Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Jean Liotard, Still Life Tea Set
Il tè lo identificavo con la malattia.
Un po' di influenza, un disturbo qualsiasi e la mamma eliminava drasticamente il latte dalla nostra dieta e sostituiva a quella bianca bontà questa specie di acqua tiepida dal sapore indefinibile: una cattiveria nella sfortuna della malattia, mi sembrava.
Ad un certo punto dell'infanzia venni a sapere che il tè era ammantato di qualche significato sociale importante.
Che in certi ambienti bene si serviva tè, invece del caffè pomeridiano che la mia mamma beveva con le zie, nel cicaleccio e nel sole che entrava di traverso dalle persiane socchiuse, illuminando il tavolo da lavoro intorno al quale cucivano, ricamavano, si scambiavano ricette e bonari pettegolezzi e sotto al quale noi bambine giocavamo cercando di imitarle.
E venne il giorno in cui le porte di uno di questi salotti si aprirono anche per noi. Dopo settimane di preparativi e di aspettative, di insegnamenti su come sedersi appena in punta al divano, come sorreggere tazzina e piattino in difficili equilibrismi, quanti biscotti prendere per non apparire né sgarbata né golosa, come sorridere e come salutare, nonché l'inimitabile arte dell'essere invisibile in quanto non appartenente al mondo degli adulti, finalmente entrai nel sacrario.
Ricordo quella casa che appariva un po' museo, ai miei occhi, il pulviscolo luminoso che entrava dalle persiane socchiuse del primo pomeriggio, un'aria rarefatta ed un curioso odore di chiuso, nel salotto buono, pieno di mobili, centrini di trina, soprammobili e quadri.
Ricordo il bacio distaccato della signora, l'odore di cipria che emanava, il mio incerto mezzo inchino, i sorrisi di circostanza.
Ricordo il fascino di quella tazza di porcellana, il rito di iniziazione, la liturgia di un'entrata nel mondo degli adulti.
Ero una "bambina grande": nella mia gonnellina a larghe pieghe piatte di un tessuto che un po' bucava le mie gambe nude, con i calzettoni bianchi di filo, seduta composta, attenta a non alzare il dito mignolo mentre sorseggiavo compunta, ero stata ammessa a sbirciare, dal basso, la vita degli adulti.
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E allora ho deciso di aprire un FOTOLOG:
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