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Le politiche di Milano e Roma, simbolo della nuova Italia unita dalla speculazione e dalla distruzione del territorio

Post n°4370 pubblicato il 19 Febbraio 2011 da cile54

Città sotto il segno del cemento  

 

Milano leghista e Roma ladrona sono finalmente unificate sotto il segno del cemento. Poche settimane fa il consiglio comunale di Milano ha infatti approvato il nuovo piano urbanistico della città che prevede un incremento di abitanti di oltre 500 mila unità. Dal 1971 la città conosce un continuo declino demografico: dagli anni '70, quando raggiunge il suo massimo storico superando il milione e 700mila abitanti a oggi in cui ne ha poco più di un milione e trecentomila. Secondo gli «urbanisti» meneghini, Milano dovrebbe dunque ritornare ai livelli del periodo d'oro dell'industria manifatturiera italiana, quando la città non solo richiamava decine di migliaia di operai ma era anche un punto di riferimento per la cultura nazionale.

La perdita della popolazione degli ultimi quaranta anni è stata causata dal declino industriale e dallo sconvolgente aumento dei valori immobiliari degli ultimi venti anni. Una città in declino produttivo in un paese che si dibatte nel medesimo fenomeno (la Fiat a Detroit) richiamerà dunque mezzo milione di abitanti!

La capitale non è stata da meno. Il piano regolatore del «modello Roma» di Veltroni ha regalato agli immobiliaristi 70 milioni di metri cubi di cemento per un aumento stimato di popolazione di 350mila abitanti. Anche Roma è in lento declino demografico dagli anni '70 a causa di un analogo fenomeno di valorizzazione immobiliare che ha respinto fuori del comune 300mila abitanti. Entrambe le città pensano di incrementare la popolazione senza costruire neppure una casa popolare e senza sapere quale tipo di economia le sosterrà: è il mercato, così ripetono, che guida lo sviluppo. Ma se proprio a causa di quel mercato senza regole le città si sono vuotate dei ceti popolari, per chi verranno costruiti i nuovi giganteschi quartieri? È un evidente regalo alla rendita immobiliare, rappresentata dal mondo finanziario e dagli eterni protagonisti del mattone.

Ma le analogie non si fermano qui. A causa della forte espulsione di abitanti, sono centinaia di migliaia i lavoratori che quotidianamente devono raggiungere le due città da un sempre più ipertrofico hinterland. La logica voleva che il nuovo disegno urbano venisse costruito su questa stessa scala metropolitana. Entrambe le città hanno invece disegnato i loro piani nella gelosa difesa dei propri confini: chi sta fuori insomma, si arrangi, nessuna istituzione si farà mai carico del peggioramento delle loro condizioni di vita.

Ancora. Entrambi i piani sono impostati sulla cancellazione delle regole. C'è un pallido quadro di riferimento, è vero, ma volta per volta esso viene violato attraverso trasferimenti di «diritti edificatori» (a Milano, per stare tranquilli, hanno costruito una borsa dei diritti edificatori!), compensazioni urbanistiche e accordi di programma. L'urbanistica come sistema di regole e stata sostituita da un'opaca e continua contrattazione che privilegia la grande proprietà fondiaria.

Anche perché, e veniamo alla quarta analogia, entrambi i comuni affermano di «non avere le risorse economiche per realizzare le nuove urbanizzazioni» e si sono conseguentemente messi nelle mani della speculazione fondiaria. C'è bisogno di una nuova strada? Aumentiamo le cubature. Una scuola? Ancora cemento. Un parco? Un'altra dose aggiuntiva di metri cubi. Eppure le due città continuano a spendere fiumi di soldi in opere inutili. Lo stadio del nuoto di Roma costerà più di un miliardo (sic!) di euro. L'organizzazione dell'Expo del 2015 chissà quanto.

E proprio l'Expo ci porta alla quinta analogia. Il governo delle città è sfuggito ormai di mano alle amministrazioni comunali. Il modello «straordinario» viene sperimentato a Roma nel 2000 dal duo Bertolaso-Balducci, che pochi anni dopo, nel 2009, daranno il meglio di sé nella vicenda dei mondiali di nuoto. Nel frattempo - con consenso bipartisan - veniva costruita la candidatura di Milano all'Expo del 2015. Roma punta infine tutte le sue carte sulle Olimpiadi 2020. I consigli comunali delle due città sono ormai svuotati di funzioni reali e il futuro urbano lo decidono i poteri economici dominanti che in questo modo potranno meglio indirizzare cospicui finanziamenti pubblici verso i quadranti urbani dove hanno interessi.

E mentre continuano a recitare l'allegra pantomima del «non-ci-sono-i-soldi» i due schieramenti politici cancellano le città, le rendono sempre più invivibili. Gli interessi di pochi prevalgono sulle aspettative sociali. E a questo disegno l'urbanistica romana e milanese sono state decisive.

Paolo Berdini

18/02/2011 

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