Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Ellen Siegels, Study portrait
Per via di tutta una serie di eventi familiari (matrimoni e battesimi, soprattutto) riflettevo su una abusata considerazione che si legge spesso sulla stampa, riassunta nella frase "40 sono i nuovi 30" e via di seguito. Che significa, in pratica, che oggi le persone di 40 anni si considerano, ma non solo, vivono come se avessero 30 anni.
Ma anche (cosa più interessante per certe generazioni che non ammettono di invecchiare) che i cinquantenni di oggi si considerano quarantenni, i sessantenni si comportano da cinquantenni e così via.
C'e molto di vero in tutto ciò: le aspettative di vita e, fino ad un certo punto, la qualità della vita stessa, per quanto riguarda gli ultracinquantenni, hanno portato a dilatare questa età di mezzo, una volta riservata ai quarantenni, dilazionando oltre ogni dire il momento in cui una persona (ma anche una società) accetta di dirsi appartenente alla terza età (o, fuor di metafora, "anziano" e "vecchio").
Così per quanto riguarda i giovani, i trentenni, ma, a questo punto, anche i quarantenni che spingono prepotentemente all'indietro, verso la gioventù, la propria appartenenza generazionale (si veda anche il "nostro" presidente del Consiglio, che una riuscitissima definizione di Crozza qualifica come un quarantenne che si crede trentenne, veste come un ventenne e pensa come un decenne). Nel loro caso (M.R. e la sua gang esclusi, è ovvio), l'essere a 40 i nuovi trentenni deriva anche e soprattutto dall'incertezza economica e lavorativa che prolunga artificiosamente ma necessariamente il limbo adolescenziale, in cui un giovane dipende ancora economicamente dalla famiglia di origine.
Di seguito, poi, vengono le mode, viene il come ti vesti, come ti atteggi, come ti DEVI sentire. Apparire quello che la società vuole che tu sia. Abiti, trucchi e famigerate e illusorie tinture per capelli, chirurgie estetiche, "stiraggi" della pelle vari. Ma anche come ti devi presentare, visto che lavori ancora, che sei chiamata e rappresentare quello che produci, a vivere una vita frenetica, in un'epoca in cui, nelle generazioni passate, si cominciavano invece a tirare i remi in barca.
Poi, un giorno, mercé un certo abbassamento della vista, oppure una distrazione vaga (che dio-ne-guardi chiamare obnubilamento dell'età), ti capita di vedere casualmente per strada, in un'auto che passa, nel riflesso di una vetrina, sul marciapiede opposto, una persona che non esiti a classificare come VECCHIA nella tua percezione. Una nonna dal passo un po' incerto, un vecchione curvo, uno che ti dici "ma gli hanno rinnovato la patente?"; oppure "ma che avrà da guardare quella vetrina, mica sono abiti adatti a lei". E d'improvviso ti accorgi che è il tuo ex-compagno di scuola, la cugina con cui hai giocato intere estati al mare, il collega che hai sempre considerato (anche ieri) un bell'uomo fascinoso.
Son colpi. Sì, colpi bassi che la vita ti gioca. Per quanto ancora puoi illuderti di essere un caso a parte, una felice combinazione genetica, una persona che non dimostra i suoi anni, rara avis in un mondo che inesorabilmente e crudelmente invecchia?
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