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the Human Voice

 

Una splendida clip de la LA VOCE UMANA. Thr Human voice  è oltre il cinema, è Monologo Teatrale, è performance d’arte. Interpretata da Tilda Swinton, il cortometraggio di Pedro Almodóvar è liberamente basato sull’opera di Jean Cocteau.

Narra di una donna che vede passare le ore accanto alle valigie del suo ex amante (che verrà a riprenderle, ma non arriva mai) e a un cane irrequieto che non si capacita che il suo padrone lo abbia abbandonato.

“Il testo di Cocteau alla quale è liberamente ispirata la sceneggiatura di questa human voice  – spiega Almodovar nelle note di regia – è una vecchia conoscenza che  era già servita di ispirazione in altre occasioni . Avevo cercato di adattarlo quando ho iniziato a scrivere Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, ma con il risultato di una commedia. Qui si percepisce tutto il dolore e il rischio dell’avventura di vivere e di amare . Racconta lo smarrimento e la sofferenza di due essere vivi che piangono la perdita del loro padrone. La voce umana è una lezione morale sul desiderio, non importa che la sua protagonista sia sull’orlo stesso dell’abisso.

La donna passa attraverso tutti gli stati d’animo, dalla desolazione alla disperazione e perdita di controllo. Si trucca, indossa un abito nuovo come per una festa, valuta l’idea di buttarsi dalla terrazza, fino a quando il suo ex amante la chiama al telefono, ma lei è incosciente perché ha mandato giù un cocktail di tredici pasticche e non può rispondere al telefono. Il cane la sveglia leccandole il viso. Dopo una doccia fredda, rianimata da un caffè nero, come il suo stato d’animo, il telefono torna a squillare e lei può rispondere.
La voce umana è quella di lei, non sentiamo mai la voce dell’amante. All’inizio della conversazione cerca di mostrarsi calma e di avere un tono normale, ma è sempre sul punto di esplodere di fronte all’ipocrisia e alla meschinità dell’uomo.

“Ho sempre pensato questo adattamento come una sorta di esperimento, un capriccio dove avrei mostrato ciò che a teatro si chiama la quarta parete, e, al cinema, equivale a mostrare la parte di dietro, cioè la struttura di legno che sostiene le pareti del set, la realtà materiale dietro la finzione”.

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La realtà di questa donna è il dolore, la solitudine, il buio in cui vive. Ho fatto in modo che ciò fosse palese, emozionante ed eloquente attraverso l’interpretazione (sublime) di Tilda Swinton, mostrando quasi da subito che la sua casa è una costruzione all’interno di un teatro di posa.

Mostrandola da ogni lato, uscendo dal set realista, e utilizzando lo spazio dello studio nella sua totalità, ho ingrandito, per così dire, le dimensioni della scena dove si svolge il monologo. Ho mischiato il mondo cinematografico e quello teatrale combinando le loro essenze. Ad esempio, quando Lei è sulla terrazza, aspetta e guarda la città, l’unica cosa che vediamo è una parete (la parete del teatro di posa) che conserva tracce delle riprese di altri film.

Non c’è uno skyline, il paesaggio urbano non esiste. Lei trova solo vuoto, assenza e buio. E mi permette di esasperare la sensazione di solitudine e oscurità in cui vive il personaggio.
Il teatro di posa dove abbiamo girato si trasforma così nel palcoscenico dove trascorre tutta l’azione, e la costruzione realista dove vive e aspetta la protagonista è parte, all’interno e all’esterno, della scenografia. Mostrare la struttura di legno che sostiene il set è come mostrarne la pelle.

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Un’opera fatta con tanta libertà ha bisogno anche del rigore nella messa in scena, quasi più che in altre opere. Non si trattava, ad esempio, di girare le riprese del monologo, di fare cinema nel teatro, di mostrare i riflettori, le macchine da presa, i cavi, insieme a tutti gli altri elementi del set. Non era questo. Tutto ciò che ho mostrato che non era realista serviva a rafforzare l’idea di solitudine e straniamento della protagonista, l’isolamento nella quale Lei vive. Dietro ogni stravaganza c’è sempre un’idea drammatica. Quando, con un’inquadratura dall’alto, appare tutto il set volevo mostrare la protagonista, piccola, chiusa dentro, come in una casa di bambole.
L’inizio, prima dei titoli di testa, funziona come il prologo di un’opera. I vestiti di Balenciaga mi hanno aiutato a creare questa illusione. La prima sequenza mostra una donna che aspetta, vestita in modo stravagante. Sembra una bambola dimenticata in un magazzino.

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La verità è che mi sono divertito molto con questo esperimento. Trasformare, ad esempio, un enorme fondale verde per il croma key, generalmente così brutti, in una sorta di sipario in stile operistico è stato stimolante, divertente ed emozionante. Accostarmi al film come ad una pièce di teatro da camera, un’opera sperimentale, mi permetteva di sbarazzarmi di piccoli pregiudizi rispetto ai mobili, gli oggetti di scena e la musica. Ci sono diversi mobili che sono apparsi in altri miei film. Lo stesso vale per la musica, ho proposto ad Alberto
Iglesias di sviluppare delle composizioni degli altri nostri film, adattandole al tempo e al mood de La voce umana. E così ha fatto, ad eccezione di qualche base elettronica, la colonna sonora si compone dei temi di Gli abbracci spezzati, La mala educación, Parla con lei e Gli amanti passeggeri, rivisitati in funzione di questo film.
Prima di iniziare avevo molte idee estetiche pratiche, ma La voce umana è soprattutto un testo e un’interprete. Mi è costato adattare il testo a me stesso, ma avevo bisogno di un’interprete eccezionale che apportasse verità ed emozione alle mie parole. La mia versione è più astratta di quella di Cocteau (dove tutto è più riconoscibile e naturalista), questo la rende più difficile da interpretare, nasce avvolta da artificio, con pochi appigli nella realtà a cui appoggiarsi, la voce dell’interprete è l’unico elemento di raccordo che occorre rispettare, è l’unica guida di cui dispone lo spettatore per seguire senza sussulti la storia. Mai come in questo capriccio avevo bisogno di un’interprete eccezionale. E l’ho trovata, con tutti gli attributi sognati, in Tilda Swinton.

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 Credo che questo cortometraggio abitato, dall’inizio alla fine, esclusivamente da lei dimostra la sua ampia gamma di registri. Per il cast tecnico è stato un vero regalo sentirla parlare e vederla muoversi sul set. La sua intelligenza e la sua buona disposizione mi hanno reso il lavoro molto più facile: in particolare, oltre al suo enorme talento, la sua fede cieca in me. E’ un sentimento che noi registi sempre sogniamo e il suo semplice avverarsi ti fa crescere.
Della luce è tornato ad occuparsi, ancora una volta, José Luis Alcaine, l’ultimo grande maestro della luce del cinema spagnolo. Il mitico direttore della fotografia de El Sur, il capolavoro di Erice. Tutta la gamma dei miei colori preferiti è rappresentata sulla scena, ma dopo otto film, Alcaine è chi meglio conosce la mia preferenza per i toni saturi e i colori vibranti, la mia nostalgia del Technicolor.
Per la seconda volta, dopo Dolor y gloria, Teresa Font ha realizzato il montaggio, con il suo entusiasmo e l’efficacia abituali. E Juan Gatti ha ideato i titoli di testa, i crediti e la locandina. Alla guida, la mia famiglia di El Deseo, la nostra casa di produzione, con un’invitata d’onore, Tilda Swinton. Spero che questo film vi diverta come ci siamo divertiti noi a farlo.

 

Pedro Almodovar 

THE HUMAN VOICE Almodovar supera il concetto di cinemaultima modifica: 2020-09-08T08:12:26+02:00da Dizzly