A mio figlio

Non siamo più gli stessi.

Una volta potevamo dirci tutto a dispetto del gap generazionale.

Ci lasciavamo andare a confidenze, reazioni emotive, piccole irrazionalità

Senza paura del giudizio dell’altro.

Certo, il fattore  distanza, di spazio e di tempo, gioca a sfavore

ci priva della fisicità, della mimica, delle sfumature.

Inoltre ci sono altre presenze nella tua vita.

Non so se tutto questo può aver avuto un peso

Ma certo  è che siamo cambiati.

Tu soprattutto.

Io mi sono adeguata, com’è giusto che sia.

Percepisco una certa disistima

Talvolta mi fai sentire un po’ patetica

Mi costringi a pesare prima le parole e gli argomenti da affrontare

e mi spingi a ricompormi se esco dai ranghi.

Ma chi se ne frega dei ranghi!

A chi posso confidare, se non a te, quelle piccole debolezze

quei sentimenti poco onorevoli, che ogni tanto spuntano

ma che dovrebbero nascere e morire in una stanza, per quanto virtuale

e finire con una risata complice?

Mi dici di non offendermi.

Non mi offende, ma mi rende triste.

Questo è certo.

Ho perso una parte di te che forse non riavrò più indietro.

Proprio ora, dopo quest’ultima frase, è come se mi sentissi addosso

il tuo sguardo di compatimento.

Tutto questo lo terrò per me

perché so già che se te lo dicessi finiresti per tacere

dei pensieri che mi riguardano

e che comunque nella tua mente esistono.

 

Per non ferirmi.

 

 

unnamed (1)

A mio figlioultima modifica: 2020-11-26T15:56:31+01:00da surfinia60

7 pensieri riguardo “A mio figlio”

  1. Sono certa dell’affetto si mio figlio. Anzi, credo che a volte il suo silenzio sia il suo modo di proteggermi dai suoi pensieri negativi. Qualche battutaccia ancora me l’allunga, sul mio non saper invecchiare, sul mio modo ancora adolescenziale di reagire a certe situazioni. E’ un po’ spietato a volte, ma poi passa. 🙂 Grazie ancora

  2. Noi mamme che…
    dovremmo essere semplicemente orgogliose di vedere i nostri figli farsi uomini o donne. Testimonierebbe che siamo state in grado di dare loro le ali per volare. Ed è per questo che mi riesce difficile pensare ai loro sguardi di compatimento o peggio di distima. Loro sono cresciuti, anche grazie a noi, ai nostri confronti, ai nostri “no” e ai nostri atti di infinita fiducia. E proprio per questo non dobbiamo rattristarci, ma saper recidere quel che resta del cordone ombelicale e gioire della loro indipendenza. Continuando a confrontarci, però.

  3. Per quanto ci possiamo sforzare il rapporto con i figli rimane una incognita che quasi mai ha una risposta su cui possiamo contare per capirli ed, in fodo, capire noi stessi come parte di loro in loro. C’è un punto di non ritorno in cui capisci che quella strada, che fino a poco prima avevi percorso e condiviso con loro, non sarà più la stessa lasciando spazio a ricordi ed una specie di solitudine conservativa. Siamo stati figli anche noi e spesso ci dimentichiamo che quel distacco lo abbiamo cercato e voluto anche noi con forza per illuminare le quella diverità che ci rende unici e diversi dai nostri genitori. A noi, forse patetici sognatori, non rimane quel senso di inadeguatezza e qualche rimpianto con il quale non vorremmo più avere a che fare. Lasciarli andare per la loro strada è l’unico modo che abbiamo per renderli uomini e donne capaci di continuare a vivere e trovare un giorno la forza di essere come noi: pateticamente emotivi!
    Un abbraccio, Pietro

    1. Caro Pietro. Ciò che ha reso speciale il rapporto tra me e mio figlio sono i trascorsi, le difficoltà, le crisi, la disperazione dei momenti che parevano irrisolvibili. Il dialogo non è mai mancato, neppure quando da ormai diversi anni ha scelto di vivere altrove. Ormai è un uomo con una sua famiglia, il suo lavoro e le sue responsabilità. Ha sempre condiviso tutto con me. Le nostre telefonate e le mie visite quelle 4/5 volte l’anno quando ancora si poteva hanno tenuta viva la nostra complicità che va oltre lo stereotipo del rapporto madre figlio. Adesso qualcosa si è rotto. Non so cosa e non ne so il motivo. E neppure lui conosce del tutto l’origine del suo malessere. Non vedersi di persona è molto limitante. Manca tutta quella parte del linguaggio del corpo. Posso dire che l’amore c’è, e finché c’è quello tutto si risolverà. Un saluto

  4. Qualcuno sosteneva che il sublime affatica, il bello inganna e che solo il patetico è infallibile )almeno nell’arte). Io però credo che ci sia una bella differenza fra il patetismo e l’emotività, anche se talvolta il confine, soprattutto quando lo sguardo si appanna con le lacrime, può ingannare e sembrare labile. In realtà, però, non è così facile scambiare una manifestazione emotiva autentica da un atteggiamento patetico e la formula potrebbe essere banalissima: il patetismo sta all’emozione come il sentimentalismo al romanticismo. Se le tue espressioni emotive sono vere, anche se estremamente “fuori dai ranghi”, allora non sei affatto patetica. Perché patetismo e sentimentalismo sono soltanto le caricature artificiali, pretenziose e vuote del sentimento. E d’altro canto, anche il comportarsi in ogni istante della vita restando immancabilmente e prevedibilmente sulle righe, con moderazione e decoro, non è una grande alternativa… La scelta non dev’essere per forza tra essere noiosi ragionieri dogmatici (e non parlo della professione), in controllo maniacale del pathos alla Furio di Verdone, o gli eroi melensi della peggiore soap opera mai trasmessa. Esiste anche una razionalità fluida e ricca che sa convivere benissimo con i propri eccessi e le proprie fragilità e le fa diventare fascino, complessità, bellezza.

  5. Quando questo avviene, è una cosa terribilmente triste. Non vorrei mai che mi succedesse, nè da figlio nè come genitore (vabbè, ma si parla di fantascienza)

I commenti sono chiusi