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Sulle rive del lago Atitlan

Post n°222 pubblicato il 02 Gennaio 2008 da falco58dgl
 

Il mio romanzo "I racconti del ripostiglio" è quasi pronto. Tra un mese - forse un mese e mezzo-, dovrebbe essere pubblicato. Vi propongo, nel frattempo, una pagina del mio libro precedente, "Diecimila e cento giorni". Riccardo e Fatima sono arrivati in Guatemala e si trovano sulle rive del lago Atitlan, nel paese di San Pedro...

Camminano per una stradina  di campagna, tenendosi per mano. Lasciano dietro di sé l’abitato di San Pedro, s’inoltrano per un sentiero che affianca il lago. Alla loro destra, la campagna fertile delle pendici del vulcano che s’innalza e di cui non scorgono la cima. Dall’altra parte, le acque blu intenso, chiuse in lontananza dai rilievi e dall’altro vulcano di Santiago. Camminano piano, sostando ogni tanto per indicare  con la mano alcuni alberi che non conoscono.

Fatima si ferma un attimo, con un’espressione di meraviglia negli occhi. Riccardo si volta e vede una farfalla gialla, nera  e arancione  che riposa  sul suo  vestito, uno huipil multicolore che  hanno comprato ieri, in una bancarella  ai margini del paese. La farfalla sembra mimetizzarsi tra i colori della veste che Fatima indossa con naturalezza, poi si scioglie dall’abbraccio e si libera volando con un movimento rapido delle ali. Fatima le corre dietro  come una bambina, con  piccoli scatti, agitando le braccia,  mormorando parole che terminano con un gridolino di gioia.

Vedono la farfalla allontanarsi, riprendono a camminare lungo la strada che sale e scende  seguendo i contorni  della riva. Passano attraverso un gruppo di case che sembrano abbandonate, ma da cui spunta un bambino seminudo di circa  tre anni che li guarda con stupore. Scendono lungo un cammino stretto, quasi una traccia in mezzo ai campi di mais, procedono per una decina di minuti temendo che il sentiero svanisca e li costringa a tornare indietro. Approdano a uno slargo del terreno, una radura con alcuni massi grandi e piatti, che termina in una spiaggia nera lambita da onde minuscole.  Riccardo si guarda intorno e fa un gesto con le mani, come se volesse salutare quel luogo che li accoglie.

Fatima guarda davanti a sé, si siede sulla sabbia a gambe incrociate, si spoglia con movimenti lenti, avanza verso l’acqua e la saggia con la punta del piede.
“E’ tiepida” mormora.
Entra   piano, avverte il contatto con il fondo cedevole della sabbia,  si lascia andare  lunga distesa nell’acqua. Fa un gesto a Riccardo per dirgli di raggiungerla. Si ritrovano abbracciati nell’acqua bassa, che carezza i fianchi. Riccardo cerca la sua bocca e la trova arrendevole, le labbra si dischiudono in un bacio profondo.

Adesso sono in ginocchio, con l’acqua sul petto e lei  cerca il suo sesso con  movimenti del bacino. Lo introduce  dentro di lei, guardando la spiaggia e il sole che fa capolino tra le nubi e la illumina. Si muovono ritmicamente, impegnati in una danza acquatica che tende a crescere d’intensità,  allacciati insieme, le labbra aperte in un gemito di piacere che cresce, cresce da dentro, si fa strada, si innalza, sorpresi dalla leggerezza  dei corpi.
 Riccardo la guarda in volto e vede il suo sguardo offuscarsi, recuperare lucentezza, smarrirsi, arrossarsi e farsi liquido. Gli sembra che un muro si stia sgretolando, stia cadendo a pezzi, faccia emergere la persona che ne era imprigionata, una persona che adesso è scossa da contrazioni violente, chiude gli occhi e  si appoggia gemendo contro il suo petto, fino a  urlare forte che lo vuole,  che lo desidera, che  ama farsi prendere da lui, che vorrebbe che non finisse mai. Riccardo aumenta il ritmo, afferra Fatima per i fianchi,  la sente gemere di nuovo e viene dentro di lei con una forza che lo fa gridare a lungo in modo rauco e strozzato.

Rimangono lì un tempo imprecisato, toccati dalle onde che loro stessi hanno creato,  guardando  le montagne e l’acqua placida. Si mettono uno di fianco all’altro, con i gomiti ripiegati sul fondo, accarezzandosi  i corpi con le mani.

Fatima si volta verso di lui e gli dice “questa sera ti voglio di nuovo così”.
Riccardo sorride,  le lancia un bacio e risponde “questo è proprio un bel posto per fermarsi”. 

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"DIECIMILA E CENTO GIORNI"
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avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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