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Abbandonare Tara

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Udito, la mattina

Post n°114 pubblicato il 31 Gennaio 2007 da odio_via_col_vento
 
Tag: I sensi

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Il suono della sveglia, cos'altro?, è il primo suono che si insinua nella coscienza del mattino.
Questo sempre che si sia fortunati abbastanza da non uscire da notti cosparse di pianti di neonati, di traffico implacabile, di treni che sferragliano lugubri, di vicini rumorosi, di feste estive notturne.
La sveglia, un suono associato alla molestia, all'interruzione della pace, al fastidio di iniziare la giornata. Ma chi l'ha detto? Spesso è un attimo solo, l'attimo che serve a prendere coscienza, a sfogliare rapidamente il calendario interiore, e subito balza fuori, dall'orlo tiepido del sonno, il prepararsi di una giornata magica.

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Non ci sono solo le lunghe infilate di giorni grigi, uno davanti all'altro, monotoni, come filari di pioppi nella nebbia. Spesso c'è anche l'irrompere della novità, la gioia di un incontro, l'arrivo di qualcuno a lungo atteso, un'emozione, un impegno importante e a lungo preparato, un avvenimento.
Ci sono gli esami, le interrogazioni, le scadenze improrogabili; gli appuntamenti con i medici, il giorno in cui forse l'idraulico si degnerà di palesarsi.
Ma c'è anche lo spettacolo prenotato da tanto tempo, il biglietto comprato a prezzo di una sfibrante coda al botteghino; c'è il giorno di apertura delle svendite, la corsa verso oggetti a lungo desiderati, il tranquillo appagamento di una piccola vanità; c'è l'incontro col grande studioso, finora un nome in un lungo elenco bibliografico, che viene apposta per parlare con te (e scopri che anche tu forse -finalmente!- sei un nome in un elenco, un indirizzo e.mail da contattare, una spunta nella lista di qualcun altro).

E poi, aperti orecchi, non solo occhi, al giorno, i rumori precipitano in cascata, in sciame, in nugoli.

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Non uno per volta, ma tutti insieme, sovrapponendosi, rincorrendosi, assordanti e incalzanti come il Bolero di Ravel dopo i primi, lenti, movimenti.
Rumore di acqua che scorre nella doccia: prima frusciante, poi impietosa, assordante, il rombo di un Niagara domestico.
I figli che mugugnano, i loro piccoli tonfi, da ciechi di sonno, contro le pareti del corridoio, nella lenta, pachidermica, marcia verso la cucina.

Sbadigli ancora, musica (come si piò iniziare la giornata senza musica). E proteste: non è mai la musica che piace a tutti. Poi un telegiornale (anche questo sembra inevitabile: caso mai fosse scoppiato il mondo nottetempo e noi fossimo gli unici, ignari, sopravvissuti e uno scenario da fantascienza si aprisse fuori della finestra che dà sui tranquilli giardinetti di sempre). Previsioni del tempo (caso mai ci fossero dubbi su come vestirsi).
E poi le corse, le richieste inutili, ma di rito, nella liturgia consolatoria dell'abbandono della casa: dove sono i calzini? (sempre nello stesso cassetto da 27 anni!); mi hai lavato la felpa? (sempre pronta, come ogni giorno, da 14 anni); dov'è lo zaino? (dove lo scaraventi tu, ogni giorno, al ritorno da scuola, di questi lunghi maledetti 3 anni della tua adolescenza appena cominciata e già lunga a sopportarsi).

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Sbatte la porta di ingresso, una due volte, tre. Qualcuno saluta, qualcuno no, ma che importa: sei un dato di fatto, non una capricciosa dea da blandire.
Senti ancora per un po' il lungo ruzzolio dei passi lungo le scale.
Per un attimo è silenzio. Di nuovo silenzio: lo inali, lo assapori, a lungo, prima di tuffarti in apnea nel rumoroso mondo esterno.

 
 
 
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