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Riccardo e Fatima (da Diecimila e cento giorni)

Post n°167 pubblicato il 01 Agosto 2007 da falco58dgl
 

Alcuni di voi hanno letto il mio romanzo durante l'estate e mi ha fatto piacere sapere che l'avete apprezzato.

Posto una pagina del libro, Riccardo accompagna Fatima nel suo paese di origine, Kosovo Polje. Al ritorno...

Fatima si cambia, stacca dal lavoro e attende l’autobus blu che la riporterà a casa. Dopo che è tornata con Riccardo nel suo paese, si sente più tranquilla, come se avesse saldato un debito col passato. Kosovo Polje le è apparsa come un posto irriconoscibile, erano scomparsi i luoghi felici, ma anche quelli del dolore, schiacciati da una ricostruzione vorace, desiderosa di azzerare, più che di far rivivere. Solo la grotta in cui aveva fatto l’amore con Mirko era rimasta intatta,  l’apertura superiore, il fondo coperto di muschio, erano come li ricordava. Ma lui non c’era e, anche se ci fosse stato, era diventato un luogo differente, solo una fenditura nella roccia  al termine di una spianata sassosa,  non lontano da un paese che aveva cambiato volto e anima.

Gli zii li hanno accolti bene,  cuocendo un agnello intero,  aprendo bottiglie di acquavite invecchiata, invitando una ventina di persone che l’hanno salutata  con  lacrime forse troppo esibite per essere vere.

Riccardo sembrava un pesce fuor d’acqua, ma, anche lui, alla fine si è animato e si è lasciato andare a un ballo di gruppo, saltellando goffamente, tenuto  per le spalle dalle braccia    di suo zio e sua cugina. Fatima ha provato, in quel momento, una sensazione forte e strana per quell’uomo che le ha salvato la vita, una vita così piena di buchi da assomigliare a un capo di vestiario ormai da buttare. 

 

Ritornati in Italia, con una mescolanza di dispiacere e sollievo, hanno ripreso le loro attività  quasi a fatica. Riccardo ha insistito per portarla in montagna, sulle rive di un laghetto alimentato da una cascata  rimbalzante.

Non c’era nessuno, solo un gregge di pecore che occupava una parete della montagna, punteggiandola di macchie bianche. Si sono distesi sull’erba e si sono messi a guardare  le nuvole  che si sfilacciavano e si univano in forme esili, su  vicino alle cime. Si è sentita bene, tranquilla, in un posto che si era mantenuto intatto e non era stato distrutto dalle mani degli uomini.

Riccardo le accarezzava il  collo e il petto con calma, le indicava il nome delle vette e dei paesi vicini. Lei ha ricambiato le carezze, si sono trovati abbracciati su un fianco. Riccardo ha cercato di prenderla, sulla  spianata erbosa a ridosso del lago, lasciando che Fatima si  collocasse sopra di lui,  ma il suo pene non riusciva a penetrarla, forse intimidito  dai pastori invisibili che riposavano dietro il gregge. 

 

Fatima è rimasta un po’ sopra il suo corpo ampio, accarezzandogli il volto, poi è scesa con la sua testa verso la virilità incerta di quell’uomo che ha iniziato a gemere piano, mentre le sue labbra lo circondavano, affondavano in lui, con un movimento dolce e prolungato. Si è ritrovata a gambe  aperte, con la schiena piegata e la fronte che sfiorava il suolo erboso. Lui la prendeva da dietro, in modo ritmico e regolare e continuava a ripetere che l’amava, glielo diceva ogni volta che il suo sesso scompariva dentro di lei.

Fatima ha  avvertito un senso di calore crescente, ha iniziato a muoversi  contro di lui mormorando frasi inarticolate,  sentendosi posseduta da una persona che la desiderava, che la riteneva necessaria. Ha urlato qualcosa  che assomigliava ad “anch’io”, ha avvertito una  serie di contrazioni che  la scuotevano dall’interno e  si è sentita invasa da un piacere aspro che si susseguiva in cerchi concentrici.

Nel momento di venire,  ha appoggiato la faccia per terra, tenendola di lato e una goccia della cascata le ha bagnato la guancia come una stilla di pioggia che cade sul suolo e  si frange rimbalzando. 

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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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