Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Inevitabile un post sull'amore, oggi? Forse.
Ma inevitabile, almeno per me, pensarlo in un'altra chiave da quella dei baci perugina (che pure adoro); delle rose (che vorrei tanto); dei cuoricini e degli amorini (che fanno tanto sedici anni: ma peccato che alla mia epoca San Valentino praticamente non esitesse).
Come si fa a non pensare all'amore negato, all'amore respinto, all'amore conculcato, all'amore sprecato, in questa nausea di colore rosa e rosso che ci inonda, in una selva di sciocco consumismo?
All'amore dei vecchi, al loro bisogno di compagnia, di comprensione, di carezze sulla pelle avvizzita, di pazienza e di baci; di ascolto.
All'amore dei ragazzini soli davanti ai videogiochi, senza più infanzia nei cortili, compagni di gioco, sassi e lucertole, albero delle mele e lucciole nel bicchiere. Di ragazzini soli, di ragazzini senza fantasia, di ragazzini senza calore umano, senza graffi e sbucciature sulle ginocchia, senza marmellata rubata, perché le dispense non esistono più e le marmellate (che complicazione!) chi le fa più?
All'amore degli extracomunitari ai semafori, in attesa pochi spiccioli che a noi non cambiano la vita, ma forse fanno la differenza della loro giornata; all'odio e la disperazione di giornate al freddo o al sole; a quegli sguardi su una società che non li vuole; parole che non capiscono, odori diversi, cibi sbagliati, disperazione, fame e buio del futuro.
All'amore della corsa senza fine di giornate piene, stress di impegni che si ripetono, tempo che non basta, traffico e smog, palazzi e strade che non vedi più, persone che incontri tutti i giorni e non riconosci, ipermercati, catene di montaggio del consumismo, tempo che non ti appartiene, anonimo tra anonimi.
All'amore della malattia che si trascina, giorno dopo giorno; nausea che ti mangia lo stomaco; dolore che inebetisce; lupo che ti sveglia la notte; paura del domani. La malattia che ti accompagnerà sempre, quella che ti porterà via. La malattia di chi ti è caro, di chi ti passa accanto per via, segnato e riconoscibile come il lebbroso del medioevo che faceva tintinnare la capanella. La malattia che ti fa accorgere che esiteva la salute, un giorno passato e che tu non avevi riconosciuto. La speranza legata ad un farmaco, le vene consumate e indurite, la vecchiaia precoce.
All'amore che ci passa vicino e abbiamo paura di chiamare, di riconoscere. E che sprechiamo: per non saper tendere una mano, per comodità, egoismo, pavidità, conformismo; per aridità; perché nessuno ce lo ha insegnato. O forse solo perché abbiamo dimenticato.
O scelto di non amare.
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