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Il Papa e i soldi

Post n°319 pubblicato il 09 Ottobre 2008 da falco58dgl
 

"Costruisce sulla sabbia la casa della propria vita  chi costruisce solo sulle cose visibili e toccabili, come il successo, la carriera, i soldi".

"Apparentemente queste sono le vere realtà, ma questa realtà prima o poi passa: vediamo adesso nel crollo delle grandi banche, che scompaiono questi soldi, che non sono niente".


 "Solo la parola di Dio è fondamento della realtà e cambia il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce la realtà nella parola di Dio".

 

 In una frase: "I soldi scompaiono, solo la parola di Dio è solida".

Questa dichiarazione del Papa mi ha lasciato stupito. Il Papa è l’interprete della dottrina Cattolica e della parola della Chiesa, ma non si può certo sostenere che il Vaticano consideri il denaro o le proprietà materiali come un elemento marginale o  privo di valore. E non solo per il patrimonio accumulato (si stima che il 20% del patrimonio immobiliare italiano sia riconducibile, attraverso società ed enti religiosi, alla Chiesa; ogni anno la Chiesa riceve dallo Stato circa 970 milioni di euro tramite l’otto per mille, di cui solo il 20% vanno in iniziative benefiche,  anche quando il contribuente non segnala nessuna opzione), ma anche perché il denaro è il motore di iniziative di solidarietà a favore di fasce diseredate o paesi che vivono sotto il livello di sussistenza.

Certo, si può obiettare che il Papa riprendeva una posizione di principio (il denaro e i beni materiali sono transeunti, mentre la parola di Dio e la fede rimangono), però “usare” la crisi finanziaria attuale e il crollo di alcune banche internazionali –che determinerà a breve pesanti ripercussioni nell’economia reale, restringendo i consumi, aumentando la disoccupazione e allargando la fascia di coloro che vivono sotto il livello della povertà-  come prova che  i soldi “sono niente” fa un po’ arrabbiare e appare anche come segno di una certa ipocrisia, visto che in  una recente lettera della CEI "Sostenere la Chiesa per servire tutti" i vescovi inviterebbero sacerdoti, religiosi e catechisti a non aver timore nel chiedere i soldi ai fedeli.

La posizione del Pontefice sarebbe stata condivisibile se la crisi finanziaria attuale avesse portato a una presa di distanza e a una condanna del liberalismo selvaggio che ha prodotto l’attuale congiuntura, ma  attaccare il denaro come prova della secolarizzazione della società attuale, mentre un miliardo di persone non si alimenta in modo sufficiente, un altro miliardo ha seri problemi nell’approvvigionarsi di acqua e si osserva una forbice sempre più marcata tra ricchezza e povertà estrema, mi appare come un messaggio anticristiano e  dogmatico, distante dalle dinamiche sociali attuali.


Però, se la Chiesa volesse prendere veramente le distanze da chi costruisce la propria vita solo “sul successo, la carriera, i soldi”, potrebbe fare qualcosa di utile: portare al 40% dei soldi ricevuti dallo Stato le iniziative benefiche, dismettere una parte del suo patrimonio immobiliare e ridurre in modo sostanziale l’uso di quei fondi per la nuova edilizia di culto, i beni culturali ecclesiastici, l’aiuto alle iniziative diocesane e altre iniziative nazionali (per esempio, i tribunali ecclesiastici) che, sommate insieme,  fanno il 46% del totale, una cifra equivalente a  440 milioni di euro annuali, mentre per le iniziative benefiche in Italia e nel mondo la Chiesa destina non più di 190 milioni di euro l’anno.

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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