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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.
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Jet lag
Post n°180 pubblicato il 20 Settembre 2007 da falco58dgl
“Tieni il tempo… non fermarti fino a domani… tieni il tempo”, una canzoncina dozzinale, orecchiabile, uguale a decine di motivi già ascoltati, trasmessa da una vecchia radio Indesit. La Indesit, enormi capannoni industriali semiabbandonati persi nella nebbia sulla strada che collega Stupinigi a Pinerolo. Questa città è in decadenza, sta per scomparire, dice il taxista a tre persone infreddolite ed esauste dopo un viaggio di diciotto ore attraverso l’Atlantico. La città sembra addormentata, in letargo, come se stentasse a risvegliarsi dopo l’euforia delle feste. Le valigie che s’accumulano nell’ingresso rendono l’entrata della casa simile a un anonimo deposito bagagli. Troppo stanchi per dormire. Meglio accendere il computer e dare un’occhiata alla posta, cancellare trecentoventi messaggi di spam che si sono accumulati, rispondere a quattro mail di auguri e andare a spasso sul web. Mentre compie queste operazioni, sente un ronzio sordo nelle orecchie, simile ad un rombo attenuato di motori, i motori del 737 che l’hanno accompagnato per 12 ore da Tegucigalpa a Madrid. “Dove sarà la gatta”, pensa, proprio mentre una sagoma nera sfreccia veloce dietro di lui e si nasconde nell’interstizio tra la libreria e la parete. Le immagini del viaggio arrivano sfocate, lente ed imprecise, quasi fossero fotogrammi di un film muto in attesa di restauro; l’isola di San Josè, la spiaggia di Coronilla, persino le rovine di Copan sembrano avvolte in una nebbia fuligginosa, la stessa che copre gli edifici, le strade, le persone della città in decadenza, di questo luogo che sta per scomparire, come ha detto il taxista che li ha riportati a casa, la casa di tre stanze, servizi ed un’entrata dove s’accumulano bagagli che giacciono ammonticchiati in un anonimato da deposito a pagamento, insieme ad una radio gracchiante che trasmette un motivo da quattro soldi. Giorgio si riscuote, si alza dalla sedia, guarda l’orologio, si rende conto di essere rimasto a fissare il monitor per venti minuti. Le 15 e 20, in Honduras sono le 8 e 20 del mattino e non ho dormito più di un’ora, pensa, mentre un raggio di luce sbuca dalla coltre di nubi ed accende per un attimo gli edifici di fronte. Non fa neanche tanto freddo, forse cinque gradi, anche se fino a ieri la temperatura non scendeva mai sotto i diciannove e di giorno persino la giacca diventava un fastidio, qualcosa da cui occorreva liberarsi per non sudare. Giorgio si alza, entra in stanza da letto, apre il comodino ed estrae il cellulare che ha lasciato a casa, credendo che in Honduras sarebbe stato un soprammobile. Lo accende, attende qualche secondo, appare un messaggio che annuncia due chiamate in segreteria telefonica. Due chiamate in venti giorni, sono ormai un eremita, pensa, mentre compone il numero della segreteria ed ascolta una voce che pronuncia parole di auguri dalla Sardegna ed un collega che gli ricorda un appuntamento di lavoro per il 14 gennaio. Giorgio si sente all’improvviso stanchissimo, s’affaccia al balcone della stanza da letto, guarda verso le montagne, accogliendo riconoscente l’aria fredda che colpisce le sue tempie pulsanti. *** Giorgio sussulta, mentre fissa il profilo dei monti innevati. Gli sembra di avvertire un senso di vertigine, un lento movimento della terra intorno a lui, simile a una scala mobile che lo riporta con costanza al punto di partenza. Certo che dovrei dormire, pensa, ormai sono due giorni che quasi non chiudo occhio. Giorgio si dirige lentamente verso il computer, si riconnette. Nuovamente la posta, un’occhiata a la chat deserta, a questo web che sembra privo di emozioni e atono come i suoi pensieri, cade la connessione. Prova a ricollegarsi, ma la linea sembra occupata. Si alza di scatto, inserisce un compact dei Cranberries e, mentre le note di “zombie” riempiono la sala, pensa che è un pezzo che fa venire voglia di scrivere. Writer Il mio sito |
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CLAUDIO MARTINI
"DIECIMILA E CENTO GIORNI"
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avvenuto su un blog della community)
LA RECENSIONE
DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO
Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.
E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.
Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.
Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.
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