Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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E si andavano a trovare i parenti di campagna: un termine strano, oggi che, se i parenti non vivono in città, in campagna (beati loro) ci stanno per scelta.
Ormai quasi nessuno ha più i parenti di campagna veri, quelli che si andavano a trovare un paio di volte l'anno, entrando in bui enormi antri usati come cucine, con l'odore del fumo, il freddo largo che ti avvolgeva appena al di là del cerchio ardente del camino.
Quei parenti dai nomi improbabili (le campagne toscane ne erano piene una volta), traslitterazioni fantasiose di personaggi di opere liriche, dell'Orlando Furioso o della Divina Commedia imparate a memoria - la grande cultura orale, i poeti estemporanei, le memorie del focolare.
C'era una cugina Abigaille, uno zio Malachia, una Primetta dalle guance tonde e rosse che nessuno sposò, un Rionero (questo nome non ho mai capito da dove venisse) alto alto e con le mani dure e callose per il lavoro nei campi.
Una Palmira che si fece suora e, incredibilmente, nemmeno cambiò nome; Benito, Garibalda; Gioventù e Giovinezza, solo apparentemente simili, denunciavano irresponsabili e impietosi padri, schierati su fronti opposti.
Quelle domeniche dalle quali si tornava con l'auto piena di damigiane di vino sfuso, verdura, patate. Dopo aver mangiato incredibili fette enormi di pane e salame: un pane diverso, un po' umido, compatto, tagliato alto, tutto crosta e mollica, talvolta con un salume speciale, aromatico, morbidissimo quasi burroso, la finocchiona (chiamata "sbriciolona" quando era particolarmente buona, speciale, un sapore che non si dimentica).
A ottobre c'erano grandi frutti rossi, troppo dolci, che ti si appiccicavano alle mani e incollavano la bocca. Facevano tappeti macchiati di rosso sull'erba intorno agli alberi, cadevano da soli, pesanti, la buccia si spaccava ed era subito poltiglia dolce. Il primo lo mangiai poggiato su un foglio a quadretti di un piccolo block notes. Non mi piacque neppure. Ma era ottobre e quel frutto era come l'estate, si disfaceva. E questo aveva un senso. Ce l'ha ancora.
Poi a novembre c'era odore di fumo, noci e il primo vino nuovo, frizzante.
Se ne beveva un bicchiere solo, tanto per controllare come sarebbe stato il vino a fine processo: non era ancora stato "inventato" il vino novello.
Il primo lo bevvi molti anni dopo, da giovane sposa e giovane mamma. Rimane per me legato ad una idea di rito della fertilità e della felicità. Ma questa è un'altra storia.
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