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Questi sono i fatti. Sabato 7 maggio si è invece tenuta l'Assise generale di Confindustria, a Bergamo

Post n°4683 pubblicato il 11 Maggio 2011 da cile54
Foto di cile54

SIAMO TUTTI CARNE DA MACELLO

La notte tra il 5 e 6 dicembre 2007, sulla linea di ricottura e decappaggio dello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino, perdono la vita in un incendio 7 operai dello stabilimento: Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi.

Il 15 aprile 2011 la Corte d'Assise di Torino legge la sentenza che condanna Herald Espenhahn, amministratore delegato dell'azienda, a sedici anni e mezzo di reclusione colpevole di omicidio volontario con dolo eventuale. Dai 13 ai 10 anni di reclusione per gli altri dirigenti, colpevoli di cooperazione in omicidio colposo.

Questi sono i fatti. Sabato 7 maggio si è invece tenuta l'Assise generale di Confindustria, a Bergamo. L'associazione ha invitato Espenhahn, il cui intervento è risultato molto applaudito dall'assemblea.

É scandaloso che l'associazione degli imprenditori abbia invitato anche solo ad intervenire un amministratore delegato che ha sulla coscienza la vita di sette persone ed altrettante famiglie. Così come è assolutamente incommentabile e vergognoso che l'intera assise abbia applaudito ad un intervento che inneggiava alla “buona governance” e alle “best practices” della Thyssen-Krupp.

Tuttavia, è bene soffermarsi con ulteriore attenzione sulle parole di Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria. Rileggiamole: “la condanna a 16 anni di omicidio volontario di Herald Hespenhahn è un unicum in Europa ed è un tema che va guardato con molta attenzione”; poi prosegue “non andiamo a ricreare un campo di battaglia in maniera strumentale” per concludere affermando che se ragionamenti del genere “dovessero prevalere, potrebbero allontanare gli investimenti esteri dall'Italia e mettere a repentaglio la sopravvivenza del tessuto industriale”.

 

 Mi chiedo cosa resti della vita in questo discorso.

Scriveva Karl Marx in Lavoro salariato e capitale “Il lavoro è dunque una merce che il suo possessore, il salariato, vende al capitale. Perché la vende? Per vivere” o piuttosto per morire, dato che da molti anni l'Italia è fieramente in testa alle classifiche delle morti sul lavoro, 1080 anche nel 2010.

La Marcegaglia dimostra, con quanto detto, di essere connivente e complice del buon Hespenhahn e di tutti coloro che ritengono la sicurezza sul lavoro un lusso di cui fare a meno. D'altronde, cosa ne sanno del lavoro? Oggi che anche l'innovazione, come i beni materiali e immateriali, ha una natura sociale e collettiva, la violenza e l'espropriazione della classe imprenditoriale si smaschera per quello che è: appropriazione indebita del lavoro altrui, puro e semplice dominio sulla vita e i tempi delle persone. Un dominio così radicale e sfacciato da posporre anche pubblicamente la vita (e la morte) di quegli operai a concetti come 'investimenti' o 'tessuto industriale'. Ma aspettiamo un attimo, non è questo il luogo e il momento di motivare una critica dell'industrialismo.

La cosa gravissima è che la Marcegaglia rimuove con le sue parole due ineludibili verità: che alla Thyssen-Krupp sono morti degli operai per responsabilità di quelli che possiamo ricominciare a chiamare con il loro nome: manager industriali, direttori d'orchestra della produzione (e della speculazione) oltre che dell'efficienza del sistema capitalistico della grande impresa. Sì, perché di questo stiamo parlando, non certo della microimpresa. Questa è la seconda menzogna: non è certo la condanna di un amministratore delegato di un'azienda di migliaia di dipendenti in tutta Europa che mette a repentaglio la nostra industria, perché il nostro paese campa di piccola e piccolissima imprenditoria, del popolo delle partite Iva. E poi, soprattutto, di lavoro dipendente, di precarietà, di disoccupazione.

Senza soffermarci sulle posizioni politiche prese o non prese (vedi Pd) su quanto accaduto, è urgente mettere a registro una lettura della situazione che non anteponga il profitto e la produzione di capitale alla vita ed ai diritti delle persone. Dobbiamo prendere atto che parole come quelle della Marcegaglia passano quasi inosservate, lineari, coerenti con quanto già detto in passato da ministri della nostra Repubblica; dobbiamo decifrarne il linguaggio, coglierne i passaggi salienti, metterne in luce le patologie; dobbiamo imparare a conoscerne i gesti, dobbiamo inventarne di nuovi. Soprattutto, dobbiamo lavorare per la ri-appropriazione del nostro lavoro e della nostra vita.

 

È necessario alzarci in piedi e contestare quanto detto, ben oltre l'indignazione del vecchio Hessel, organizzando forme di rEsistenza che siano in grado di ricomporre socialmente e politicamente quel mondo della precarietà che subisce oltre alla violenza simbolica delle frasi (e che provi vergogna chi non si è schifato dinnanzi alle parole della Marcegaglia!!!) la costante oppressione dello sfruttamento legalizzato. Dobbiamo farlo. Né domani né tra poco: ora!

 

Stefano Casulli

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10/5/2011

 
 
 
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Roma, 12 maggio 1977

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