Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
« eternità a scadenza? | Parole perse » |
FiglitudineQuentin Massys, particolare del Trittico di Sant'Anna Musées Royaux des Beaux-Arts, Brussels Crescono. E non sempre è facile. Né durante né dopo. Prima vengono l'ittero e la crosta lattea, i denti, le otiti improvvise e lancinanti. Ti dibatti tra nottate in bianco, infinite montagne di roba da lavare, pannolini e poppate, frutta grattata, pappine deliziosamente insipide. Ma pensi che passerà, che questo è il periodo più difficile, si sa. Oltre tutto ti manca l'esperienza. Poi, mentre spingi passeggini, da forzata dei giardinetti, mentre fai salti mortali per conciliare baby sitter e orari dell'asilo, pensi che questa è certo la fase più dura: chi lo potrebbe negare? Niente in confronto a prima, adesso che camminano, adesso che si cacciano in mille pericoli, adesso che hanno mille esigenze. Ma giri l'angolo degli anni ed è subito un nuovo affanno, un nuovo ostacolo da superare. Ne senti subito tutta la difficoltà mentre guardi con sospetto le maestre, queste perfette estranee che plageranno la mente del tuo bambino, che lo spaventeranno, che lo puniranno; mentre prepari montagne di patatine fritte (che tanto mangiano solo quelle), mentre ti senti destinata a rimanere piegata in due a forza di raccogliere mattoncini del lego. Poi, quando ti ingegni a passar loro un qualche vago amore per lo studio, compri libri che leggerai solo tu, ti arrendi e ti logori di rimorsi vedendoli incollati alla play station; mentre passi amabilmente i pomeriggi da una palestra ad una piscina, e le sere fra lavatrici, calzettoni di spugna e scarpe da ginnastica, pensi che sì, che forse non erano poi tanto male i neonati. E ancora devi provare altre emozioni, respirare l'odore degli adolescenti in crescita che staziona nelle stanze, permanente e penetrante, fumetti accatastati in bagno, ore di misteriose conversazioni sussurrate a telefono, amici goffi e ingombranti come mandrie di giraffe, capaci di vuotare un frigorifero, a coltivare piantagioni di brufoli ingozzandosi di latte, coca cola e nutella con salame. Pensi che poi passa, sì, che cresceranno. E crescono, certo. Vanno e vengono, smettono di guardarti con sufficienza, ricominciano a parlare: che meraviglia, hanno finalmente imparato a parlare, di nuovo! Ricominciano a vestirsi umanamente, qualche volta si tagliano i capelli. Lentamente scopri anche che hanno delle idee: magari non quelle che ti eri augurata avessero. Come mai insieme al colore degli occhi, all'allergia al cipresso, alla forma delle dita dei piedi e a quel neo sul collo, non sei riuscita a passar loro anche la tua stessa forma dell'acqua? Ti arrendi anche qui, come avevi fatto davanti alle stanze invase da magliette e jeans abbandonati, alla musica impossibile a volume altissimo; come davanti alle coliche d'aria dei primi mesi di vita; come davanti all'antipatia per vestirsi di giallo e all'odio per le olive. Crescono: strade, scelte, studi, lavoro, amicizie e amori non ti appartengono più. Ma ti erano mai appartenuti? Continuano a vuotare il frigorifero, quello sì. |
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