Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Ma cos'è il "genio" nella sua specifica declinazione fiorentina?
Al di là della fortunata e intelligente rassegna organizzata ormai da qualche anno dalla Provincia, che coniuga abilmente cultura (anche un po' stantia, da accademie e biblioteche), arte e artigianto, mestiere e scenicità, recitar cantando e turismo, affari e politichese?
Io non ho mai trovato parole migliori di quelle che usò Vasari, per spiegarsi e spiegare come mai, in un certo volgere di anni, tutti gli artisti ambivano venire a Firenze per imparare e perfezionarsi.
Leggetelo (chiedo venia per l'italiano antico, ma, si sa, Vasari era un po' provinciale...un aretino....e quindi....):
"....in Firenze più che altrove venivano gli uomini perfetti in tutte l'arti e specialmente nella pittura, attesoché in quella città sono spronati gl'uomini da tre cose:
- l'una dal biasimare che fanno molti e molto, per far quell'aria gli ingegni liberi di natura e non contentarsi universalmente dell'opere pur mediocri, ma sempre più ad onore del buono e del bello che a rispetto del facitore considerarle;
- l'altra che, a volervi vivere, bisogna essere industrioso, il che non vuole dire altro che adoperare continuamente l'ingegno et il giudizio et essere accorto e presto nelle sue cose, e finalmente saper guadagnare, non avendo Firenze paese largo et abbondante di maniera che e' possa dar le spese per poco a chi si sta, come dove si truova del buono assai;
- la terza, che non può forse manco dell'altre, è una cupidità di gloria et onore che quella aria genera grandissima in quelli d'ogni perfezzione, la qual in tutte le persone che hanno spirito non consente che gli uomini voglino stare al pari, nonché restare indietro, a chi e' veggono essere uomini come sono essi, benché gli riconoschino per maestri, anzi gli sforza bene spesso a desiderar tanto la propria grandezza che, se non sono benigni di natura o savî, riescono maldicenti, ingrati e sconoscenti de' benefizii.
.... perché Firenze fa de li artefici suoi quel che il tempo de le sue cose, che fatte se le disfà e se le consuma a poco a poco".
Insomma il genio fiorentino è questo vivere perennemente in sfida col mondo che ti circonda: una sfida beffarda, giocata sui motti di spirito, sull'alzata di spalle, ai confini tra understatement e un certo snobismo.
E' un modellare e rimodellare di continuo la propria intelligenza; sentirsi chiamati al confronto; creare la sfida anche quando non c'è; prendere la vita con una sottile vena polemica; dimostrare interesse e amore con la battuta salace.
E' giocare sempre al ribasso con le conquiste altrui; essere il sicopompo del potere e del successo; niente mai brilla di luce perenne a Firenze.
Baccio d'Agnolo che provò a completare la decorazione marmorea del tamburo della cupola, venne tacciato con feroce ironia, da Michelangelo, di aver fatto una "gabbia da grilli".
Lo scultore della fontana di Piazza Signoria, crudelmente ribattezzata "il Biancone", è passato alla storia per una filastrocca cucitagli addosso dai fiorentini ("Ammannato Ammannato, quanto marmo hai tu sprecato").
L'ironia si taglia a fette; il sarcasmo si vende a etti.
I bambini sono creciuti a prese di giro continue.
Ci si ammala, probabilmente, di ansia da prestazione; ma con la sana consapevolezza, mai come qui, che nemo propheta in patria.
Un popolo che ha esiliato Dante; che ha inventato una causa di sodomia per disfarsi di Leonardo; ferocemente attaccato alla democrazia, tanto da avere immaginato un sistema di rotazione della rappresentanza incredibile, in cui le massime cariche duravano anche soltanto due mesi.
Un genius loci con cui confrontarsi, stimolante ma anche molto difficile.
In fondo non siamo noi quelli che hanno inventato la parcellizzazione infinita delle fazioni? Guelfi contro ghibellini e poi guelfi bianchi contro guelfi neri?
Mai fidarsi di un fiorentino al potere.
Oppure sì, invece. Ottima garanzia di alternanza, almeno.
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