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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.
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Post n°214 pubblicato il 09 Dicembre 2007 da falco58dgl
Tutti i lettori di questo blog che ringrazio di cuore e, in particolare, a Onice , Gioiasole, Alina3, Sogni sulla luna, Milena. Una ragazza prende un pezzo di legno e lo butta in acqua, guarda la debole corrente del fiume che lo trascina via pian piano, e si mette a pensare. - Dolores. E tu? - Giovanni e basta? E’ un bel nome. - Quel pezzo di legno ha una storia. *** Sono nata in un paese lontano, ma così lontano che mia nonna diceva che occorreva bucare il mondo da parte a parte per trovarlo. Stavo bene, proprio bene. Fino a quando giunsero i soldati. Li vidi arrivare su veicoli sconosciuti, alti e dalle ruote grandi. Anche loro erano alti e grandi. E correvano urlando a gruppi, entravano nelle case. Sentivo rumori come di cose che si rompono, rumori metallici, grida. Non so perché, ma scappai, andai alla fonte. Sentivo colpi strani, forti, tanti colpi, che facevano sdeng o zin, qualcosa di simile. Avevo paura, non sapevo di cosa, ma avevo paura. M’immersi per un po’, ma quei colpi non cessavano, e allora decisi di arrampicarmi su un albero alto per vedere cosa stesse succedendo. Sono brava ad arrampicarmi, molto brava. Ma non ero mai salita su quella jacaranda così alta. Mi dovetti fermare più di una volta ed ero proprio stanca, ma riuscii a salire fino in cima, dove il tronco si apre in una cupola di fiori azzurri. Non vedevo bene, avevo altri alberi davanti a me, tanta vegetazione, ma il fumo che veniva su l’ho notato. Prima una colonna sottile, poi più spessa e densa, infine vidi alcune fiamme come lingue protese verso il cielo. Rimasi sull’albero a lungo e stavo per scendere quando sentii rumori di voci e di passi pesanti che s’avvicinavano. Mi nascosi su tra i rami e le foglie, in alto, ma così in alto che mi sembrava di essere in cima al vulcano, protetta dalle nuvole, invisibile. *** Ecco, arrivano i soldati. Sospingono alcune persone davanti a loro, le colpiscono con armi che non ho mai visto prima, lunghe e scure. Ci sono almeno una decina di persone, quasi tutti uomini. C’è anche mio zio e diverse persone “maggiori”. Non capisco quasi nulla di quello che dicono, uno dei soldati parla in fretta, gridando domande ripetute. Davanti qualcuno prova a rispondere, ma viene preso a botte. Forse i soldati non vogliono risposte, vogliono parlare, tenere un discorso. Ho paura. E se mi scoprono e pensano che mi sono nascosta per fargli un dispetto? No, qui non mi trovano, sono in cima al vulcano, nessuno mi potrà scoprire. I soldati sembrano proprio arrabbiati, urlano sempre di più. Mettono gli uomini in ginocchio con le mani appoggiate dietro la testa e s’avvicinano con le armi puntate. Adesso i soldati stanno zitti e cercano qualcosa nelle tasche di mio zio e degli altri. *** Sono scesa. Ho provato a scuotere mio zio e qualcun altro, ma non si muovevano. Sono rimasta vicino a loro per vedere se qualcuno s’alzava, poi, piano piano, ho preso la stada del villaggio. Non sentivo più niente, nessun rumore e il silenzio mi faceva più paura dei colpi di prima. *** - Dolores, mi dispiace. Davvero.
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CLAUDIO MARTINI
"DIECIMILA E CENTO GIORNI"
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avvenuto su un blog della community)
LA RECENSIONE
DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO
Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.
E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.
Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.
Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.
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