Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Picasso, Sad Mother with Child
(che non è un post sulle svendite di fine stagione, anche se da una svendita prende spunto).
Ieri andando per negozi con TRE (che ormai è nell'età in cui all'abbigliamento - e alla sua cura estetica - tiene molto) ho comprato un maglione per QUATTRO, azzardando notevolmente, perché di solito lui è di difficile "contentatura". Ma sono andata sul sicuro, scegliendo quello che non piaceva a me, ero certa che sarebbe piaciuto a lui.
E così è stato. E stamani, il nostro rospo, che ieri ha appena degnato l'acquisto di un mugugno, è andato a scuola con lo stesso cipiglio di disgusto di tutte le mattine, appena appena rasserenato dall'indossare il maglione nuovo.
Acquistandolo mi sono posta per un attimo la domanda del perché comprarglielo.
Non se lo merita, a scuola va male come al solito; non è una pur vaga festa legata a lui; non ci sono nemmeno miglioramenti generali, di tono, di umore, di niente.
Eppure anche la mia domanda ha avuto una immediata risposta nel mio moto interiore: "Glielo compro perché sì. Perché è lui".
In fondo la mia risposta è la risposta ad una delle voragini dentro di me, quella dell'amore che si merita. Non so perché, non so come, ma è certo che da qualche esperienza dell'infanzia, dalla severa e rigorosa educazione ricevuta, sono stata indelebilmente segnata dal marchio della necessità di meritarsi l'amore. Essere brave bambine, essere giovinette impeccabili, andare bene a scuola, non dispiacere i genitori; e queste erano cose richieste, nemmeno imposte, solo (solo?) inderogabili modi di essere. Non si poteva altro che essere così. Ed essere così rendeva felice la mamma e orgoglioso il babbo.
E fin qui....
Il guaio è che anche dopo, anche quando nessuno me lo ha chiesto, ferma è rimasta in me la convinzione che l'amore si meriti: essere sempre all'altezza di tutto, rispondere ai bisogni di tutti, farsi in quattro, in otto, in dodici; saper cucinare, saper conversare, saper educare i figli....E quando non ce la fai, quando qualcosa ti sfugge, quando semplicemente qualcosa non ti va, la paghi in sensi di colpa, in malessere interiore, in convinzione di non essere amata.
Il senso dell'amore gratuito non è mai stato compagno della mia crescita; la certezza di essere amata anche se mai avessi sbagliato, mi fossi macchiata di qualche colpa (o qualche peccatuccio veniale), quella non mi è mai appartenuta.
Probabilmente devo anche a questo l'essermi affermata negli studi e nel lavoro: alla ricerca di una approvazione definitiva e finale che colmasse la mia mancanza. Ma certo solo io conosco quel vago senso di debolezza, quella vocina crudele che spesso parla da dentro di me e irride i miei successi, la frustrazione che si alimenta e si conferma ad ogni sbaglio, ad ogni mancanza, ad ogni fragilità.
Come sempre le compensazioni che si mettono in atto nei confronti dei figli non saranno scevre da rischi: avrò tirato su una squadra di maschi sicuri di sé, ma anche di poca responsabilità, pronti a pretendere gli stessi favori, onori e doni che da me ricevono solo per il "merito" di esistere?
Non so. Non sono in grado di valutare per ogni azione le lontane, future conseguenze che avrà. Non sono mai stata brava a giocare a scacchi.
Però, nel mio modo di concepire la maternità, c'è posto anche per un certo compiacersi della speranza che QUATTRO si ricordi di aver appreso un giorno cos'è la gratuità dell'amore anche da un orribile maglione azzurro a losanghe nere.
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