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I GTV secondo Lorelei...

Post n°738 pubblicato il 24 Agosto 2012 da Yaris167
 

 

 

Un giorno ho detto a Massimo Dolce: “Mi piacerebbe scrivere qualcosa di voi, peccato davvero che sappia niente di musica Prog”.

E lui mi ha guardato con l’aria imperturbabile e un po’ sfrontata che lo caratterizza e semplicemente mi ha risposto: “Ma noi non facciamo musica Prog. Facciamo la musica che ci piace”.

Ho avvertito chiaramente che fosse vero, così come ho “sentito l’arte” brulicare nella pancia ascoltando i loro brani, da profana: un ricamo intessuto con delicatezza, di classicismi struggenti e rabbia da duri ammorbidita dai sofismi di testi avanguardisti. Vi ho riscontrato un intimismo lacerante, che diventa pioggia di coriandoli sonori e si propone all’orecchio con seduzione, ma senza mai piegarsi e scendere a compromessi.

E poi le piccole sospensioni, quelle tipiche dei film di grande levatura, nei momenti in cui resti con la bocca spalancata senza sapere cosa ti aspetti. Se loro fossero stati un quadro, avrei usato un aggettivo che uso rarissimamente: sublimi.

Avrei potuto spulciare tra i vari scritti tematici, di coloro che di prog se ne intendono davvero, insomma quelli che scrivono recensioni; avrei potuto farlo, si, e poi cimentarmi nell’analisi storica del genere e riflettere sulla sua finalità estetica, sugli ibridismi che lo rendono “musica per pochi” e “genere colto”, ma non sarei all’altezza, sicuramente,  e soprattutto non è questo che pensavo , quando ho detto “mi piacerebbe scrivere di voi”.

Del resto, non me ne vogliate, sono stata una ragazza dei tardi anni ’80, di indole anacronisticamente romantica, dedita da sempre all’inchiostro ed al foglio bianco da sporcare, poco incline al rock, che in quegli anni era punk o metal; di Progressive, nel senso tecnico del termine, fino a poco tempo fa quasi non avevo sentito parlare, ma del bisogno di “andare indietro” per andare avanti, di quello si che vi posso raccontare.

Forse perché il tempo che corre veloce ci trita tutti, almeno quelli dalla personalità sofferente, nella consapevolezza di avere tante cose da dire, ma di disporre di pochi ascoltatori; forse perché infine l’impossibilità di fermarsi ci spinge a parlare davvero soltanto con noi stessi, interpretando un senso di “misantropia necessaria”, per citare Flavio Timpanaro; forse perché c’è un filo sottile che lega i possessori di “problemi di vista”, quelli a cui fanno male gli occhi tanto li sforzano per vedere le cose, gli stessi che, essendo gli unici a recarsi dall’oculista, capiscono davvero cosa sia, la cecità. La cecità del buio di dentro del mondo intendo, che accende la radio o mette su un disco per farsi compagnia e volare lontano.

Rimane gridare, come fanno molti artisti, quelli che di arte vivono, sanguinano, sudano, bevono. Gridare al mondo bendato di nero, pirata usurpatore dei tesori di vinile, fatto di scalini su cui sali con le “spinte”; gridare alle radio che dovrebbero “suonare e cantare” e invece parlano senza dir niente, ai signori del consumo per cui vendere tanto viene prima di un ottimo disco, alla gente, che ha bisogno di emozionarsi ma non ha il coraggio per cercarla, l’emozione, né la forza per sostenerla. La gente comune, che scarica la musica invece di comprarla, e gli sponsor, spesso montagne con ghiacciai da scalare.

Sarà stato per questo che il 1 marzo del 2008 questi ragazzi si sono guardati negli occhi, comprendendosi perfettamente senza parole convenzionali, ed hanno cominciato a suonare insieme.

Suonano in molti come scrivono in molti. La Musica è per gran parte delle persone che vi si dedicano un Hobby, per altri diventa quasi una passione, per molti altri un “mestiere”; per i GTV la musica è vita ed è questo che fa la differenza. Non ero presente e non li conoscevo ancora, ma dopo averli ascoltati attentamente, posso provare ad immaginare la scena. Io me li vedo lì, che mettono le mani una sull’altra a stringere un patto che vuol dire “Proviamoci, ci dobbiamo provare”; li guardo con gli occhi della fantasia a ritroso nel tempo, pieni di aspettative e di speranze, convinti che qualcosa lì fuori dovrà pur cambiare, con il cuore che straripa d’acqua di torrente, simile alla gloria, una sensazione di potenza che si prova nella vita soltanto quando credi con tutto te stesso in qualcosa.

Li ho conosciuti un anno fa, cliccando su di un link che mi postò un amico sul contenitore Facebook.

Dunque li ho conosciuti per curiosità; da quel giorno però li ho ascoltati e riascoltati, all’inizio un po’ spiazzata da certe vocali strascicate, devo ammetterlo, poi trasportata e basta. E’ che dopo un po’, nonostante la voce di Claudio Filippeschi ti sembri un po’ “popolare”, le cedi e comprendi che certi accenti diventano particolarità ed estro musicale; alla fine davvero non ci fai più caso, agli accenti: essi diventano il neo all’angolo del mento di un viso ovale di porcellana. Perché magari è questo che fa la differenza tra la buona musica e la musica rara; della prima sei usuale ascoltatore, ma è della seconda che ti innamori davvero, di un grande Amore.

I GTV sono giovani, ma sono sapienti: posseggono la conoscenza della fusione, che nasce prima da una grandissima empatia personale; rappresentano in primis un ideale, quello del sogno per cui si lotta fino allo stremo delle forze. E’ così che ti entrano nello stomaco e poi continuano a girarti in testa, come la lava che fonde da dentro e ti pervade, da cui vieni stregato, al punto che non cambi più il cd nel lettore e lo cerchi appena sali in auto o entri in casa.

Certe volte ascoltandoli, m’è parso d’essere trascinata via da qualcosa di indefinito, un fiume improbabile con sopra una pista da corsa che portandomi da qualche parte, il “chissà dove”, mi accelerava e poi mi decelerava a suo piacimento, spingendomi al limite del ciglio nelle curve delle anse e poi portandomi al centro di un vortice da cui riemergevo con vertigini emozionanti. Per me è questo, la musica dei Gran Turismo Veloce. Senza troppi giri tecnici di parole. Emozione.

Ed è meraviglioso guardarli da fuori, mentre combattono come guerrieri per la loro musica, questi “giovani diversi”, che cercano di vivere come pensano, che intuiscono l’importanza del “ritmo lento”, in cui è possibile rintracciare perfino l’armonia del Silenzio, tenendo fuori lo spettro del “rumore”. La musica dei Gran Turismo Veloce è musica della mente che diviene “fisica”, esattamente come accade alla passione, che nasce dal pensiero e poi diventa attrazione tra corpi. Per questo motivo credo non si potesse chiamare in un altro modo, il loro disco, se non “Di Carne, di Anima”.

Le nove tracce del disco sono una terra delle meraviglie, in cui le tastiere con la voce percorrono una strada di semplicità, perpetuamente animata dall’irruzione della batteria e dalle variazioni articolate di una chitarra geniale ed imprevedibile; le ascolti e le riascolti trovandoci sempre qualcosa di nuovo; non sei più un semplice ascoltatore musicale, diventi Alice alla scoperta di un nuovo mondo, dove ogni cosa è simbolo di un’altra, a volte messa al contrario per poi essere riportata al proprio posto. “Di Carne, di Anima” è un viaggio fantastico, nella terra sospesa tra cielo mare e sabbia, dove i pesci cercano la corrente più complicata; non la semplice navigazione bensì l’impresa.

I GTV sono cavalieri erranti nelle lande sconfinate ma povere della musica italiana; dovrebbero avere il riconoscimento che meritano, sono la testimonianza che le persone e non le carriere siano la più grande risorsa per il futuro, la prova concreta che la speranza di un mondo non asettico risiede nel pensiero creativo. Le idee originali di Massimo Dolce e della sua chitarra magica, la vocalità originale e le tastiere di Claudio Filippeschi, la personalità introversa e musicalmente espressa dal basso di Flavio Timpanaro, sono la fucina in cui è stato creato un arco prezioso; quando la musica parte, la freccia dell’arco scocca, ti arriva giusto allo stomaco e poi attraversandoti ti sale al cuore.

Non v’è alcuna traccia di questo disco che non sia interessante, che sembri simile ad un’altra traccia, che non rappresenti un’isola inesplorata rispetto a quella appena ascoltata prima; nessuna traccia scontata, che lasci lì a suonare senza prestare attenzione.

Le canzoni contenute in  “Di Carne, di Anima” ti fanno sedere, come se ti ipnotizzassero, e ti costringono a “prestare ascolto”, dalle riflessioni sulle paura e le fobie che attraversano il genere umano alla necessità di avere fonti di ispirazioni, dalle considerazioni intimistiche su cosa significhi essere un artista al tema eterno del viaggiatore, alla conturbante e a tratti cruda “Misera Venere”, quasi un racconto semplice con risvolto intellettualmente noir…fino ad arrivare a “L’Indice e l’occhio”, che ti sbatte con le spalle al muro e ti succhia l’anima, con morbidezza e forza insieme, lasciandoti dentro un senso di commozione che infine ti lascia nel silenzio, quello di fine disco, con le lacrime agli occhi. Come se avessi appena finito di fare l’amore.

Ma è difficile vincere la battaglia contro il tempo disattento e la filosofia del prodotto spicciolo. Con una punta d’amara malinconia penso a quanto sia povero il panorama musicale italiano e  quanta scarsa qualità venga prodotta in abbondanza. Non penso che la gente non capisca niente di musica, perché infine tutti, indistintamente, siamo sensibili alle emozioni, nonostante vi sia una differenza, tra persone ed altre, della raffinatezza con cui si ascolta e di cui si necessita. Credo solo che sia molto più semplice la proposta della canzonetta e del visto e rivisto; credo che ormai la musica in Italia sia un “mercato del non rischio”, per andare sul sicuro.

Una volta la radio era lo strumento per rivisitare e ribaltare il mondo; ora pare poco propensa ad osare. Sento spesso dire, purtroppo proprio da chi fa radio, “questo vuole la gente, questo alla gente piace”; permettetemi di dissentire: la gente presta attenzione a ciò che viene proposto e poi sceglie, ma sicuramente non può scegliere musica che non vien fatta circolare.

 I GTV però non si sono arresi e non si faranno fermare  dalla mediocrità: provarci fino in fondo vuol dire questo, rialzarsi pieni di ferite dopo essersi infranti sullo scoglio e ricominciare ad abbracciare il mare.

Partiranno il 1 Aprile, per due mesi, gireranno per l’Europa alla ricerca di ascolto e di terreno fertile per le loro speranze, in un tour auto-allestito, a cominciare dal mezzo di trasporto: un camper, in cui vivranno a stretto contatto, si racconteranno le sensazioni, i sogni, le aspettative, i timori, come san fare solo gli amici veri, quelli con cui si condividono le cose importanti.

E noi li aspetteremo, sperando che l’Italia si accorga finalmente di loro e di quanto abbiano da dare ad una musica spossata dalle brutture della banalità e della minestra riscaldata.

Loro viaggeranno in camper e noi, seguendoli, viaggeremo da fermi  mentre il nostro lettore riempirà l’aria anonima col sale della loro meravigliosa musica.

In bocca al lupo, Gran Turismo Veloce. Con cuore, carne ed anima.





 

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