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Abbandonare Tara

abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui

 

 

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Homo ludens

Post n°121 pubblicato il 16 Febbraio 2007 da odio_via_col_vento

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Chi è che disse che il momento del gioco è una delle espressioni più alte dell'essere umano?
Qualcuno che aveva una visione profonda, certo. Ma anche qualcuno che sapeva guardare come l'umanità è cresciuta, forse guardando anche come cresce un individuo.

Un bambino, una bambina. Uguali ma dissimili in mille modi. Dalla genetica, ai ruoli sociali che, si voglia o no, influiscono (hanno sempre influito e sempre continueranno ad influire) sulla crescita.
Ma i giochi, i giochi dell'infanzia: davvero ti costruiscono come persona? davvero possono essere responsabili di quello che la società diverrà, davvero?

E allora ripensando ai giochi che hanno riempito la mia infanzia, piena di bambole, di "fare le signore", di té servito alla sorellina in tazze di plastica: cosa stavo imparando a diventare? Cosa ho realmente imparato?.
E poi tanto teatro, tante storie inventate e drammatizzate ovunque, tanti scenari fatti di cartone, tanti costumi inventati con materiale di recupero. Leggevo e poi cercavo di replicare le storie lette, meglio se drammatiche e dolorose, con me e mia sorella come protagoniste, con stuoli di bambole come comprimari. Anche "fare le signore" era in realtà fare teatro, probabilmente. Rivivere vite altrui, anticipare un futuro.

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E poi la scoperta della libertà, che veniva dietro alla riuscita del piegare il corpo a fare cose inaudite, almeno per la percezione di esso che ne avevo allora.
La gioia di imparare a nuotare: mai più nessun diluvio mi avrebbe sommersa, mai più nessun naufragio mi avrebbe colta impreparata.
O andare in bicicletta: potevo allora sperare anche di imparare un giorno a  camminare sul filo, diventare un'acrobata del circo, girare il mondo.

Così come alcuni dei milioni di giochi che ho visto passare per le vite dei miei figli, mi sembrano caratterizzare meglio ciascuno di essi.
Le interminabili partite a scacchi di UNO, piccolo uomo della logica fin da bambino, che trovava divertentissimo anche solo il confrontarsi con la sua stessa lucidità, sfidare se stesso, esercitare l'autocontrollo e sublimare l'agonismo nella raffinatezza intellettuale. 


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Le stremanti maratone di Dungeons & Dragons che hanno segnato il passaggio alla vita "semiadulta" di TRE: sfinirsi la mente dopo aver speso tutta l'infanzia a sfinire di rumore, frastuono, vivacità, spericolatezza, disordine e caos tutte le vita di chi gli stava intorno. (Proprio in questi giorni, prospettandosi l'occasione di rivedere un compagno delle scuole elementari, poi trasferitosi lontano, mi diceva:"Mamma, se penso al ricordo che avrà di me, a come ero terribile, a quello che combinavo a casa sua, quasi quasi mi vergogno a rivederlo e mi dò malato").

I frenetici videogiochi di QUATTRO. Destrezza, velocità, riflessi potenziati al massimo, costruzione di mondi virtuali, imparare ad agire nel momento stesso in cui il pensiero si forma in mente, non lasciare spazio o tempo che non siano utilizzati.

E i film, i film di DUE: la quantità di videocassette che ancora mi riempiono la casa. Mai pago di immagini in movimento, di storie sullo schermo. Leggeva un libro e subito chiedeva: ma ne hanno fatto un film? ma c'è un cartone animato?
La sua amabile pigrizia distesa su un divano o acciambellata su una poltrona, gli occhi persi nel riflesso luminoso dello schermo, vedeva e rivedeva.
Non sapevi se nel frattempo si imbambolava e sognava un'altra versione, un'altra storia, un altro sé.

 

 
 
 
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