Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Filippo Lippi e bottega, Pala della Trinità, particolare
Si dice che i momenti più pericolosi del volo aereo siano il decollo e l'atterraggio.
Ma non solo di quello aereo.
Volare può essere un'avventura, qualsiasi volo. C'è l'eccitazione del lasciare il suolo, mista a paura, all'inizio. Vedi il panorama abituale, le cose che conosci e che finora ti fornivano punti di riferimento, allontanarsi, rimpicciolisi sempre più.
Il volo ti dà poi un senso di ebrezza, appena superi le nuvole e viaggi in quella enorme bolla senza confini e senza tempo, né notte né giorno, né sereno né tempesta, solo la schiuma morbida sotto di te e una indistinta luce intorno.
Ma sai che non può durare. E anche questa irrealtà alla fin fine ti stanca, ti pesa addosso, finita l'ebrezza ne percepisci tutto il tradimento e l'offuscamento dei sensi.
E poi, pian piano, cominci a scendere di quota. Sì, viaggi ancora. Ancora ti puoi illudere che il viaggio duri all'infinito, ma la discesa già dovrebbe essere un segnale di per sé.
Scendi e cominci a vedere elementi noti di un paesaggio ignoto, altri alberi, altri fiumi, altre città.
Chissà se sono le stesse da cui hai voluto allontanarti e chissà se ill volo, in realtà, non sia stato altro che un lungo giro in tondo, al di sopra del visibile, un tenerti sospesa e lontana, solo per poi apprezzare di nuovo ciò che sentivi un limite, prima.
Plani per atterrare e sai che c'è un ennesimo rischio anche in quel tornare a terra.
Sai che ai primi passi che muoverai, sui gradini della scaletta, ti girerà un po' la testa. La gente si accalcherà intorno a te e ti spingerà, convulsamente ansiosi di raggiungere qualcosa o qualcuno. Ma non per te, per te sarà un momento di faticoso riappropriarsi della tua gravità, del tuo corpo, della tua realtà.
E anche questo è un cambiamento, una crescita, un segno del tempo.
Un passo da compiere.
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