Un blog creato da lorifu il 31/12/2009

la memoria dispersa

un mondo di affetti perduto (ricordi, pensieri, riflessioni)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

FELICITĄ

 
 
 
 
 
 
 

SULL'ONDA DEI RICORDI

 
 
 
 
 
 
 

I MIEI BLOG

LA MEMORIA DISPERSA

 

VITA E DINTORNI

GRAPPOLI DI EMOZIONI

 

IN PUNTA DI PENNA


 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

ULTIME VISITE AL BLOG

lorifucassetta2ossimoraacer.250neveleggiadra0Led_61prefazione09barby123456elea_uVince198woodenshipperlarosadifiumemarabertowbevialex
 
 
 
 
 
 
 

AREA PERSONALE

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Settembre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30            
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Citazioni nei Blog Amici: 62
 
 
 
 
 
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 
 
 
 
 
 
 

ULTIMI COMMENTI

 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 

siti web

 
 
 
 
 
 
 




 
 
 
 
 
 
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Settembre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30            
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 
« Il sabato...del VillaggioIpocrisia, demone del no... »

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE NAPOLITANO

Post n°230 pubblicato il 03 Novembre 2011 da lorifu
 

Un grazie a Frank Spada che mi ha permesso di conoscere Mario Quattrucci la cui

lettera aperta al presidente napolitano

non può restare una voce nel deserto.

La voce di un cittadino comune, io, te, noi  che con lucidità, umiltà, senso dello Stato, osservatore attento della realtà, al di sopra di tutto e di tutti, ha lanciato il suo accorato appello al Presidente Napolitano perché in questo delicatissimo momento si attenga al suo ruolo istituzionale invece che entrare nell’agone politico.  

Colgo l’invito di Spada di  farla girare in rete contribuendo alla sua diffusione.

 

 

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE NAPOLITANO

Signor Presidente, Le giungono ogni giorno lettere di consenso e domande di aiuto, sopporti per bontà e per pazienza anche questa mia. È la lettera di un semplice cittadino o, forse dovrei dire, di un cittadino in scadenza.
“Per uscire dalla crisi bisogna fare scelte impopolari”: così Lei ha detto e così ripetono quasi tutti i cosiddetti “politici”. Con tutto il rispetto, Presidente ─ con tutto il rispetto che si deve al Capo dello Stato e che io personalmente debbo a chi, a quel tempo, mi ha tanto insegnato ─ Le chiedo: fu con scelte impopolari che Roosevelt uscì dalla crisi del 1929? Be’, forse sì: forse impopolari per quella parte del “popolo” (i “veri liberali”, idest finanzieri reazionari) che gli abbaiarono contro e lo accusarono nientemeno che d’essere un comunista. E quindi, caro e stimato Presidente, sommessamente Le domando: sono parte del popolo italiano ed europeo i banchieri i ricchi ed i potenti, coloro che hanno accumulato patrimoni immensi, quel 10% del popolo (appunto) che possiede il 60% (e forse più) della ricchezza nazionale, quelli che hanno portato nei paradisi fiscali l’equivalente di 100 manovre finanziarie, gli evasori che evadono l’equivalente di 10 manovre finanziarie, quelli che hanno incamerato miliardi di euro costruendo opere rimaste inutilizzate e talvolta nemmeno terminate, quelli che lucrano rendite (non profitti, ma rendite) di milioni di euro all’anno, quelli che mentre gli ospedali pubblici vengono dimezzati aprono cliniche e policlinici faraonici (tutti, guarda caso, intitolati a santi e marie e tutti, naturalmente, convenzionati), in una parola quelli che sono responsabili della crisi (non solo italiana, certo) che ci colpisce e mette a rischio (a quanto dicono) la stessa nostra esistenza?… O sono popolo, verso cui come sempre bisogna essere impopolari, soltanto i lavoratori e i pensionati e i ceti medi produttivi e gli onesti? Io, Presidente, semplice cittadino al tramonto della vita, La rispetto e La stimo ma proprio per ciò, e richiamandomi al dettato costituzionale che Lei così tenacemente difende, mi permetto di esprimere anche nei Suoi confronti un sommesso dissenso. No: per uscire dalla crisi ─ non per uscire dal capitalismo, per carità, come a quel tempo Lei m’insegnò, ─ ci vogliono invece scelte popolari.
È così. Per determinare quella ripresa della crescita da tutti invocata (niente di rivoluzionario, ben s’intende ─ niente di “comunista” e nemmeno blandamente socialista) occorrono scelte molto popolari. Scelte, vale a dire, che servano a rilanciare la produzione di merci e di servizi, che aumentino i posti di lavoro, i salari, le pensioni e il fatturato delle imprese: e perciò la domanda interna; scelte che facciano avanzare la ricerca, la scuola, i diritti e le condizioni di lavoro, l’assistenza ai deboli e agli anziani, la formazione dei giovani: e perciò la produttività delle aziende e del lavoro (non è socialismo, me lo insegnò Lei: si chiama sfruttamento relativo ma i lavoratori stanno meglio e producono di più, vedi Volkswagen), la competitività, la speranza; scelte che portino e creino risparmi, come quelle verso le energie alternative e la conversione delle spese militari; scelte che rendano più forte lo Stato coi malviventi al minuto e coi malviventi di Stato, che rendano più sicure le nostre città e più forte la convivenza civile: e accrescano quindi le possibilità di tutti e non solo di un terzo di quel tale popolo; scelte che mettano mano finalmente, dopo 150 anni di unità nazionale, al risanamento dello “sfasciume pendulo”, al risanamento idrogeologico e al recupero dei centri storici e del patrimonio artistico (altro che venderlo!) e creino perciò opere giuste (non come la cementificazione dell’abusivismo e dei “piani casa”) e nuovi, molti, posti di lavoro: e quindi, di nuovo, oltre che la salvezza del nostro Bel Paese l’aumento della domanda e della capacità competitiva e quindi della crescita… Nel ‘900, da tutte le crisi, la crisi del ’29 lo straziante disastro seguito alla guerra, e perfino dalle altre “piccole” crisi intermedie, la ripresa e a volte la rinascita si sono sempre realizzate così: accrescendo e qualificando l’intervento dello Stato in opere pubbliche in ricerca e in stato sociale; e favorendo altresì con adeguate manovre finanziarie e fiscali, l’investimento privato produttivo. Lo ha fatto Roosevelt, lo ha fatto l’Italia di Enaudi (e della DC e del PCI)…, pericolosi rivoluzionari… Conosco l’obiezione, signor Presidente: per fare ciò bisogna spendere, e per spendere ci vogliono denari. Giusto! Ma i denari ci sono, Presidente: sono là dove ho detto e là vanno presi! Si prendano a chi ce li ha, a chi li ha vergognosamente accumulati e non li reinveste, si attui ─ lo dico a Lei che ne è custode ─ si attui la Costituzione e il suo dettato sulla contribuzione progressiva e sulla funzione sociale dell’iniziativa economica privata (altro che abolizione dell’Art. 41!)… Saranno scelte impopolari, certo: ma, per una volta, la parte di popolo che darà qualche cosa sarà quella che s’è preso già tutto.
Io penso, Presidente, nella mia piccola mente di ex ─ ex tutto e anche ex riformista (e dico ex non perché mi sia ravveduto ma perché quelle che oggi da destra e da sinistra vengono presentate e richieste come “riforme” sono invece per me ─ dovrei dire per noi ─ “controriforme”), io penso che sia ora di prendere atto che la fase del capitalismo “finanziaristico” (brutta parola ma ci intendiamo) e thatcheriano-reaganiano è fallita: la crisi europea, americana, mondiale ─ con i disoccupati che aumentano, con i ceti medi che impoveriscono, con i giovani privati di futuro e della loro giovinezza, con un miliardo di persone che soffrono la fame, e un bambino ogni 5 secondi che muore per fame, e uno ogni 30 secondi che muore per malattie che erano state debellate, e risorse immense bruciate nelle guerre, e oppressioni e schiavitù e dittature e un’immane ingiustizia…─ dovrebbe avvertirci che è l’ora di cambiare. Cambiare un bel po’, penso io: ma in attesa che il socialismo ─ il quale, anche se non ci guarda da tutte le finestre del mondo, è sempre un’opzione che dovremmo tenere presente ─ torni ad essere all’ordine del giorno, si attui almeno un po’ di roosveltismo, qualche elemento di keynesismo, almeno una piccola svolta nell’ambito del capitalismo.
Lei che lo sa, Signor Presidente, lo dica forte e chiaro, lo dica in Italia e lo dica in Europa: una ripresa dello sviluppo ─ uno sviluppo sostenibile che salvi il Bel Paese ed il Pianeta ─ e una maggiore equità (non totale, per l’amor di Dio, altrimenti i ricchi s’adirano e il capitalismo finanziario può aversene a male…) ─ non il socialismo, sia chiaro, ma una certa giustizia sociale ─ non vogliono sperperi, certo, ma non sono perseguibili con politiche deflattive, tatcheriane, finanziaristiche, incentrate sulla difesa delle rendite più scandalose (ed è chiaro che non parlo delle rendite dei piccoli risparmiatori, le quali tuttavia dovrebbero anch’esse trasformarsi in investimenti…), sulla criminalizzazione dell’economia e della banca, su politiche antisindacali, punitive dei lavoratori, antisociali. Incentrate sullo sciagurato principio e metodo globale che il denaro nasce dal denaro e che la ricchezza delle Nazioni coincide con l’arricchimento delle banche e delle loro proprietà sempre più inquinate. Le imprese, ce lo dicono barba di economisti e gli stessi industriali, non hanno bisogno di licenziamenti facili e ricatti ed eliminazione di diritti, ma di tre cose: aumento della domanda; finanziamenti specialmente all’innovazione; infrastrutture e servizi. Forse anche, ma farebbero parte delle prime tre, di alleggerimento fiscale, di eliminazione di lacci e lacciuoli (però sotto un ferreo controllo anti criminale), di fiscalizzazione degli oneri sociali.
Quali bestemmie, vero? Se questa lettera verrà letta da un politico di destra o da un giovane rottamatore del PD sarò preso per matto…, pardon, per dinosauro…, ma da Lei no: Lei, Presidente, non lo farà, perché sa che questo ex giovane ed ex tutto che oggi le scrive non è il solo a pensarla in questo modo, e anzi non fa che esprimere le idee ─ e se non idee compiute, le aspirazioni e le richieste ─ di milioni di lavoratori, giovani, anziani, donne di ogni ceto e condizione. E questi milioni dovranno pur contar qualcosa! O dovranno essere di nuovo piegati dalla sferza di un giovane padrone? O decrepito e corrotto, che è ancora peggio…
Lei lo sa, amato Presidente: siamo noi ad aver ragione, siamo noi ad indicare la via della salvezza nazionale ed europea. Ma noi chi? mi chiederà. Noi ex, Le rispondo: ma ex che intendono bene le esigenze dei vivi, di coloro che sono qui ed oggi la vera ricchezza della Nazione, di quelli che in molti modi, magari confusi ma pacifici e democratici, sfilano ogni giorno sotto le finestre del potere e, magari con grida e con tamburi di latta, e con striscioni un po’ vivaci e pittoreschi, gridano a quelli Andate via! e a Lei Ci aiuti, Presidente!.
Ma certo: per una svolta quale sarebbe necessaria, e sulla linea così sommariamente e rozzamente più sopra delineata, bisognerebbe cambiare gli orientamenti monetaristici e bancari dei governi europei, lo sappiamo. E allora Le domando, sempre con il rispetto e la stima sincera che Le rinnovo, Le chiedo: Presidente, non dovremmo aspettarci da Lei, grande europeista che seppe vincere ogni diffidenza e fare agli americani, in casa loro, nella loro lingua, un discorso diciamo così europeo rooseveltiano, non dovremmo aspettarci che parli in questo senso anche all’Europa e che si faccia propugnatore di un nuovo corso europeo? Troppo socialdemocratico? Troppo da Willy Brandt o Olof Palme? Ma no! che questa nuova politica, o se vuole new deal, fu di grandi liberali, conservatori, capitalisti, che vollero l’Europa ma seppero fare i conti con le istanze sociali e volgerle alla ricostruzione, e allo sviluppo, e ai “miracoli economici”. Le lotte operaie e le conquiste dei lavoratori, ha scritto e dimostrato un grande italiano (dal quale pure imparammo qualche cosa ─ qualcosa di decisivo per la scelta di vita che facemmo) le lotte e le conquiste dei lavoratori sono state decisive per lo sviluppo dell’Italia. Sviluppo capitalistico, sì, ma sviluppo in cui avanzarono anche i diritti dei lavoratori e in cui migliorarono le condizioni sociali di tutti gli italiani; e grandi masse di coloro che voce non avevano, di classi subalterne, di cafoni del sud e di plebi urbane, divennero popolo, si fecero italiani, conquistarono una patria e una cittadinanza di cui essere orgogliosi. Diritti e conquiste sempre attaccati e messi in pericolo, ma difesi con successo: con grandi sacrifici, ma con successo.
Oggi non so. Quel grande italiano, Lei lo sa Signor Presidente, era l’antifascista e costituente ed europeista Giorgio Amendola: un dinosauro scomparso e dimenticato, va da sé.

Mario Quattrucci

scritto da mario quattrucci · 1 novembre 2011, 20:35 · #

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

BURANO 2020

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 

 


Tu credi di incontrare l’amore,

in realtà è l’amore che incontra te

nei modi più strani,

inaspettati, involontari, casuali.

A volte lo confondiamo col bene

e lo surroghiamo.

Spesso siamo convinti sia amore,

fingiamo sia amore,

e leghiamo noi stessi

a una indistruttibile catena

frutto dei nostri desideri mancati

dei nostri sogni sopiti

delle nostre abitudini

delle nostre paure

delle nostre comodità

delle nostre viltà

dei nostri calcoli

della nostra apatia

dei nostri falsi moralismi.

Ma quando arriva, se arriva,

lo riconosci,

come  “il sole all’improvviso”

sconvolgente, coinvolgente,

totalizzante, esclusivo,

fusione di corpo e anima

osmosi perfetta.

Se finisce,

un dolore muto, senza fine.

loretta

 

 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963