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Venti di tempesta

Post n°466 pubblicato il 29 Agosto 2012 da falco58dgl

la temp

Non alludo al clima atmosferico, anche se questa estate bollente sembra declinare e cedere il passo a precipitazioni che assumeranno, in qualche caso, le caratteristiche di nubifragi e alluvioni. Mi riferisco alla crisi e alla recessione che investe il nostro paese e l’intera l’Europa, nell’ambito della sfavorevole congiuntura internazionale.  Ormai non si tratta più solo di suggestioni, di un clima psicologico e neppure di drammi che investono altre persone o altre categorie produttive(le imprese grandi e piccole, gli operai in cassa integrazione o licenziati, gli artigiani e i commercianti strangolati dall’assenza di credito e dal ritardo dei pagamenti, i giovani disoccupati o condannati a una precarietà cronica, i disabili a cui hanno tagliato il fondo per i non autosufficienti,  le famiglie che devono ricorrere a prestiti per  arrivare a fine mese), ma di una tempesta che ha colpito l’intero paese e che scuote le stesse fondamenta del vivere civile.

 In ogni settore, in ogni snodo dell’attività produttiva (pubblica o privata) ci si deve confrontare con una drammatica assenza di fondi, di finanziamenti, anche per le spese essenziali. La scuola, l’università, le forze di sicurezza, gli ospedali, le imprese, il sistema delle infrastrutture faticano a garantire le prestazioni ordinarie, istituzionali, i servizi essenziali, a fronte di tagli che minacciano di sconvolgere gli standard delle prestazioni abituali. Certo,  in diverse situazioni, si annidano sprechi, duplicazioni di funzioni, inefficienze, privilegi e stipendi troppo elevati. Basti pensare ai dipendenti che gravitano intorno alla Camera, al Senato, alla Presidenza della Repubblica, ai dirigenti della Regione Sicilia, al sistema sanitario di  parecchie regioni italiane (e non solo del mezzogiorno), alla presenza di molteplici livelli di governo locale che gonfiano le spese e determinano ritardi burocratici. Tuttavia, la crisi non distingue tra situazioni virtuose, ai limiti dell’eccellenza, e quelle inefficaci e pletoriche. Al nostro Dipartimento (ci occupiamo del trattamento delle Dipendenze, dall’abuso di eroina, cocaina, alcool al gioco d’azzardo patologico e lo facciamo bene, con un’attenzione all’utenza puntuale ed efficace) hanno tagliato il budget, da un giorno all’altro, del 19%, 600.000 euro in meno che usavamo quasi esclusivamente per inserire i nostri pazienti in comunità terapeutica; il personale che va in pensione non viene rimpiazzato, gli operatori a tempo determinato non vengono ricontrattati oppure vengono sostituiti da personale che occorre formare e che, quando ha raggiunto un livello di competenza adeguato, viene sostituito da nuovi precari. Intanto, il governo vuole tagliare le dotazioni dei dirigenti e degli operatori del pubblico impiego, attivando meccanismi di mobilità e di prepensionamento. Insomma, occorre lavorare con meno personale e meno risorse, a fronte di un impegno crescente, con la possibilità concreta di essere trasferiti su altri servizi e doversi dividere tra due o tre attività differenti. E siamo ancora fortunati perché non sono scattati i licenziamenti di massa. Si respira un clima depressivo, di smobilitazione, la sensazione di essere in balia di forze impersonali che agiscono sulla base della compressione dei costi, numeri e percentuali che ignorano completamente i benefici procurati alla collettività. Ma in fondo, a fronte della chiusura massiccia delle piccole aziende e della limitazione dei servizi essenziali (le auto della polizia senza benzina, i Canadair che rischiano di non poter volare l’anno prossimo per i tagli di bilancio), la nostra situazione non è neanche delle peggiori.

E’ questo forse l’aspetto più malsano della crisi: il riflesso difensivo davanti alla tempesta che c’investe, il ritenersi privilegiati perché si dispone ancora di un posto di lavoro, la frantumazione dei vincoli di solidarietà, il guardare, con un misto di sgomento e di paura, a chi ha perso il suo reddito ed è scivolato, insieme alla sua famiglia, in una situazione di povertà, come se fossimo all’interno di una decimazione che colpisce i tuoi vicini di fila, il tenere la testa bassa sperando che l’uragano non t’investa personalmente.

Sensazioni indegne di un paese civile e sicuramente all’opposto di tutto ciò in cui ho creduto, per cui mi sono battuto e che ho augurato a me e al paese, ma che segnano l’orizzonte attuale.

W.

altan

 
 
 
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LA RECENSIONE

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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