Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Joaquim Sorolla, Playa
Da bambina le vacanze erano lunghissime.
Prima c'era il tempo mite dei grilli e delle lucciole, la notte.
Il tempo in cui godevi la ritrovata libertà e anche una passeggiata appena fuori città, i prati e il gracidare delle rane: erano istanti eterni, non ancora bruciati dal sole e dall'afa.
Ma duravano poco: arrivava presto il tempo delle cicale, ossessive e stordenti, delle mattine in cui ti svegliavi gia' madida di sudore, in cui di notte potevi solo sperare nelle zanzare.
Eppure andava bene cosi', quasi non te ne accorgevi, perche' era gia' il tempo, infinito e vastissimo, del mare.
Tempo di sabbia, di ciambelle dolci, di arselle tirate su con le mani, a riva, di bicicletta, di amici, di partite a pallavolo sulla spiaggia.
Nessuno la chiamava ancora beach volley, ma ti tagliava le gambe ugualmente ed ugualmente era un'occasione di piccoli amori nati sull'ammirazione per un punto segnato, per una schiacciata ben fatta, per un guardarsi, maschi e femmine, in una fisicita' in azione, piu' esibita e consapevole perfino di quella del nuoto.
Anche le rare giornate di cattivo tempo erano una gioia: il vento di libeccio che gonfiava il mare, tempo per passeggiate sulla battigia, per sfoggiare un golfino nuovo (come bucava la lana sulla pelle abbronzata!) - si', perche' e ' esistito, per quanto oggi possa sembrare impossibile, un tempo in cui le felpe erano ancora di la' da venire.
E poi, tre giorni dopo (tre giorni dura la libecciata), c'era la caccia alle conchiglie portate a riva dal mare grosso, spesso un tappeto di frantumi, nel quale cercare il tesoro intatto. Che poi la mamma, una volta tornati in citta', ci avrebbe aiutate a incollarle su una tavoletta di legno, a farne una composizione delicata ed elegante da portare a scuola.
La scuola, gia': le scuole ricominciavano solo il primo di ottobre.
E agosto era ancora un mese da godersi senza spettri alle porte; settembre era ancora un mese di piena vacanza.
Era il mese della spiaggia tranquilla, delle canzoni cantate all'ombra delle cabine, dei pomeriggi in pineta a cercare i primi funghi, delle cacce al tesoro, delle lunghissime nuotate fino alle boe, lontane, su un mare piatto come una tavola e luccicante, dei giri in patino o in barca a vela (che fortuna ricevere un invito per farlo, che fortuna il catamarano, improvvisamente arrivato da altri lidi a fare moda anche da noi).
E poi si compravano i primi quaderni, speciali e diversi da quelli che poi avremmo trovato in citta', le vecchie cartolerie di una volta, con merce unica di citta' in città'.
Si riassaporava il gusto di chiudere una stagione e di aprirne un'altra. I vestiti estivi tornavano nei bauli, con sacchetti di lavanda a profumarli in attesa dell'anno dopo. Che sarebbe arrivato, immancabilmente, uguale a quello appena trascorso.
"Stessa spiaggia, stesso mare", come diceva una canzone dell'epoca.
Impossibile pensare che non sarebbe stato cosi'.
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