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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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Asmodeo scrive

Post n°179 pubblicato il 17 Settembre 2007 da falco58dgl
 

Questo testo è dedicato a un amico conosciuto su Italia Arti Scrivere (I.A.S), un newsgroup dedicato alla scrittura che ho frequentato negli anni passati.

L'ho immaginato mentre scrive un testo ambientato in Russia, fino a che...

 

Asmodeo guarda il foglio e il foglio guarda lui con ostinata impertinenza, come due amici che si ritrovano insieme dopo tanto tempo e non sanno cosa dirsi. Asmodeo pensa, si gratta la testa, inizia a scrivere. Non sa che titolo dare alla vicenda che si appresta a narrare, ma incomincia a picchiettare in fretta  sui tasti seguendo un’ispirazione labile, temendo di perderla e ritrovarsi in un  dialogo muto con la pagina elettronica che lo guarda sorniona.

Scrive, di getto “Come aveva potuto farsi incastrare a quel modo non riusciva a capire. Era sempre stato scaltro e attento nell'esprimere le proprie opinioni, eppure, si rendeva conto adesso, l’avevano fregato come un idiota”.

S’arresta, un musica dolce interrompe il flusso dei suoi pensieri. “El tiempo pasa y nos estamos volviendo viejos”, Pablo Milanes  e Victor Manuel  cantano con  passione  una storia di amori perduti e tempo che passa, una bellissima canzone, introdotta da un assolo di piano, lenta e struggente, uno dei suoi pezzi preferiti, ma in quel momento Asmodeo avverte il fluire delle note come un disturbo, qualcosa che lo allontana dal racconto che sta dipanando a fatica e lo porta in altre latitudini, in un’atmosfera sognante e calda, fatta di bar fumosi, spiagge abbacinanti, mulatte che ti guardano in tralice, gruppi di jazz che protendono cascate di note scoppiettanti contro il mare verde.


 Esta no puede ser màs que una canciòn, quisiera que fuera una declaraciòn de amor”.

E lui voleva invece addentrarsi in una storia dalle tinte cupe, ambientata in una Russia gelata e livida,  in cui un  protagonista di cui non ha ancora deciso il nome viene costretto a scendere all’inferno da un torturatore di stato, a vendere la propria integrità, già minata dalla sua fatica di vivere, e trasformarsi anche lui in un  aguzzino felice. 

 

Forse potrebbe ambientare la storia a Cuba, nell’Havana di oggi, tra i dissidenti che vengono incarcerati dal regime di Castro, ma Cuba è troppo solare, troppo latina e poi Asmodeo è legato all’isola da affetti sinceri, ricorda ancora lo sguardo di Dolores che aveva incontrato a Varadero. Lo aveva  mirato di sottecchi muovendo leggermente i fianchi, con una mescolanza di grazia e sfrontatezza tipica delle giovani donne del luogo, andando a parlare con un’amica vicina. Lui si era avvicinato facendo una battuta, nel suo spagnolo incerto. Le ragazze si erano voltate e gli avevano rivolto un largo sorriso, chiedendogli da quale parte dell’Italia venisse. Asmodeo  aveva pensato che il suo accento ne aveva rivelato la  provenienza, poi era stato distolto dai fianchi di Dolores che sembravano muoversi al ritmo di una musica immaginaria. Ricorda benissimo la settimana passata insieme a girovagare tra la città vecchia, i bar, la sua stanza di albergo e  il viaggio a Santiago su una vettura affittata. Una donna incantevole, leggera e appassionata, non può ambientare  il suo racconto in un luogo così.

Sarà la noche oscura donde arderè… escriberè tu nombre in cada pared”.

 Si era sentito bene, desiderato senza richieste di amore eterno o di soldi, oggetto di un piacere che bastava a se stesso, in una successione di giorni che trascorreva placida , il  movimento del  corpo di Dolores sopra al suo. 

 Cuando se muere la tarde y agosto parece abrazarte… te buscare entre la sombra del jardìn”.

Asmodeo  si riscuote, muove due passi nel suo piccolo appartamento. Da allora sono passati tre anni e Torino l’ha riaccolto con la sua gentile indifferenza, mettendolo di nuovo davanti alle solite cose, il lavoro, gli amici,   le cattive abitudini verso cui prova un sentimento ambivalente così forte da sembrare l'incarnazione della realtà stessa, come ha detto quello scrittore argentino di cui non ricorda il nome.

Asmodeo torna al computer, si concentra, mentre ascolta una canzone che  narra di amori sospesi tra il bianco ed il nero.

 

 En blanco y negro, come  en el cine…pasa la vida y lo que me diste.. el mio es tuyo y lo tuyo es mio”.

 Pensa che, a 33 anni,  vorrebbe sentirsi diverso,  vivere un tempo pieno di eventi, colmo di sensazioni  che s’inseguono e sfumano le une nelle altre, fino a formare una rete di linee significanti, un tessuto di connessioni vitali, rilegge ciò che ha scritto, prova ad aggiungere qualche parola, le cancella.

Si alza, mentre  Pablo canta  yo no te pido que me bajes una estrella azul”, salva quello che ha scritto, si affaccia alla finestra e rimane colpito dal tepore del giorno, così lontano dal gelo atmosferico e interiore che aveva immaginato per il suo pezzo.

“Meglio fare due passi”, si dice avvertendo una sensazione di contentezza incongrua e repentina.

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LA RECENSIONE

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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