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Cinque incipit

Post n°148 pubblicato il 03 Giugno 2007 da falco58dgl
 

Raccolgo l’invito di Vega Lyrae e di Naiima e propongo l’incipit di 5 grandi libri. Il compito affidatomi è di quelli impossibili e non saprei dire se si tratta dei cinque libri che hanno influito maggiormente sul mio immaginario di lettore, sulle mie capacità di scrittore o semplicemente quelli che mi sono venuti in mente al momento di selezionarli. Chiedo scusa a una schiera enorme di immortali della letteratura che non sono stati citati. 

Era l'ora straordinariamente calda del tramonto di una giornata di primavera. Agli stagni Patriarsie giunsero due cittadini. Il primo indossava un vestito grigio, era basso di statura, corpulento, calvo, teneva in mano il suo bel cappello a forma di tortellino e sul volto ben rasato aveva poggiato un paio di occhiali smisurati con la montatura di corno. Il secondo – un giovanotto muscoloso che sui capelli rossi e arruffati portava un berrettino a quadri messo sulle ventitré – aveva una camicia da «cow boy», pantaloni bianchi sgualciti e scarpe nere.
 
Michail Afanasievič Bulgakov ,“Il maestro e Margherita”.

Si racconta – ma Dio ne sa più di noi dal momento che si tratta di dire il vero sugli avvenimenti del passato e sulle cronache dei diversi popoli- si racconta dunque che vivevano un tempo, nell’imperio dei Sasanidi, due re fratelli che regnavano sulle isole dell’India e della Cina interna. Avevano nome Shahriyar il maggiore e Shahzaman il minore. Shahriyar era un valoroso cavaliere, un conquistatore invincibile,  che il fuoco non poteva consumare, che il fatto di covare una vendetta clamorosa  non bastava a placare, pronto a reagire ogni volta che venivano messi in discussione i suoi diritti.

Autore sconosciuto, “Le mille e una notte”.


Mio caro Marco,

Sono andato  stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa da un lungo viaggio in Asia. Bisognava che mi visitasse a digiuno ed eravamo d’accordo per incontrarci di primo mattino. Ho deposto mantello e tunica; mi sono adagiato sul letto. Ti risparmio particolari che sarebbero altrettanto sgradevoli per te quanto lo sono per me, e la descrizione del corpo di un uomo che s’inoltra negli anni ed è vicino a morire di un’idropisia del cuore.  Diciamo solo che ho tossito, respirato, trattenuto il fiato, secondo le indicazioni di Ermogene, allarmato suo malgrado per la rapidità dei progressi del male, pronto ad attribuirne la colpa al giovane Giolla, che m’ha curato in sua assenza.

Margherite Yourcenar, “Memorie di Adriano”.

      Durante il fine settimana gli avvoltoi s’introdussero attraverso i balconi della casa presidenziale, fiaccarono a beccate le maglie di filo di ferro delle finestre e smossero con le ali il tempo stagnato nell’interno, e all’alba del lunedì la città si svegliò dal suo letargo di secoli con una tiepida e tenera brezza di morto grande e di putrefatta grandezza. Solo allora ci azzardammo a entrare senza prendere d’assalto i muri corrosi di pietra fortificata, come volevano i più risoluti, o sbandellare con coppie di buoi l’entrata principale, come altri proponevano, poiché bastò che  qualcuno li spingesse per far cedere dai loro gangheri i portoni blindati che nei tempi eroici della casa avevano resistito alle bombarde di William Dampier.

 Gabriel García Marquez,  “L’autunno del patriarca”.

Il conte d’Olavidez non aveva ancora fondato colonie straniere nella Sierra Morena; questa catena  impervia che separa l’Andalusia dalla Mancia era allora abitata solo da contrabbandieri, banditi, e qualche vagabondo, che si diceva mangiassero i viaggiatori dopo averli assassinati; da cui il proverbio spagnolo : Las gitanas de la Sierra morena quieren carne de hombres. Non è tutto. Il viaggiatore che si azzardava in questa contrada selvaggia veniva assalito, si diceva, da mille terrori capaci di raggelare il più coraggioso degli arditi. Udiva voci lamentose mescolarsi al rumore dei torrenti e ai sibili della tempesta,  luci ingannevoli lo sviavano, e mani invisibili lo sospingevano verso abissi senza fondo.

Jan Potocki, “Manoscritto trovato a Saragozza”.

Non so a chi passare la palla, mi pare che già moltissimi siano stati invitati e abbiano postato la loro lista di incipit. Chi ha voglia di raccogliere l’invito, lo può fare qui anche senza una designazione formale.

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avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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