Abbandonare Tara

leggersi tra le righe

Inevitabile. Ci sono romanzi di iniziazione.

Alla nostra epoca, almeno, c'erano. E per le ragazze Le Piccole Donne era una lettura quasi d'obbligo: non potevi crescere senza.
I sogni, le aspirazioni, le buone intenzioni e anche le "cattive ragazze" di una volta si sono modellate su quelle quattro sorelle del New England della metà dell'Ottocento.
Ci potremmo chiedere cosa mai ci trovavamo noi, più di un secolo dopo: come facevamo a identificarci in Natali di ghiaccio e agrifoglio, in cibi sconosciute, in guerre mai sentite nominare, in slitte, pattini, padri pastori (difficile a capirsi, alla prima evocavano armenti al pascolo), epidemie mortali di scarlattina e viaggi in Europa.

Ho a lungo sospettato che fossero le nostre madri a proporci un sogno antiquato, per paura che spiccassimo il volo troppo presto, in una società che già premeva oltre i vetri spessi dei nidi caldi in cui ci tenevano.
Però un qualche merito l'avrà avuto anche il romanzo la capacità di ritagliare quei quattro caratteri esemplari, esportarli, quasi innalzarli ad icona di eternino femminino. La docile, la ribelle, la timida, l'estrosa.
Tutte, è vero, ci siamo identificate in Jo, la ribelle, l'intellettuale, la scrittrice, la generosa e impulsiva Jo. Anche chi era timida e riservata; anche le egoiste e le pigre; anche le pacioccone e le conformiste. Tutte sono state, nel sogno, la vera protagonista del libro, cui le sorelle tutto sommato fanno da comprimarie. Il libro è strutturato così, Jo è un personaggio quasi autobiografico, Louisa Mary Alcott idealizza se stessa e la propria vita, nel raccontarla.

Quanto a me mi sentivo (e mi sentirei, se ne avessi ancora voglia) una Jo quasi perfetta: non per niente ho sempre odiato le attrici che la interpretavano. Troppo leziose, troppo basse, troppo spigolose, troppo insulse.

Di recente mi sono comprata una bella edizione integrale di tutti e quattro i romanzi della saga: e li ho riletti, religiosamente, in punta di piedi. Quasi sentendomi una estranea nel mio vecchio mondo dell'infanzia.
Troppo grande: sarei la madre delle piccole donne, ormai.
Pronta a diventare la vecchia e bisbetica zia March, da un momento all'altro, se mi lascio andare alla mia vena brontolona e sarcastica.

E così, dall'esterno, mi sono soffermata a guardare quei Natali verde e oro, quei pianoforti coperti da stoffe pregiate e illuminati da candele, quelle feste, quei bambini a scuola, i bauli in soffitta, i batticuore e i raccolti di mele.

E mi sono accorta di avere vissuto, lungo gli anni, un po' tutte quelle quattro vite.
Di essere stata Meg, presto mamma, gioia serena e domestica, a ripercorrere le orme di tante vite passate.
Di essere stata Jo, proprio come volevo: cocciuta determinazione, carriera, appagamento delle aspettative del padre.
Di essere stata Amy, viaggi e arte, tanta ansia da ultima arrivata, entrata nel bel mondo, per poi dire "tutto qui? è altro quello che conta".
Forse Beth no, forse non sono mai stata Beth. La vita con me è stata generosa, l'ho vissuta, non ho dovuto guardare vivere gli altri. Forse nemmeno avrei saputo vivere così, di dolcezza e assenza.

E poi? E poi sì: e poi ho avuto anche quello. L'unico vero grande amore, il bacio sotto l'ombrello.