Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Ci sposammo a due settimane di distanza. Ma prima di essere in quattro eravamo in due: io e lei amiche fin da piccolissime. Di quelle amicizie che nascono giocando da un terrazzo all'altro: la mia sfrenata fantasia ha sempre costruito regni paralleli, in cui convincevo tutti entrare e da bambine erano fiabe principi e streghe (ignare vicine di casa, temutissime perché ci rimproveravano il cicaleccio dei pomeriggi d'estate).
Poi ci sono stati i palpiti adolescenziali, le prime festicciole in casa, lei sbocciata prestissimo, prestissimo truccata, prestissimo consapevole del gioco del corteggiamento; io che mi sentivo un brutto anatroccolo. Anzi, una brutta giraffa: avrei poi benedetto la mia altezza, ma a quell'età anche un pregio, se è solo tuo, se ti rende diversa dagli altri, lo vivi come un difetto.
Poi è venuta l'età adulta e questi germogli di vita che potevano perdersi, come tanti altri, invece sono sbocciati, si sono allargati come una cortina di rosei rampicanti sulle pareti delle nostre vite nuove.
I due ragazzi -i due uomini- hanno amato questo spazio comune, hanno costruito un loro rapporto qui dentro (se mai esiste una amicizia maschile - io questo non l'ho mai capito), non so come, non so perché; è stato un fatto naturale, quotidiano del quale non saprei nemmeno rintracciare il vero inizio.
Fatto sta che abbiamo, da qualche parte, una casa comune, un nostro angolo di tempo fuori dal tempo, in cui viviamo noi quattro.
In certi periodi della vita è stato quasi quotidiano: le lunghe vacanze estive, i sabati, le lunghe partite a Risiko o a Sacrabeo Scarabeo, le cene da soli, messi a letto i ragazzi. Le domeniche d'inverno, le nuove ricette da sperimentare, le castagne arrosto e il vino novello.
Una casa che ha visto giorni splendidi e giorni difficili: così com'è la vita.
Lei si è ammalata gravemente e combatte con forza, caparbietà, spesso senza speranza, ma poi si apre un varco e lei è lì, costi quello che costi: sofferenze, trasformazioni fisiche, dolore, terapie pesantissime. Lì in prima fila.
Poi mi sono ammalata anch'io: è meno grave, è solo un subdolo serpente strisciante che ti morde di continuo, ti si arrotola intorno ai giorni, succhia energia e serenità e forza perché devi essere tutta concentrata a tenerlo sotto controllo.
Tutto è cambiato, di quei giorni di vino e rose non ne sono rimasti molti, talvolta nessuno.
Abbiamo continuato a cercare di creare Natali, compleanni, vacanze, ma lo spazio per noi, la casa comune ce la siamo dovuta reinventare.
Sono state più spesso sale d'aspetto di ospedali e medici, aspettare in punta di piedi che passassero dolore, nausea, tormento.
Talvolta uno sprazzo benevolo di pace: e allora, come stasera, cacciamo i figli, ci sediamo ad un tavolo in quattro, mentiamo a noi stessi - e siamo qui: vino e rose.
E non son triste. Ma sono
stupito se guardo il giardino...
stupito di che? non mi sono
sentito mai tanto bambino...
Stupito di che? Delle cose.
I fiori mi paiono strani:
Ci sono pur sempre le rose,
ci sono pur sempre i gerani...
(Guido Gozzano)
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