Creato da odio_via_col_vento il 03/11/2005

Abbandonare Tara

abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui

 

Messaggi di Aprile 2013

Mamma imperfetta

Post n°592 pubblicato il 25 Aprile 2013 da odio_via_col_vento
 

 

Paulis Postazs, Family

 

Chissà come davvero mi percepite, adesso che le adolescenze con le loro fisiologiche ribellioni sono passate, adesso che della dolcezza e delle coccole dell'infanzia c'è solo un vago ricordo, stemperato nella nostalgia.

Quando qualcuno di voi avanza una vaga idea di un futuro di famiglia e figli, mi immagino che sia perché è stata bella l'idea di famiglia che vi abbiamo trasmesso: e ne gioisco.
Scioccamente, perché, in realtà, molta di quella "famiglia" l'avete fatta voi, i figli, ben più che noi, i genitori.
Eravate voi, con i vostri bisogni, i vostri rifiuti, la curiosità e l'attaccamento alle tradizioni (fosse anche solo contare le mattonelle che separavano la cucina dalle camere o mettere i posti a tavola sempre in una certa maniera), le domande e quell'affidarsi spontaneo, che ancora talvolta affiora, a creare un vincolo irrinunciabile e unico che ci teneva insieme molto più del nostro crederci e del nostro impegnarsi.

Quando qualcun'altro, che invece potrebbe, svicola abilmente da ogni allusione a creare una famiglia, allora mi creo sensi di colpa e rimproveri e mi domando se il nostro essere tanti, sempre e ovunque, famiglia stretta e famiglia allargata, non abbia ingenerato un senso di soffocamento e di eccesso.

Poi penso a quelle tavolate infinite, ai giochi e agli scherzi e ai nomignoli che continuano, si perpetuano nelle generazioni; penso alle vacanze lunghissime delle estati passate, gelati e frutta che sa di sole, libertà a mare; penso all'insegnare e all'appprendere: latino, sì, il "maledetto", ma anche nuotare e andare in bicicletta, allacciarsi le scarpe, mescolare i colori, passare il check in di un aeroporto.
Penso che si insegna e si apprende in tanti modi diversi, in momenti canonici e in momenti sbagliati, quando ero perfetta e quando ero ben lungi dall'esserlo, dalla pace e dal litigio, dalle discussione e dalla condivisione.

Penso che qualcuno di voi ha imparato la determinazione e la volontà, l'inseguire i propri sogni e realizzarli.
Qualcuno ha imparato la dolcezza e la tenerezza, il pigro vagare con la mente e l'amore per il bello e la creatività.
Qualcuno ha imparato la libertà, quanto costa e quanto è cara, lo spirito critico esaperato, il rimandare le noie all'infinito per poi cavarsi di impaccio all'ultimo minuto.
Qualcuno ha imparato quel senso di sospensione verso l'ignoto, il chiudere le porte sul proprio privato, allontanare con un sorriso chi cerca di intrufolarsi nella tua vita, la gelosa difesa ad oltranza dei sentimenti e dei rapporti.

Qualcosa che passa col DNA, qualcosa che si impara vivendo insieme; qualcosa che si imita, qualcosa che si costruisce autonomamente.

Questo ho potuto offrirvi, nella mia imperfezione, nel mio fuggire, talvolta, nel mio essere mamma troppo presto e, forse, troppo tardi, nel mio volere tutto e troppo.
Chissà come mi percepite voi, cosa ricordate e cosa valutate.
Non ci possono essere i bilanci dei sentimenti, di un rapporto tanto grande e tanto complesso, della crescita della vita autonoma di un individuo. Meglio che non ci siano.
Chissà. 

 

 
 
 

no comment

Post n°591 pubblicato il 21 Aprile 2013 da odio_via_col_vento
 

 
 
 

C'è museo e museo

Post n°590 pubblicato il 15 Aprile 2013 da odio_via_col_vento
 

 

Lina Apple, Mona Lisa

 

Vengo a sapere che molti sono rimasti impressionati e folgorati dalla notizia uscita sulla stampa nei giorni scorsi riguardante il presunto scandalo che i nostri musei incasserebbero meno del Louvre.

Ebbene: non ne dubito.
Ma non sono dati paragonabili. Per usare un vecchio adagio: cosa c'entrano i limoni con gli autobus?

Francia e Italia (visto che il Louvre è stato chiamato in causa) hanno due situazioni molto diverse, sia del turismo che della distribuzione dei beni e delle bellezze artistiche. 
Noi non abbiamo un grande museo nazionale, enorme, concentrato assoluto delle ricchezze del paese (e frutto di razzie colonialiste).
Non lo abbiamo per motivi storici: siamo uno stato "recente", non una delle unità nazionali più antiche del mondo.
I nostri beni artistici sono disseminati nel territorio, abbiamo miriadi di musei minuscoli, medi, grandicelli, in tutte le città e le cittadine, anche nei paesi.
Siamo il portato di tantissime storie diverse e frammentate.
Questo carattere è quello che rende l'Italia, come felicemente è stata definita, un "museo diffuso".

Quella concentazione colossale di affluenza di pubblico che il ha Louvre, da noi farebbe stramazzare i già provatissimi Uffizi (tanto per rendere l'idea.....se qualcuno ha mai provato a fare l'interminabile fila per accedere ai tesori dei Medici, a Firenze).
Non ce lo possiamo permettere e, vorrei dire, dovremmo anche scoraggiarlo, un turismo così concentrato.
Gli addetti ai lavori cercano di dirottare i grandi flussi su altre mete: non tutti su e giù per il Canal Grande, per favore; non tutti col naso in su a guardare la Torre di Pisa.
Disperdetevi, allargatevi, cercate altre mete.
Che questi beni si "consumano", deperiscono, non riescono a rigenerarsi: peggio di una coltivazione intensiva del terreno senza rotazione.

Inoltre sembra proprio che l'autore dell'articolo non abbia mai girato per le nostre città d'arte: li ha visti i turisti assiepati sul Ponte Vecchio? Si paga un biglietto lì?
Li ha visti quelli che trotterellano per Roma, accontentandosi di guardare i Fori Imperiali e il Colosseo dall'esterno? Cosa propone? Di scritturare Christo per fasciarli ben bene in modo da impedirne il godimento gratuito?
Ha visto le carovane della domenica che si godono le gita fuori porta, il mare, la scogliera, la pineta?
Facciamo pagare un biglietto di ingresso al Grande Parco della Bellezza Italiana?

Lamenta i biglietti gratuiti?
Io lamento che non lo sono abbastanza.
Ha provato a visitare la National Gallery di Londra, il British Museum, la National Gallery of Art di Washington, la catena di musei dello Smithsonian?
Tutti gratuiti.
Al Metropolitan Museum di New York si entra con una donazione simbolica: si suggerisce una cifra, ma puoi dare 50 cent. ed entri lo stesso.

Non a caso nell'articolo si cita il Louvre: uno dei pochi grandi musei all'estero a pagamento.
(Per altro ad un costo assai accessibile: meno di 10 euro e visiti una città inaudita)

Per chi si immagina, il giornalista, che siano i biglietti gratuiti?
Ha mai visto quella razza intellettuale dei nostri parlamentari affollarsi nelle gallerie d'arte pretendendo l'ingresso gratuito?
Pensa ai favoritismi per le Olgettine?
I biglietti gratuiti sono per gli studenti, per gli anziani, per i bambini, per gli insegnanti (e nemmeno sempre o nemmeno totalmente gratuiti), per i dipendenti del Ministero per i Beni Culturali (perché capita, sapete, capita che debbano studiare, documentarsi, fare confronti, visionare e svolgere funzioni ispettive: ahimé, che si voglia anche che svolgano i propri compiti istituzionali a loro spese?)
Per cosa allora stracciarsi le vesti?
La fuzione pubblica, educativa, sociale dell'arte non deve forse essere riconosciuta?
Tutti buoni, poi, ad andare a visitare musei all'estero e magnificare le frotte di bambini, l'organizzazione didattica, gli apparati a disposizione. E noi, che non abbiamo quasi niente, ecco che veniamo aggrediti per un articolo (di legge, tra l'altro) che riconosce (per quanto ancora?) la pubblica utilità del museo.

Ci si chiede perché in Calabria o in Friuli siano più i biglietti gratuiti di quelli a pagamento?
Semplice: perché non ci sono flussi turistici consistenti e i visitatori del museo sono soprattutto gite scolastiche. O gruppi della terza età.
Sorge spontanea una domanda: ma ha mai visitato questi musei, il signor giornalista? O parla solo con dei dati statistici sotto mano?

Mi viene QUASI da pensare che la notizia sia stata distribuita cosi', sciatta e sbagliata, (falsa e tendenziosa?) per tendere a scopi ben piu' sottili ed insidiosi di una semplice boutade giornalistica.

Qualcuno si ricorda i 100 punti di Renzi, il Big Bang, e cosa si proponevano per i Beni Culturali? La chiusura del ministero e il loro passaggio agli enti locali che, soli, immacolati, perfettamente adeguati professionalmente e  tecnicamente, sarebbero in grado di garantirne il RENDIMENTO.
Perché l'arte deve produrre, è solo un capitale che deve rendere.
altrimenti? Altrimenti si passa la mano a chi meglio sa fare.(vendendo quanti chilometri di coste, poi, e' altro argomento sul quale a qualcuno conviene sorvolare)


Ve lo ricordate il governo Berlusconi che pose un ex-manager della MacDonald ai vertici dei Beni Culturali? La cui migior sortita furono dei terrificanti manifesti in cui si vedevano i nostri tesori impacchettati, sollevati con le gru, caricati sugli aerei, con il minaccioso slogan: "Se non li visiti li portiamo via"
Andateveli a rivedere: si tende a dimenticare.
Ma la memoria potrebbe aiutare a non cadere vittime di queste trappole, che periodicamente, minacciosamente, si ripresentano.
Diffondere subliminalmente l'idea che la cultura non serve se non rende.
Che la nostra arte, il nostro paesaggio, le nostra storia siano il PATRIMONIO.
E se le parole hanno un significato allora chiamare la nostra storia "patrimonio" equivale a far passare il concetto che si tratta di un bene rinveniente e come tale lo devo investire, per farlo fruttare. Sempre e comunque un principio economico, mai un principio educativo e sociale.

 

Per chi volesse approfondire segnalo questo libro, fresco di stampa, di Tomaso Montanari, Le pietre e il popolo

E questi sei brevissimi video, sempre dello stesso studioso:

La funzione civile dell'arte figurativa 1 

La funzione civile dell'arte figurativa 2

La funzione civile dell'arte figurativa 3

La funzione civile dell'arte figurativa 4

La funzione civile dell'arte figurativa 5

La funzione civile dell'arte figurativa 6

 

 

 

 
 
 

Sulla soglia

Post n°589 pubblicato il 05 Aprile 2013 da odio_via_col_vento
 

 

Albert Bartholomé, La Femme d'artiste entrant dans la serre

 

La giovane donna sta per varcare la porta-finestra di una stanza in penombra. Non si capisce se sta entrando, a cercare rifugio dal troppo sole e dal caldo del giardino, o se sta uscendo, incontro a quel sole e a quel caldo.
La pacatezza del gesto e l'eleganza dell'abito sono quasi in contrasto tra loro: da una parte la scena vuol essere (e sembra) quotidiana. Dall'altra l'abbigliamento formale, 
studiato, i gioielli, qualificherebbe il tutto come un ritratto in posa, una rappresentazione dello status sociale della persona.

La donna è la moglie del pittore, Prospéri, detta Perié, figlia del marchese di Fleury, una delle grandi animatrici della vita mondana parigina, nel cui salotto affluivano gli artisti di successo e la buona società. A casa Bartholomé era possibile incontrare, tra gli altri, Degas. 
Per il pittore questi sono ancora anni beati che saranno interrotti, solo 6 anni dopo il ritratto, nel 1887, dalla morte di Perié.

Albert conservò come una reliquia l'abito di cotone bianco con stampa a pois e righe viola indossato dalla amatissima moglie nel ritratto. Questo passò poi agli eredi e infine al museo D'Orsay, di Parigi, insieme al dipinto.

 

 

Dopo la morte di Perié, Albert Bartholmé abbandonò la pittura. In seguito, su consiglio di Degas, cominciò a lavorare nel campo della scultura.
La sua prima opera in questo settore è lo struggente sepolcro dove riposa la moglie, nel cimitero di Bouillant, Crépy-en-Valois. 

 

 

Sembrerebbe una storia d'amore pressoché perfetta, con quel tanto di drammatico (e macabro) che ne fa un caso letterario ed artistico, tra romanticismo e decadentismo, da manuale.

Senonché Albert, nel 1901, si risposò, nonostante il dolore, la conservazione delle reliquie e il monumento.
Con una sua modella, Florence Letisier. Che Degas descrive lapidariamente come "molto giovane".

 

Madame Bartholomé, née Florence Letessier, seconde épouse de l'artiste 


Anche Degas doveva pensarla come me, sulla cosa, perché da allora ruppe i rapporti con Bartholomé. 

Di Prospéri, detta Perié, non sappiamo poi molto.
Ma questo ritratto ne fa una rappresentazione dolce e sospesa della fragilità della vita, del trascorrere del tempo, della incerta stagione in cui il mondo pare pieno di promesse e la penombra, invece, è solo al di là della porta.
Il fascino dell'arte sta proprio in questa possibilità che ci regala di fare assurgere a s
imboli dei semplici momenti o delle persone qualsiasi.
In questo è certo qualcosa di
 più della vita stessa, spesso ridotta alla quotidiana, avvilente, banale, routine.

 

 
 
 

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