Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Peder Severin Krøyer, The party Intanto c'erano moltissimi bambini (il mio UNO e la mia cara Nuora Effettiva sono in grande ritardo sui loro amici che sembrano tutti ormai ben più "sistemati" di loro e più avviati sulla strada della vita adulta anche per avere già "famiglia"). Poi c'era una foresta di uomini e ragazzi altissimi: una riprova di quanto siano cresciute le nuove generazioni. Mio figlio è molto alto, ma fra i suoi amici stava in media. I parenti erano pochi ma buoni: esclusi fratelli e fidanzate dei fratelli, ce la cavavamo in due tavoli. E fra i "parenti" si contavano anche due famiglie di amici di sempre, di quelli che hanno seguito le nostre vite e le vite dei miei figli; amici quasi zii; famiglia allargata. Abbiamo accolto fra queste grandi braccia anche i 2 (dicasi: due) sparuti parenti della sposa: solo i genitori, essendo lei figlia unica di genitori a loro volta figli unici. Ma ci siamo anche divertiti tanto fra noi vecchi: divertiti e commossi. Avevamo un patrimonio di ricordi di UNO bambino, di UNO ragazzino, le sue prodezze, le sue tenerezze, tanto che i "Ti rammenti?" si sprecavano. Lui è il primo nato della sua generazione: e dunque va a finire che il suo matrimonio è stato un rito di passaggio per tutti noi. Mia sorella ha esordito entrando in chiesa sulle difensive (come è suo solito quando si sente fragile) dicendo: "Non mi dite nulla, non mi guardate nemmeno perché sono tre giorni che piangiucchio qua e là pensando a UNO che si sposa". I fratelli erano tutti e 3 testimoni: incravattati ammodino ed arrivati in tempo (anche TRE che verso le 2.30 di quel fatidico pomeriggio ha pensato bene di andare a farsi tagliare i capelli). Per le cravatte ci ha pensato DUE, che si è ritrovato a dover aiutare a fare il nodo, nel parcheggio della chiesa, tra gli ulivi toscani, non solo i fratelli più giovani, ma anche lo zio, di solito refrattario all'abito buono (scena debitamente immortalata nelle foto rubate, le migliori). Il sacerdote era l'amico d'infanzia di UNO e DUE, cresciuto con loro, scuole e gite, campi di sci e squadre di calcetto, mare e viaggi. Un ragazzino terribile poi decollato verso alte sfere tutto all'improvviso. Che sudava ed era preoccupato più degli sposi, al suo primo appuntamento importante con un grande rito. Una grande festa, anche pensata un po' in grande (dagli sposi: hanno fatto tutto loro), ma che poi è stata quello che noi tutti abbiamo voluto e fatto sì che fosse: gioia, famiglia, amicizia, calore, bene. Quel "volersi bene" che mio figlio ha letto sui volti e negli occhi di tutti e che ha raccontato in un commoventissimo, semplice e acuto discorso, al brindisi di fine festa. Quello che secondo lui era il bello del fare festa e dello sposarsi: ritrovarsi circondati da chi ti ama e vedere che gioisce per te, in modo del tutto disinteressato, solo perché fa bene vedere che chi si ama è felice.
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e che vuoi aggiungere? Davvero è questo il senso bello di una festa d'amore
Ancora auguri agli sposi!