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IL CERVO FRA MITO E RELIGIONE
Post n°75 pubblicato il 09 Ottobre 2012 da cielostellepianeti
La sacralità del cervo affonda le sue radici nella preistoria. Nel periodo paleolitico alle sue corna si accomunava il potere arcano della resurrezione, la continuità della vita dopo la morte. Nella tradizione celtica, insieme al cinghiale era considerato l’animale in grado di passare all’Oltremondo, simbolo di rapidità, prestanza, agilità e vigore, archetipo di virilità guerriera. Nel politeismo celtico, rilevante è la figura di Cernunnos, il dio cervo associato alla fertilità, alla celebrazione del ciclico risveglio della natura, al collegamento con il solstizio d’inverno e con l’anno nuovo. Il cervo fa la comparsa anche nella mitologia del mondo nordico germano-scandinavo, dove si parla di quattro cervi che vivono tra le fronde di Yggdrasill, l’albero cosmico, e ne brucano le foglie. Accostamenti alla sacralità del cervo esistono anche nella mitologia greca, in particolar modo legata ad Artemide, figlia di Zeus e sorella di Apollo, cacciatrice che ama trascorrere il suo tempo nei boschi, in compagnia di ninfe e cervi. Il suo cocchio, d’oro, è trainato da due coppie di cervi da lei catturati. Plinio il Vecchio, nella sua: “Storia naturale” dice che i cervi si fidano dell’uomo e si rivolgono a lui quando sono inseguiti dai cani, conoscono e usano alcune piante medicamentose, e per abitudine attraversano fiumi e altri corsi d’acqua disposti in lunga fila, ognuno ponendo la propria testa sulla groppa del compagno. La visione cristiana del cervo, identificato con il Cristo, o con il fedele, deriva direttamente da un passo della bibbia, nell’inizio del salmo di Davide. “ Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio”. Sulla base del significato cristologico, molte leggende medievali associano l’immagine del cervo a figure di santi. Uno degli episodi più famosi di un santo, legato alla figura del cervo, è riferito a San Patrizio, evangelizzatore e patrono d’Irlanda. Si racconta che, in occasione della festa celtica di Beltane, (in onore al risveglio della primavera), in tutti i luoghi e per tutta la notte, nessun fuoco doveva restare acceso. Patrizio, recatosi nella capitale per festeggiare la pasqua con i discepoli, sfidando apertamente la religione pagana infranse il tabù, accendendo un falò proprio in cima alla collina di Tara. Ciò provocò un attacco furioso dei sacerdoti druidi e l’ira del re irlandese, che lanciò le sue truppe al galoppo verso la collina. Il santo si racchiuse in preghiera e quando i soldati sopraggiunsero, non trovarono né Patrizio né i suoi discepoli, trovarono solo un gruppo di cervi che si allontanavano nella nebbia. Pure nella storia di Sant’Egidio si trova un connubio tra l’uomo e l’animale, sotto il profilo sia di abitazione sia alimentare. La vicenda del santo, probabilmente nato in Grecia all’inizio del VII secolo, narra di come, ritiratosi a vivere da eremita in una grotta assieme a una cerva, nutrendosi del suo latte, fu ferito per proteggerla dalla freccia di un soldato del re, quel giorno a caccia di cervi. La ferita lo rese zoppo per sempre. Da questo episodio, si potrebbe desumere il paragone tra il cristiano del salmo di Davide, che si disseta alla fonte del signore e il santo eremita che trae sostentamento, sia materiale sia spirituale, dal cibo offerto dal Cristo sotto forma di cerva. Il cervo, animale di aspetto regale ma nello stesso tempo timido e mite, che, nonostante possegga armi quali le possenti corna preferisca non usarle, si elegge a simbolo della ricerca instancabile dell’acqua divina cui dissetarsi.
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