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Abbandonare Tara

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La festa semplice

Post n°212 pubblicato il 23 Dicembre 2007 da odio_via_col_vento
 

 

Georges De La Tour, Maternità, Musée des Beaux-Arts, Rennes.

 

Adesso ci siamo.
Adesso cominciano veramente QUEI giorni. Quelli che una volta, davvero, erano destinati a regali, a cenoni, a gioia semplice.
Perché una volta, davvero, soldi forse ce n'erano pochi per i regali.
Ma soprattutto diversa era la mentalità: non c'era questo spendere continuo, non c'era questa oscena distesa provocante e provocatoria di merci e abbagli ovunque. Una volta se mai osavi farti venire in mente un disiderio, la risposta era sempre quella: a Natale. E anche la domanda già nasceva formulata con una destinazione di tempo "A Natale potrei avere....?".
Era il Natale della famiglia, perché ancora la famiglia aveva un senso, allargato, ampio: zii e cugini fino al terzo grado di parentela, cognati e fratelli dei cognati, quelli emigrati e quelli semplicemente lontani. Tutti compivano uno sforzo sincero: ritrovarsi. Non era cattiva volontà se non ci si vedeva durante l'anno, non era ipocrisia ritrovarsi a Natale. Era cuore, era pensiero, era desiderio di trovare ancora qualche radice comune: ricordi di infanzie lontane, memorie del passato.
Erano le chiacchiere intorno al tavolo del dopo pranzo, quanta storia ho imparato da quei racconti, di guerra, di pace, di paesi lontani, di altre mentalità, di altre idee.
Ho imparato il confronto, mai lo scontro; ho imparato il cicaleccio e il pettogolezzo lieve, le storie incredibili e credibili, nomi di luoghi lontani che sapevano di fiabe e Shangri-là.
Ho imparato la cucina delle grandi occasioni, ho anticipato stress e ansie per un piatto che non sapevi mai se sarebbe venuto bene, la fatica e la noia del rigovernare dopo (un'epoca senza lavastoviglie, ancora): e noi bambine destinate ad asciugare infiniti piatti di infinite portate: ma i calici del brindisi, quelli no, "che magari li rompete". Le tovaglie di lino di fiandra, i meravigliosi ricami di nonne e zie lontane, quella macchia sempre lì, tutti gli anni, che non se ne andava: e allora ogni anno un centrotavola nuovo a coprirla.
Ho imparato come si ama, abbellendo e rendendo calda la casa, i colori dell'albero, i colori della festa, il presespe che fioriva per magia una notte: al mattino ti svegliavi ed era lì, uguale tutti gli anni e magico.
Fantasticavamo storie - o meglio, io inventavo e raccontavo, mia sorella, la piccola, ascoltava rapita- storie che legavano tra loro i personaggi, quei pastori, quelle pastorelle, il nonno e il nipotino, la portatrice d'acqua, la guardiana delle oche, le stelle di stagnola, il laghetto fatto da un pezzo di specchio.
Così si impara la vita, così la si riconosce, nel suo disporsi lento e regolare di giorni, i sentimenti sottaciuti e rassicuranti.
Attraverso questi piccoli riti siamo cresciuti tutti, leggermente diversi di generazione in generazione, cappone e tacchino, agnolotti e lasagne, panettone e struffoli,  caffè e spumante.
E' di nuovo Natale. Buon Natale.

 

 
 
 
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