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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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Agosto

Post n°121 pubblicato il 02 Aprile 2007 da falco58dgl
 

Dedicato all'estate (quelle trascorse e quella in arrivo)

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Mi piace questo agosto torrido e appiccicoso che fa sudare anche se rimani immobile, che svuota la città rendendola simile a un quadro di De Chirico e  proietta ombre bollenti dai porticati e dai tetti delle case. Il pensiero mi sorprende mentre salgo su un tram, mi siedo su uno dei tanti sedili liberi sbirciando la città da uno dei finestrini e avverto una macchia di sudore che si allarga sul petto.

Mi piacciono le ore pomeridiane, quando il sole ti sferza, quasi guardandoti in faccia e ne avverti il calore diretto, non mediato dall'oscurità o dal crepuscolo.  La notte invece porta con sé  il peso della calura e fa trasudare dalle pietre e dall'asfalto grumi di afa che sembrano penetrare  nelle ruote delle vetture, nei piedi e nelle gambe dei passanti, rendendo molle il passo ed incerta l'andatura. Ma adesso sono solo le tre del pomeriggio e accolgo ogni refolo di brezza, ogni movimento dell'aria come una promessa di frescura  che il declinare del giorno renderà illusoria e debole.

Propriano, il golfo di Valinco e il suo mare tiepido. La ricerca dell'ombra sotto pini marittimi, lo sguardo che vaga dalla costa ai rilievi  montuosi, le sigarette che bruciano torpide, il corpo che si screpola di sale e che cerca una posizione comoda comprimendo sabbia e foglie, rametti e ciotoli. Quel tramonto così diverso  che si placa in  contemplazioni assorte, tra un bicchiere di birra  e l'attesa di una doccia tiepida che si conclude con un getto gelato.

Quel benessere che ti prende quando sali in macchina, dopo sei ore di spiaggia e di mare, spalanchi i finestrini e vieni colpito dall'aria che entra  e  che ti accarezza sul petto, sullo stomaco, sulle braccia, mentre i piedi nudi, ancora insabbiati, cercano il contatto con il tappetino del sedile e le gambe formicolano di stanchezza e  di sole. Un goccio di acqua e poi via, verso la strada che segue il contorno dei promontori o se ne allontana per attraversare una campagna fertile e verdeggiante.

La voglia di bere, di ingerire liquidi diversi. Non è sete, arsura. E' desiderio di creare il mare dentro di sé, di lavare il corpo dall'interno, di purificarlo con il fuoco e con l'acqua. Il succo d'arancia con particelle di polpa, la birra corsa alla castagna, l'acqua minerale salata come fosse acqua marina, il nettare di ananas che richiama altre latitudini, il vino bianco che accompagna le cene ed i piatti di pesce e verdure, l'acquavite grezza  che esplode nel palato. Più a sud, il mirto aromatico e un liquore di limone cremoso e denso. C'è un nesso tra la terra e le bevande, mi sembra di conoscere i luoghi attraverso il sapore dei loro liquidi.

Il tram gira verso la grande piazza che appare percorsa da presenze casuali. Un ragazzo gesticola come  un attore di teatro parlando al telefonino, un giovane cammina deciso al sole quasi volesse sfidare la calura con la volontà  e la determinazione, un gruppo di ragazzi rimane all'ombra schiacciato dalla temperatura. 36 gradi, il display del termometro indica le 15 e 13, un breve sosta, 37 gradi. Imbocchiamo via Po, attendo di vedere il fiume ridotto ad un ammasso di pietre affioranti  e rivoli d'acqua che ne delimitano le estremità, mentre la parte centrale sembra una discarica di rifiuti ed animali indecifrabili che corrono e nuotano in un pantano.

Villanova Monteleone, la percezione dell'infinito. Un'estensione di terra sterminata da ogni possibile punto di osservazione, montagne, mesete e querce da sughero che sembrano non finire, a 360 gradi. La costruzione color albicocca nel centro della valle. La sensazioni di trovarsi in un angolo di America trapiantato nell'entroterra sassarese. La parlata aspra e franca, l'ospitalità  di persone che hanno piacere di accoglierti, di parlare con te. Lo sguardo incredulo di mio figlio nello scrutare tutta quella distesa di bellezza. I cavalli, le pecore, i rilievi ondulati, i girasoli, il patio, la sensazione di essere arrivati nel luogo "giusto", un luogo che si rivela,  svela desideri non detti che affiorano nel momento di incontrarlo. Una cucina magnifica, dai sapori forti ed insieme dolci, sfumati e taglienti. Le serate trascorse ad inseguire frammenti di passato, a godere della brezza,  a  bere acquavite violenta o mirto fresco ed odoroso, la contemplazione del cielo, di quei segni misteriosi che punteggiano la volta celeste. Lo scogliera altissima che termina in una roccia piatta cosparsa di ricci e telline e lambita dal mare, dentro cui ci si tuffava con il piacere erotico di essere accolti in un utero fresco. Gli spostamenti in automobile alla ricerca di calette   e spiagge ombrose o di paesi  sconosciuti, terre di cavalieri acrobatici, campi di grano e silenzio. La sensazione rassicurante dei giorni che passano ad inseguire nuovi modi di  gioire, il dispiacere del ritorno su un traghetto con l'aria condizionata troppo forte.

Scendo dal tram e sono avvolto da un 'ondata rovente. M'incammino verso il lavoro e penso che Agosto è un bel mese per conservare i ricordi.

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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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