Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Questo luogo rappresenta molto per me: l'ho conosciuto al mio ingresso nel mondo della ricerca.
Era un luogo mitico, in quel tempo quasi precluso a noi italiani.
Era stato abitato da un famoso personaggio in bilico tra collezionismo, studi e mercato antiquario. Che aveva battuto le polverose campagne fiorentine e senesi all'inizio del Novecento, cercando tesori da rivendere ai ricchi magnati americani che, con gusto discutibile, cercavano di ricreare immaginarie dimore veneziane e palazzi fiorentini, in un pastiche, un sincretismo, una contaminazione, che oggi ha il fascino comunque del kitsch e di una cultura disordinatissima ma animata di amore sincero.
Lui no: lui era un piccolo ebreo lituano, di immigrazione recente, il cui genio, la cui furbizia e, pare anche, le cui doti amatorie, avevano fatto breccia nella buona società bostoniana. Tanto che ricche signore un po' ageè lo avevano mantenuto agli studi e gli avevano pagato l'inizio di questo sogno italiano. Il resto venne poi: con una clandestina (ma nemmeno troppo) attività di mercato d'arte.
Dove, in mezzo a qualche grosso colpo che ha impoverito il patrimonio italiano, mi diverto sempre a rintracciare anche dei falsi scaltri e ingegnosi che abili artigiani senesi riuscivano comunque a rifilargli.
Il suo fantasma aleggia su questo luogo. Qualcuno dice di vederlo ancora.
A me non è mai capitato. Ma non nego che mi piacerebbe. E in un certo senso pare impossibile non evocarlo, mentre si cammina su qegli scricchiolanti pavimenti in legno, si studia nella sua biblioteca, si prende il té nel suo giardino, si legge magari il giornale (rigorosamente il New York Times) seduti sulla sua poltrona.
La casa è ancora arredata con i suoi mobili; le stanze si chiamano con i nomi della sua amante, della moglie, del cognato.
Il panorama è ancora quello: con ammirabile perspicacia comprò una porzione consistente di terreno tutto intorno: vigne, uliveti, campi. Per difendersi da una città che già da allora paventava incombere sul suo buen ritiro.
Fu forse uno degli ultimi che videro o credettero di vedere un'Italia d'oro: l'oro dei fondi dei dipinti che andavano ammirando (e razziando) nelle chiese buie, nelle campagne. L'oro dei limoni, che non mancano mai in questi giardini ideali, segreti e nascosti, che dovevano, nell'immaginario dell'epoca, ricostruire l'equilibrio e la classicità del mito italiano del Rinascimento.
Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn? (W. Goethe)
Ma poi la storia ha deciso diversamente. La storia e il mito hanno avuto la vittoria finale.
Loro sono passati, hanno assaporato, creduto di intrappolare nei libri, di comprare col danaro il mito antico e le sue vestigia.
Ma la vera essenza rimane qui. E' la storia che ha catturato, impanaiato loro, in vita, e ancora, i loro fantasmi, in morte.
E il "bel paese" sopravvive anche grazie a coloro che volevano depredarlo: i fantasmi di ciò che è stato non erano allora e non saranno mai in vendita. Ed è così che
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.
(E. Montale)
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E allora ho deciso di aprire un FOTOLOG:
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