassoni, romanzo per bambini scritto nel 1924 ma pubblicato solo nel 1928, hanno avuto molte riduzioni per il teatro a partire dal 1929.

 

L. GABALLO D’ERRICO, IL SALENTO A TAVOLA, CONGEDO EDITORE, 1990

MUSTAZZOLI

I mustazzoli sono dolci tipici del Salento ( Puglia meridionale ), della Calabria e della Sicilia, a base di farina, zucchero, mandorle, limone, cannella, miele ed altri aromi. A volte sono ricoperti da una leggera glassa a base di cioccolato. È tra i prodotti agroalimentari tradizionali siciliani riconosciuti dal ministero delle Risorse agricole.

Il termine deriva dalla lingua latina. Non dal latino mustum ( il mosto ) come si era pensato in principio, bensì da mustace, cioè alloro. In origine si preparava il mustaceum, una focaccia per le nozze, un dolce avvolto in foglie di mustace ( alloro ) che dava aroma durante la cottura. Da qui il proverbio loreolam in mustace quaerere, ovvero: cercare inutilmente nella focaccia le foglie di alloro che si erano bruciate nel forno.

I mustazzoli sono noti anche come: mustaccioli, zozzi ( a causa della glassa al cioccolato sulla superficie ), mostaccioli, mustazzueli, bisquetti, pisquetti, mustazzòli ‘nnasparati, scagliòzzi, scàiezzuli, castagnette.

 

LA DIVINA COMMEDIA ILLUSTRATA DA FLAXMAN, ELECTA 2004

Il volume riunisce e riproduce per la prima volta il corpus delle illustrazioni dantesche di John Flaxman conservate in taccuini di provenienza da musei inglesi e americani.

Il volume riunisce e riproduce per la prima volta il corpus delle illustrazioni dantesche di John Flaxman conservate in taccuini di provenienza da musei inglesi e americani, a tutt’oggi quasi del tutto inediti: l’omaggio di un grande artista inglese all’opera simbolo dell’italianità. Il grande disegnatore inglese (1755-1826) illustrò della Divina Commedia tutti i 100 canti, scegliendo per ognuno di essi un episodio. Il volume dedica a ogni canto una doppia pagina e riporta l’incisione definitiva, gli studi preparatori e le varianti, la trascrizione dei versi danteschi che lo stesso Flaxman aveva riportato sui suoi disegni, e un accurato commento critico. I testi che accompagnano le tavole di Flaxman e il puntuale saggio introduttivo sono di Francesca Salvadori, giovane studiosa e scopritrice dei taccuini di Flaxman. Il volume si avvale inoltre di una premessa di Carlo Ossola e di un’introduzione dello studioso inglese David Bindman. Un’opera di grande interesse, fascino e novità per gli appassionati di arte e di letteratura. ( Electa )

 

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Libri & Letture

I libri sono come macchine costruite appositamente per stimolare le emozioni

Fantasticare

Libri & Emozioni

I libri sono come delle macchine. Il loro obiettivo (almeno nella maggior parte dei casi) è stimolare le emozioni, e gli autori sono abili a fornire il carburante per raggiungere l’obiettivo.

La costruzione delle frasi ha come scopo quello di tenere il lettore incollato alle pagine, spesso grazie ad artifici stilistici che ci invitano a proseguire nella lettura. Siamo curiosi per natura, e l’istinto ci porta a sfogliare pagine per scoprire le evoluzioni della trama. Proprio per questo – ad esempio – spesso i personaggi più piacevoli si trovano in situazioni di pericolo: per stimolare empatia e mantenere alta l’attenzione. ( Book-to-Book )

Why do I always get so emotionally involved in a book ?

Books are machines built specifically to excite your emotions.  (Not all books, but almost all fiction and a large amount of non-fiction .) Authors spend their lives studying how to evoke and manipulate emotion and pour all that knowledge into their works. They even do it on the sentence level. Writing teachers urge their students to include some sort of hook in each sentence which will lure readers to the next one.

Common techniques include ending chapters with cliffhangers, which excites our instinctual need to know what happens next–instinctual, because learning results was crucial for our ancestors’ survival (e.g. when a tribe member ventured into a cave, his friends needed to learn if he emerged safely or got eaten by a tiger inside); putting likable characters in peril, which evokes empathy, another evolved trait; and lacing stories with surprise, which tickles our natural pattern-matching instincts by thwarting our conclusions.

There is also a natural process that changes the brain over time, as we get to know a person. It’s a large part of the engine behind friendship. If you just meet me once at a party, you’ll probably forget me afterwards or remember just a couple of funny, interesting, or strange things I said. But if you spend lots of time with me, you’ll grow brain structures devoted to simulating me and predicting my behavior.

This happens because we evolved as pack animals–as tribal creatures. Huge portions of our brains are devoted to social processing. There’s even evidence to suggest we unconsciously think about other people when our minds seem to be at rest, zoned out, not thinking about anything. Back in our tribal days, who was sleeping with whom, who was in charge, who was likely to betray you, and who would be most-likely to come to your aid were crucial bits of survival information.

We rely on those social brain structures to make judgements like, “Don’t talk to Sally about her mom. It really upsets her,” and when we’re picking a birthday present for Jonathan. You have a little sim of him in your brain. You mentally give the sim various presents, see which ones most delight it, and that’s how you decide what to get for the real-life Jonathan. It’s why you feel confident saying, “I knew you’d like this!”

Metaphorically, at least, you can say that someone you’ve grown used to has inhabited your brain. You hold a copy of him in your head–not an exact copy, but one that’s good enough to excite your intellect and emotions. This is why it’s so hard to let go of a lover who dumps you or a friend who dies. He’s gone but not gone. Your brain is still running his program.

Books, especially long character novels and biographies, can have the same effect. Read “Lord of the Rings” and you wind up hanging out with Frodo for a long time, long enough for your brain to start simulating him, even when you close the book. You can also create sims by rereading the same book over and over, throughout your life. Lots of people have complex simulations of Harry Potter or Jay Gatsby running in their heads. Once a sim starts running, it’s bound to affect you.

You will find yourself wondering what happens to fictional characters after the book is over. On a purely rational level, that makes no sense. After the last page of “Nicholas Nickleby,” there is no Nicholas Nickleby any more. There’s nothing that happens to him after the book is over. And yet there is, because there’s a Nicholas Nickleby program still running in your brain, still predicting what he’ll do, still exciting your empathy.

Books offer condensed social information. They are to our tribal and social concerns what candy is to the parts of our brains that crave fruit. Social crack. Also causal crack. We’re obsessed by anything social and causal, and books cater to those obsessions. Marcus Geduld

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Libri & Letture

Aggiornato al 27 Novembre 2023 

Pirandello – Il fu Mattia Pascal: la contraddizione tra essere e apparire

 Mattia Pascal

Luigi Pirandello

Con il romanzo “Il fu Mattia Pascal” un Luigi Pirandello non ancora quarantenne tratta un tema che sarà una presenza quasi costante nella poetica del suo teatro, quello della dicotomia tra l’essere ( noi stessi ) e l’apparire ( agli altri ).

Mattia Pascal si allontana volontariamente da Miragno, il paesino in cui vive, e dalla moglie; fugge da un ambiente nel quale ha cercato di affermarsi senza riuscirvi, “cosa avevo in comune con questa gente?”, e si reca a Montecarlo dove, assistito dalla fortuna e nel giro di pochi giorni, riesce ad accumulare una somma sostanziosa. Diventato ricco può tornare a casa ma, sulla via del ritorno, legge su un giornale la notizia del ritrovamento del suo cadavere: si è ucciso per dissesti finanziari. Comprende di avere la possibilità di vivere un’altra vita, “sono libero da Mattia Pascal”; si crea una nuova identità, Adriano Meis, e viaggia molto sino a stabilirsi a Roma.

Qui comprende, però, che il mondo e le relazioni che si è creato intorno sono fittizie, non ha un’identità, di conseguenza non può sposarsi con la donna che ha conosciuto, non può svolgere alcuna attività ufficiale, non può neanche denunciare un furto avvenuto ai suoi danni: per la società che lo circonda Adriano Meis non esiste. ”Avrei potuto costruire una vita nuova a modo mio” ma non può vivere la vita che vuole vivere, quella di Adriano Meis appunto; gli è imposta la maschera di Mattia Pascal, è prigioniero della vita, della trappola che gli è stata data.

Finge il suicidio – muore, così, per la seconda volta – e torna nel suo paesino dove scopre che la moglie si è risposata e non c’è più posto per lui; con l’aiuto del suo solo, vero, amico si rinchiude, allora, nella biblioteca comunale dove aveva lavorato e dove scriverà la sua strana vicenda imponendo l’obbligo di aprire il manoscritto soltanto dopo la sua terza, definitiva morte.

Mattia Pascal è l’emblema dell’uomo incapace di realizzare le proprie aspirazioni, prova a sfuggire ad una vita che non accetta e alla quale si ribella (l’oppressione della famiglia, il lavoro insoddisfacente) per costruirne un’altra a lui più congeniale. E’ una fuga dalla realtà verso un sogno, ma non c’è alcuna crescita: Mattia Pascal concluderà il suo cammino vivendo la sua terza vita nel suo paesino, isolato da tutti, condannato alla solitudine, chiuso in quella biblioteca dalla quale aveva provato a fuggire. E’ una sconfitta assoluta, totale. Ora sa che non è possibile liberarsi dei vincoli e dei rituali che ci impone la società creata dall’uomo, nella quale viviamo. Fuori da questi vincoli e rituali non è possibile vivere: la realtà annienta i sogni dell’illusione, l’aspirazione alla libertà di scelta. Questa è la condizione umana.

Tratto da Notizie Radicali: Oreste Bornisacci
“Il fu Mattia Pascal”: la contraddizione tra l’essere e l’apparire, tema caro a Pirandello

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AGGIORNATO IL 26 NOVEMBRE 2023

 

 

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