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Messaggi del 30/03/2020
Post n°2677 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Etiopia: scoperte orme di bambino di 700 mila anni fa 19 febbraio 2018 Ricercatori Sapienza scoprono orme di bambino risalenti a 700 mila anni fa in un sito archeologico in EtiopiaIl ritrovamento eccezionale ha pochissimi precedenti: i siti con impronte umane più antichi di 300.000 anni si contano nel mondo sulle dita di una sola manoI siti con impronte umane più antichi di 300.000 anni si contano nel mondo sulle dita di una sola mano e anche per questo la recente scoperta in Etiopia aumenta in modo significativo le nostre conoscenze. Si tratta di un livello improntato, perfettamente datato, perché direttamente coperto da un tufo vulcanico di 700.000 anni fa, di Gombore II-2 sito che è parte di Melka Kunture, una località dell'alto bacino del fiume Awash, a 2.000 metri slm. Qui da anni si svolgono le campagne di ricerca di uno dei Grandi scavi di ateneo, finanziato da Sapienza e dal Ministero Affari Esteri. La zona scavata corrisponde ad un'area intensamente frequentata, ai margini di una piccola pozza d'acqua in cui probabilmente si abbeveravano, oltre agli ominidi, anche animali prossimi agli attuali gnu e gazzelle, nonché uccellini, equidi e suidi; anche gli ippopotami hanno lasciato tracce dei loro passaggi.
Le impronte delle varie specie si intersecano tra di loro, e si sovrappongono a tratti a quelle degli esseri umani, individui in parte adulti e in parte di 1, 2 e 3 anni. In particolare uno di questi bambini in tenera età propriamente non camminava, ma era in piedi e si dondolava: la sua è l'impronta di un piede che calpesta ripetutamente il suolo, rimanendo appoggiato sui talloni. Ha quindi lasciato impressa una serie di piccole dita (più di cinque) in parte sovrapposte dalla ripetizione del movimento. "È stata un'emozione molto intensa" spiega Flavio Altamura, il giovane il giovane dottore di ricerca, prima firma dell'articolo appena uscito sugli Scientific Reports di Nature, a cui si deve la scoperta a cui si deve la scoperta delle orme dei bambini "A Gombore II-2 abbiamo quanto possa esistere di più simile ad una "foto di vita preistorica". Si può quasi dire che qui abbiamo, 700.000 anni fa, "i primi passi di un bambino", mentre il resto del gruppo ed altri piccoli si dedicavano alle attività quotidiane". Il sito infatti conserva traccia di una serie completa di attività: scheggiatura della pietra (ossidiana e altre rocce vulcaniche) con la produzione di strumenti litici, e macellazione della carne di più ippopotami. C'erano dei carnivori, ma sono venuti solo dopo a cibarsi dei resti lasciati dagli ominidi. Infatti, i morsi dei carnivori sulle ossa si sovrappongono alle tracce lasciate precedentemente dagli strumenti di pietra che avevano tagliato la carne. Quindi il gruppo umano era in pieno controllo dell'ambiente.
"Gombore II-2 è importante non solo perché sono rari i siti con impronte umane, ma perché per la prima volta non abbiamo un semplice "percorso nel paesaggio", come a Laetoli, per esempio, ma invece un sito archeologico in cui sono documentate le attività quotidiane nel loro insieme" spiega Margherita Mussi, coordinatrice dello scavo - "Inoltre, per la prima volta ci sono impronte di bambini molto piccoli, che indicano la loro presenza costante anche quando gl i adulti scheggiavano e macellavano. Sappiamo anche di che specie di ominide si tratta, perché resti fossili di Homo heidelbergensis - l'antenato comune nostro e dei Neandertaliani - sono stati trovati a breve distanza, ma in un livello archeologico più antico, risalente a 850.000 anni fa". La ricerca, coordinata da Margherita Mussi del Dipartimento di Scienze dell'antichità è frutto degli scavi condotti da laureandi e dottorandi del Dipartimento stesso. In particolare, la scoperta è opera del primo firmatario dell'articolo appena pubblicato sull'argomento, Flavio Altamura, che su questa ha svolto il suo progetto di dottorato in Archeologia. Lo studio delle impronte è frutto di una cooperazione scientifica a livello nazionale e internazionale.Info: www.melkakunture.it |
Post n°2676 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. Ritrovate a Ercolano le Historiae di Seneca il Vecchio 21 maggio 2018 Scoperta eccezionale di una giovane ricercatrice alla Biblioteca Nazionale di Napoli Importante scoperta alla Biblioteca Nazionale di Napoli annunciata dal direttore Francesco Mercurio, dove lo studio del papiro P. Herc. 1067, conservato nell'Officina dei Papiri Ercolanesi, ha permesso con certezza l'attribuzione dei frammenti analizzati alla Historiae ab initio bellorum civilium di Lucio Anneo Seneca il Vecchio, conosciuto come "il Retore" e padre del filosofo Seneca, opera di cui finora non esisteva alcuna notizia diretta di tradizione manoscritta. Valeria Piano, filologa e papirologa, ricercatrice dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, nell'ambito del progetto europeo Platinum, ha impiegato un anno di lavoro certosino nella ricomposizione degli scampoli, tutti catalogati con lo stesso numero di inventario e dunque provenienti dallo stesso rotolo. Gli studi e le analisi eseguite su questi sedici pezzi, sul loro contenuto e sui calcoli cronologici, hanno condotto alla certa attribuzione all'autore di quest'opera di natura storico-politica, che interessa i primi decenni del principato di Augusto e Tiberio (27 a.C. - 37 d.C.). Grazie ai risultati conseguiti, il riconoscimento è stato accolto positivamente anche da altri studiosi e paleografi. "Sono particolarmente lieta che questa scoperta di assoluto valore sia avvenuta alla Biblioteca nazionale di Napoli - dichiara il Direttore generale Biblioteche e istituti culturali del MiBACT, Paola Passarelli - grazie al lungo ed appassionato lavoro di una ricercatrice dell'Università degli Studi di Napoli Federico II e nell'ambito di un rilevante progetto europeo. È un segnale positivo di come fare sistema possa portare a questi risultati ed uno stimolo incoraggiante a proseguire in questo senso". "Il binomio tutela e ricerca - conclude il Segretario generale del Mibact Carla di Francesco - porta oggi un risultato straordinario e restituisce al mondo un'opera della letteratura latina finora ritenuta perduta". Il P. Herc. 1067 è uno dei più noti papiri latini della collezione di Ercolano, conosciuto come Oratio in Senatu habita ante principem, e finora si riteneva conservasse un discorso di tenore politico composto da Lucio Manlio Torquato e pronunciato in Senato al cospetto dell'imperatore. finora ritenuta persa, conferma quanto la Villa dei Pisoni con la sua biblioteca fosse un vitale centro di studi fino a poco prima dell'eruzione del Vesuvio. I papiri carbonizzati di Ercolano riservano così un'altra straordinaria scoperta, mostrando come nella villa dei Pisoni vi fosse l'opera di uno dei grandi assenti della letteratura latina. (Foto: Biblioteca Nazionale di Napoli) |
Post n°2675 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. Esame al cuore di ÖtziEcco i risultati... 27 maggio 2018 Esame al cuore di Ötzi Pubblicato uno studio radiologico dell'Ospedale di Bolzano Alla presunta età di 46 anni, l'Uomo venuto dal ghiaccio aveva tre calcificazioni coronariche. A questa diagnosi è giunta un'équipe guidata dalla radiologa bolzanina Patrizia Pernter. I risultati dell'esame sono stati pub- blicati nel numero di gennaio 2018 della rivista scientifica specializzata "RöFo - Fortschritte auf dem Gebiet der Röntgenstrahlen". La quantità di calcio rilevata è paragonabile a quella che si può riscontrare in un uomo di carnagione chiara dei giorni nostri di età compresa tra i 40 e i 50 anni. Dal momento che Ötzi non aveva uno stile di vita sedentario, gli autori concludono che la predisposizione genetica è un fattore scatenante significativo per l'arteriosclerosi. A causa della nota posizione del braccio di Ötzi, fino al 2013 non è stato possibile eseguire una scansione tomografica computerizzata continua. Solo quando l'Ospedale di Bolzano si è dotato di nuove apparecchiature TC per i pazienti provviste di un'apertura più ampia, è stato possibile effettuare per la prima volta la scansione di tutta la mummia in un unico passaggio. Le immagini complete dell'area toracica così ottenute sono state successivamente esaminate da Patrizia Pernter, Beatrice Pedrinolla e Paul Gostner, ex primario del reparto di radiologia dell'Ospedale di Bolzano. Nel corso dell'analisi sono state subito notate tre calcificazioni nella zona del cuore. Un confronto effettuato dall'équipe medica con altre aree del corpo nelle quali si rileva frequentemente la presenza di depositi di calcio - ad esempio, come nel caso di Ötzi, la zona della carotide e le arterie alla base del cranio - ha confermato il risultato. La prova delle calcificazioni viene stabilita quantitativamente con un sistema di misurazione che si basa sulla loro densità e il loro volume. A questo proposito vi sono differenze tra etnie, per sesso e per età. Per Ötzi i valori di paragone utilizzati sono quelli dei caucasici (quindi di persone di carnagione chiara), come definiti da Agatston, che ha sviluppato questo metodo. "Se è presente calcare, significa che vi sono placche arteriosclerotiche. Se si trasferissero le calcificazioni sul cuore di un uomo in vita, il valore misurato in Ötzi corrisponderebbe a quello di un essere umano di sesso maschile di ca. 45 anni di età," così Patrizia Pernter spiega i risultati delle analisi mediche sull'Uomo venuto dal ghiaccio. E illustra anche cosa ciò avrebbe significato per la vita successiva di Ötzi o per persone di oggi della stessa età: "La presenza o l'assenza di depositi di calcio può avere un valore nel calcolo del rischio cardiovascolare di un paziente; cioè, accanto ad altri fattori di rischio (grassi nel sangue, fumo, pressione sanguigna elevata, diabete, ...), la presenza di calcificazioni delle coronarie può costituire un'indicazione aggiuntiva di un accresciuto rischio di avere o di sviluppare in futuro una malattia cardiaca coronarica." Nel 2012 è stato pubblicato il genoma dell'Uomo venuto dal ghiaccio ed è stata rilevata una predisposizione genetica a patologie cardiovascolari. Per Patrizia Pernter è dunque evidente che la mummia non costituisce solo uno dei più antichi casi di calcificazione vascolare, ma anche "un esempio medico del fatto che una predisposizione genetica è forse il principale fattore scatenante per l'arteriosclerosi e la sclerosi coronarica". Informazioni: www.iceman.it Foto: South Tyrol Museum of Archaeologiemuseum / O. Verant |
Post n°2674 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Mutazioni del Coronavirus e ceppi virali 28 Marzo 2020 L'analisi del genoma del Coronavirus permette di identificarne le mutazioni per area geografica.
Mentre la pandemia da COVID-19 prosegue il suo corso, continuano le ricerche sulle mutazioni del Coronavirus; dai primi risultati che postulavano l'esistenza di due ceppi, alle nuove scoperte. D'altro canto, era prevedibile. La mutazione del Coronavirus è spiegata dalla sua stessa struttura. Trattandosi di un virus RNA, è soggetto a maggiori possibilità di mutare genoma per errori durante la sua replicazione. Le mutazioni che si stanno registrando nel corso della diffusione pandemica del COVID-19 non rappresentano la comparsa di un nuovo virus. Il salto di specie è avvenuto a Wuhan, in Cina, e ha permesso al virus di passare dal contagio interanimale al contagio da uomo a uomo. Queste varianti sono ciò che i virologi chiamano ceppi o lignaggi. Il virus del COVID-19 rimane tale, presenta piccole modifiche ma mantiene la sua essenza. La maggior parte del materiale del suo RNA è uguale al primo ceppo anche se una piccola porzione è mutata. Mutazioni del Coronavirus: perché avvengono? Le mutazioni del Coronavirus sono rese possibili dalla sua stessa struttura. Il SARS-Cov-2 è un virus RNA, ovvero il suo genoma, dunque le sue informazioni genetiche, è codificato in acido ribonucleico. L'RNA è la crittografia o la codifica delle caratteristiche del virus. Una volta entrato all'interno di un organismo, il virus si serve delle cellule ospiti per moltiplicarsi. Si comporta come un parassita, sfruttando le strutture altrui per la propria replicazione. Uno dei problemi dei virus RNA è che il loro sistema preposto a correggere gli errori che avvengono durante la replicazione non è efficiente. Ciò a differenza del DNA (acido desossiribonucleico), il quale è dotato di un sistema di rilevamento e correzione degli errori. Quando il Coronavirus fa copie di se stesso all'interno della cellula, commette degli errori. Questi errori nell'RNA sono le cosiddette mutazioni del Coronavirus che danno origine ai diversi ceppi virali. Fintanto che queste mutazioni non alterano troppo il comportamento, si continua a parlare dello stesso virus. Quando il Coronavirus si replica all'interno della cellula commette degli errori da cui nascono nuovi ceppi virali.
Ipotesi sui due ceppi del Coronavirus Le ricerche sul genoma del nuovo Coronavirus hanno individuato due ceppi principali, identificati con le lettere L e S. Il ceppo L è quello che si è presentato nel dicembre 2019 a Wuhan. Secondo i dati disponibili, è il più letale dei due ed è rimasto confinato in Cina. L'altra varietà del virus, il ceppo S, è meno aggressivo dal punto di vista del tasso di mortalità, ma si diffonde più facilmente, caratteristica che gli ha consentito di uscire dalla Cina. Vi è anche l'ipotesi che il ceppo S si sia potuto diffondere in quanto inizialmente non individuabile. Essendo i test diagnostici tarati sul ceppo L, il tipo S ha avuto campo libero per provocare la pandemia. La veloce diffusione del ceppo S è collegata anche al ritardo nell'applicare le misure di contenimento. Dall'isolamento del nuovo Coronavirus, avvenuto a dicembre 2019, alla quarantena di Wuhan, è trascorso quasi un mese. I ceppi principali del nuovo coronavirus sono identificati dalla lettera S e L.
Le mutazioni del Cironavirus: mappa geografica Secondo l'Istituto Superiore di Sanità, "il ceppo virale cosiddetto lombardo, così come alcuni ceppi isolati in altri paesi europei, presenta una elevata similitudine con il virus di Wuhan". Questo potrebbe spiegare la sua alta aggressività. L'IIS aggiunge inoltre che "Si prevede, a breve, di fornire anche la sequenza completa di un ceppo virale isolato in Veneto al fine di valutare correlazioni o differenze geografiche". Nel frattempo il ministero della sanità brasiliana riferisce che il primo caso di Covid-19 presenterebbe 16 mutazioni rispetto al ceppo di Wuhan. E sicuramente continueranno ad arrivare notizie con risultati simili. La mutazione del nuovo Coronavirus non deve cambiare, almeno per il momento, l'atteggiamento nei confronti della pandemia. Le misure di prevenzione e di igiene restano le stesse della fase iniziale. L'isolamento domiciliare, volontario o imposto, è la strategia che al momento si sta imponendo nei paesi coinvolti. Trattandosi di un virus RNA, si prevedono continue mutazioni. I suoi antenati, come i Coronavirus che hanno causato la SARS e la MERS hanno continuato a mutare mentre si diffondevano. Il ruolo fondamentale della ricerca nei confronti delle mutazioni del Coronavirus Abbiamo il vantaggio di vivere in un'era in cui la comunicazione è immediata. Le equipe di ricerca di tutto il mondo possono condividere dati in tempo reale e collaborare. Le mutazioni del Coronavirus sono parte del suo percorso di diffusione e possono essere tracciate. L'uso responsabile di queste informazioni ci permetterà di sconfiggerlo. |
Post n°2673 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Archimede a SiracusaExperience exhibition 29 maggio 2018 Un viaggio immersivo nella città antica, per conoscere la storia e le invenzioni del più grande scienziato dell'antichità La mostra "Archimede a Siracusa", ospitata alla Galleria Civica Montevergini di Siracusa fino al 31 dicembre 2019, offre ai visitatori l'occasione unica di conoscere da vicino una delle più geniali figure dell'intera storia dell'umanità. Grazie alle più avanzate applicazioni multimediali è possibile immergersi nella città di Siracusa nel III secolo a.C., vera e propria capitale della Magna Grecia e del Mediterraneo centrale, dove il grande scienziato è vissuto, ha concepito le sue straordinarie invenzioni ed è stato infine ucciso da un soldato romano appena entrato in città da conquistatore. La mostra si apre nella ex Chiesa (oggi Galleria) di Montevergini, in un ampio ambiente attrezzato con 16 video proiettori per una visione multimediale a 360 gradi, che conduce il visitatore in un vero e proprio viaggio nel tempo, per "immergersi" all'interno della città di Archimede nel III secolo a.C. Una ricostruzione spettacolare e filologicamente accurata mostra alcuni degli edifici simbolo (dal Castello di Eurialo al Teatro Greco e al tempio di Atena) che fecero di Siracusa uno dei più importanti centri del Mediterraneo anche dal punto di vista artistico e culturale. Una serie di animazioni progettate da Lorenzo Lopane e realizzate con gli allievi dell'INDA rendono viva la presenza degli antichi siracusani e tra loro del grande scienziato. Emerge in tal modo l'importanza della città e quindi del contesto, troppo spesso trascurato, in cui si è formata la personalità di Archimede. Basata sulle fonti storiche e archeologiche, una suggestiva narrazione disponibile in 4 lingue e affidata in italiano alla voce di Massimo Popolizio, consente di seguire gli eventi che portarono, sul finire della seconda guerra punica, allo scontro con Roma. Le straordinarie macchine da guerra ideate da Archimede e messe in atto nella battaglia scoppiata nelle acque di fronte a Ortigia, diventano così le protagoniste della parte finale che si conclude con l'uccisone del grande siracusano. Ma è solo l'inizio di un articolato percorso di approfondimento interattivo, che presenta oltre venti modelli funzionanti di macchine e dispositivi che la tradizione attribuisce a Archimede: dalla vite idraulica alla vite senza fine, dagli specchi ustori all'orologio ad acqua che gli autori arabi del Medioevo gli attribuiscono, dal "cannone a vapore" che secondo Leonardo da Vinci il Siracusano avrebbe ideato fino al planetario meccanico portato a Roma come parte del bottino di guerra dopo la presa della città. Ciascuno degli exibite è corredato da video interattivi, testi didascalici e citazioni delle fonti. Il fascino che l'immagine di Archimede ha sempre esercitato non è infatti dovuto solo alle straordinarie macchine di cui la tradizione gli attribuisce l'ideazione, ma anche agli importantissimi risultati raggiunti dalle sue ricerche e dei quali restano tracce nei suoi scritti. Le geniali intuizioni geometriche e meccaniche di Archimede, generalmente comprensibili solo per un ristretto numero di specialisti, sono presentate in modo piano e accessibile. I modelli funzionanti illustrano infatti sia gli aspetti salienti delle ricerche compiute dal Siracusano e gli straordinari obiettivi raggiunti anche sul piano delle applicazioni pratiche. L'immagine di Archimede attraversa intatta 23 secoli di storia. Il suo inesauribile desiderio di conoscenza e la profondità degli studi ne hanno fatto l'antesignano dell'inventore per eccellenza, capace di realizzare dispositivi meccanici destinati a entrare nell'immaginario collettivo di tutte le generazioni: al punto che ancora oggi il suo nome è sinonimo di invenzione e innovazione nel campo della produzione industriale e del design. Ammirato dagli uomini di cultura di ogni epoca, ad Archimede vengono attribuiti, sin dall'antichità e per tutto il Medioevo latino e arabo, gli appellativi di inventore, astronomo, matematico ed esperto costruttore di dispositivi meccanici... Informazioni: Tel. 0931.24902 Foto: ©️Vittoria Gallo |
Post n°2672 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet A piedi... Nella storia. Calzature per tutti: uomini e divinità! Dall'antichità a oggi Archeologia Viva n. 199 - gennaio/febbraio 2020 di Anna Maria Nardon e Martina Rodinò A partire dalla preistoria la ricerca della "buona scarpa" ha sempre accompagnato l'umanità fino ai nostri giorni dove anche la tecnologia più sofisticata è messa in campo per dar vita a sempre nuove proposte di funzionalità ed eleganza E i calzolai? Platone li considerava alla stregua degli scienziati mentre Plutarco ci ricorda che a Roma i sutores avevano una loro ben rispettata corporazione Le scarpe dicono molto della persona che le indossa. Forma, colore, materiale, decorazioni rivelano il sesso del proprietario, il mestiere, la condizione economica, il gusto estetico... La cultura erudita del XVII e XVIII secolo dedicò particolare attenzione all'argomento, dando vita a un originale filone di ricerca che ebbe in Francia e Germania il suo epicentro. Il primo studio organico sulla calzatura classica si deve al francese Benoit Baudouin, il quale, figlio di un calzolaio e laureato in teologia a Parigi, fu l'autore del De calceo antiquo, pubblicato ad Amsterdam nel 1667. Questo volume rappresentò l'atto di nascita di quella che oggi si chiama calceologia, la disciplina che si occupa dello studio della calzatura. Baudouin definì Dio come "primo calzolaio della storia", traendo spunto dal passo della Genesi secondo cui, al momento di cacciare Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, il Signore fornì loro di che coprirsi. Purtroppo, la ricerca archeologica ha spesso riservato un'attenzione incostante e superficiale a questa classe di oggetti, talvolta considerati di secondaria importanza. Solo negli ultimi vent'anni si è venuta costituendo una branca della disciplina che coniuga un approccio archeometrico all'indagine iconografica e letteraria, dando valore a questo prezioso accessorio che, fin dall'antichità, ha accompagnato l'uomo... nel suo cammino. [...] |
Post n°2671 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Ecco il ghepardo gigante!Svelato l'identikit del ghepardo gigante: il predatore vissuto un milione e mezzo di anni fa 29 maggio 2019 Meno agile del ghepardo, ma potente come una pantera e con il peso di un leone: le peculiarità dell'antico felino sono emerse dall'analisi del cranio effettuata con un acceleratore di particelle presso l'European synchrotron radiation facility (ESFR) di Grenoble, con la collaborazione di Sapienza Un nuovo studio, coordinato da Raffaele Sardella e Dawid Adam Iurino del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza con l'Università di Perugia e in collaborazione con l'ESRF di Grenoble e l'Università di Verona, ha permesso di rivelare, a partire da un frammento di cranio fossile, l'identikit di un ghepardo gigante. Si tratta di uno dei più feroci predatori che i primi uomini entrati in Europa hanno dovuto fronteggiare un milione e mezzo di anni fa. Il frammento, rinvenuto nella prima metà del '900 alle pendici del Monte Argentario, era inglobato in una dura matrice rocciosa, costituendo per decenni un enigma per gli studiosi: classificato come leopardo a metà degli anni '50 e successivamente come giaguaro eurasiatico pleistocenico nel primo decennio degli anni 2000, solo pochi anni fa, quando il fossile è divenuto disponibile per studi scientifici, ne è stata identificata la vera natura. Il cranio è quello di Acinonyx pardinensis, meglio conosciuto come ghepardo gigante, l'antenato dell'attuale felino.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports, mette in luce le caratteristiche peculiari di questo predatore: se la dentatura e parte del muso sono infatti simili a quelle degli attuali ghepardi, i velocisti della savana africana, altre caratteristiche del cranio avvicinano questo fossile alle vere pantere. Un mosaico di caratteri quindi che consente di ridefinire l'evoluzione dei ghepardi e apre interessanti interrogativi su quale ruolo ecologico un simile predatore abbia avuto negli ecosistemi europei dell'inizio del Pleistocene. Meno agile del ghepardo, ma potente come una pantera, con il peso di un leone. Per giungere a questo importante risultato il team di ricerca internazionale ha effettuato una scansione del reperto alla luce di sincrotrone, la radiazione elettromagnetica generata dall'acceleratore circolare dell'European synchrotron radiation facility (ESRF) di Grenoble (Francia), a una velocità vicina a quella della luce. di ottenere files che, attraverso l'elaborazione di potenti computer, hanno prodotto un modello estremamente dettagliato del fossile, pronto per essere restaurato virtualmente e "stampato" in 3D. "Analizzare un frammento datato circa 1.5 milioni di anni con una delle strumentazioni più avveniristiche disponibili fra i più importanti centri di ricerca - spiega Raffaele Sardella - ci ha permesso di usufruire di prestazioni ad altissimo livello senza compromettere la conservazione del reperto; cosa che invece poteva accadere con un complesso lavoro di restauro". Informazioni: Tel. 0649.914159 Riferimenti: Synchrotron radiation reveals the identity of the large felid from Monte Argentario (Early Pleistocene, Italy) - Marco Cherin, Dawid A. Iurino, Marco Zanatta, Vincent Fernandez, Alessandro Paciaroni, Caterina Petrillo, Roberto Rettori & Raffaele Sardella - Scientific Reports volume 8, doi:10.1038/s41598-018-26698-6 |
Post n°2670 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Testa della Sfinge della Passoliera 1 agosto 2018 La Testa della Sfinge della Passoliera, un bellissimo esempio di scultura in terracotta di età arcaica attualmente esposta presso il MArRC di Reggio Calabria e rinvenuta a Kaulonia agli inizi del Novecento, ritorna per la prima volta nel luogo di provenienza per essere esposta al Museo dell'antica Kaulon. Il reperto fu rinvenuto da Paolo Orsi (1859-1935) nel sito della Passoliera (Monasterace - Rc) in fosse di scarico insieme a elementi architettonici di un santuario extraurbano demolito già in antico, costituito da più edifici databili tra fine VI e prima metà V sec. a.C. Parti di questi elementi architettonici, caratterizzati dalla presenza di teste leonine dalla vivace policromia, oggi costituiscono un interessante settore espositivo del Museo archeologico di Kaulonia afferente al Polo Museale della Calabria. La Testa richiesta in prestito è un bellissimo esempio di scultura in terracotta, policroma - forse elemento decorativo, forse offerta votiva - databile alla seconda metà del VI sec. a.C. e ha sempre affascinato i visitatori del museo reggino fin dai tempi della sua prima esposizione. La sua importanza e il legame con il sito della Passoliera già documentato, nell'esposizione museale cauloniate, costituiscono un'opportunità importante per ammirare un reperto mai esposto nel territorio in cui fu rinvenuto. Informazioni: Tel. 340.0742442 |
Post n°2669 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Orrore di AuschwitzA Firenze (ri)nasce il Memoriale 8 maggio 2019 di Giulia Pruneti - "Archeologia Viva" Monito per la memoria, simbolo tragico di una storia ancora attuale, luogo di riflessione per tutti. In occasione della data convenzionale della fine della seconda guerra mondiale in Europa (8 maggio 1945) è stato inaugurato a Firenze il Memoriale italiano di Auschwitz. Allestito nel campo di sterminio polacco nel 1979, esattamente quarant'anni dopo viene presentato nel capoluogo toscano al termine di una lunga vicenda che in Polonia ne ha portato prima alla chiusura al pubblico e poi alla minaccia di smantellamento da parte della direzione del museo perché l'allestimento era ritenuto "non in linea con le finalità pedagogiche-illustrative richieste". Una delle prime installazioni multimediali al mondo Il Memoriale fu progettato e collocato nel Blocco 21 del campo di Auschwitz dall'Aned (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti) grazie alla collaborazione di un gruppo di intellettuali tra i quali spiccavano i nomi degli architetti Lodovico e Alberico Belgiojoso, dello scrittore Primo Levi, del regista Nelo Risi, del pittore Pupino Samonà e del compositore Luigi Nono, che produssero una delle prime installazioni multimediali al mondo. L'opera è costituita da una passerella lignea circondata da una spirale a elica all'interno della quale il visitatore cammina come in un tunnel accompagnato dalla musica di Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, di Luigi Nono.
Restauro lungo e difficile Quella sul Memoriale rappresenta un'operazione di restauro eccezionale su un'opera d'arte contemporanea, considerate le grandi dimensioni, le sue caratteristiche multimediali intrinseche e le innovative tecniche di conservazione rese necessarie dal cattivo stato di conservazione in cui è arrivata. L'opera "rinasce" dunque grazie a un complesso progetto che ha visto lavorare fianco a fianco Comune di Firenze, Regione Toscana, MiBACT e la stessa Aned, proprietaria dell'opera.
Perché nessuno dimentichi mai... «Questo memoriale - ha detto il sindaco di Firenze Dario Nardella - serve perché i giovani che non hanno, per fortuna, vissuto la guerra sappiano però che cosa porta con sé un conflitto: sterminio, distruzione violenza. Soprattutto quando la guerra parte da un concetto atroce che è quello della pulizia etnica (ex Jugoslavia docet - ndr) e dell'annientamento delle altre culture e delle diversità». Per questo motivo nel complesso in cui sorge il memoriale (nel quartiere fiorentino di Gavinana) è stata realizzata una mostra permanente sulla storia della memoria della deportazione italiana attraverso i decenni. Il Memoriale è visitabile gratuitamente (su prenotazione e con accessi guidati) ogni sabato, domenica e lunedì. Info: info@muse.comune.fi.it 055.2768224 (Foto apertura: Enrico Ramerini / CGE Fotogiornalismo) |
Post n°2668 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato da Archeonews. La più antica fornace di Roma?È sotto l'Accademia dei Lincei 22 maggio 2019 La più antica fornace di Roma? «Il più antico laboratorio produttivo nel centro di Roma, una fornace, si trova sotto il giardino di Palazzo Corsini, sede dell'Accademia del Lincei, quartiere Trastevere». A dare la (straordinaria) notizia è la Soprintendenza Speciale di Roma che ha diretto gli scavi e che parla di un'anteprima assoluta: una testimonianza della vita lavorativa nell'Urbe, della sua economia basata sull'alto artigianato e della capacità di trasformazione di materie prime provenienti dai quattro angoli dell'impero. Ceramica di buona qualità L'indagine, iniziata con un sondaggio di archeologia preventiva nell'aprile del 2018 e proseguita da febbraio scorso con uno scavo stratigrafico, ha messo in luce una fornace per la produzione di ceramica, di ceramica invetriata e forse di vetro. Poco distante è riemersa invece una gran quantità di anfore per il trasporto dell'olio, probabilmente riutilizzate per il drenaggio dell'acqua. Al muro in laterizio della fornace si addossa infatti un canale formato da due muri paralleli e con salti di quota: probabilmente un sistema di raccolta, canalizzazione e decantazione delle acque che scendevano dal Gianicolo verso il fiume. Prima e media età imperiale La complessità stratigrafica sia della fornace che del resto dell'area scavata, indica un'occupazione articolata nel tempo. A un primo esame dei materiali è possibile solo una schematica datazione, che copre dal I all'inizio del III sec. d.C., ma parte delle strutture ritrovate, tra uso e riusi, arrivano ai secoli successivi. Dall'accertamento del calore raggiunto durante le lavorazioni si potrà risalire, ad esempio, al tipo di materiale prodotto; mentre, nonostante la presenza di numerosi resti di lucerne è da confermare che vi fosse una produzione "stabile" di questo tipo di lampade.
Chi si rivede... Cincinnato! Palazzo Corsini, con il giardino dove sono avvenuti i ritrovamenti, è situato nella piana che si estende tra le pendici orientali del Gianicolo e la riva destra del Tevere, nella XIV Regio augustea trans Tyberim. La zona era caratterizzata da forti diversità urbanistiche legate alla morfologia del territorio. Nella prima età repubblicana è prevalente il carattere rurale, per cui l'occupazione del territorio da parte dei privati è ridotta all'utilizzo dei fondi rustici. Tra questi, i Prata Quinctia, appartenuti al celebre Lucius Quinctius Cincinnatus, che si estendevano nei pressi dell'attuale Porta Settimiana. Al di fuori della Porta, lungo la strada diretta al Vaticano, nella prima età imperiale vi erano estesi horti e impianti di stoccaggio. Più all'interno sorgevano invece modeste abitazioni, attività commerciali e artigianali anch'esse da collegare al ruolo commerciale e più in generale all'uso dell'acqua e a funzioni di periferia urbana. Per conoscere meglio Trastevere I ritrovamenti del Giardino Corsini saranno coperti con materiale protettivo e subito dopo nuovamente interrati per metterli al riparo dagli agenti atmosferici. Tuttavia è già in programma una nuova serie di indagini, intorno all'area già scavata, per ampliare il quadro dei ritrovamenti e contestualizzarli nel modo migliore. I reperti trovati verranno inoltre esposti al pubblico nella sede stessa dei Lincei e saranno oggetto di una serie di incontri dedicati a tutti coloro che vorranno conoscere meglio la storia della città e di un quartiere storico come Trastevere. |
Post n°2667 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. Torna a splendere l'Edicola dei FantiscrittiRestauro 22 luglio 2019 Il monumento proviene da una cava storica delle Alpi Apuane Dopo mesi di paziente lavoro è ritornata al suo posto, nel cortile rinascimentale di palazzo Cybo-Malaspina sede dell'Accademia di Belle Arti di Carrara, l'Edicola dei Fantiscritti. Si tratta di un manufatto scultoreo del III sec. d.C. raffigurante Giove con Ercole e Bacco, che fino a metà Ottocento si trovata in una cava delle Apuane (che ha preso nome dallo stesso bassorilievo). Collocata nel 1863 nel cortile dell'Accademia di Belle Arti di Carrara, l'edicola costituisce una testimonianza di arte romana, oltre che essere un documento prezioso su quanti visitarono la cava apponendovi le proprie firme a ricordo imperituro. Tra gli altri: Canova, Michelangelo, Gianbologna, oltre a viaggiatori del Grand Tour, come il conte Aleksandr Osterman - Tolstoi, emissario dello Zar per l'acquisto di opere d'arte, che lasciò la sua firma in caratteri cirillici. Dalla stessa cava venne estratto il marmo per la Colonna Traiana. Pulitura con la tecnica dell'impacco Rimasta per secoli alle intemperie all'interno della cava, l'edicola era già in cattive condizioni nel XIX secolo, quando venne asportata. Il restauro, effettuato da Luana Brocani, docente di Restauro dei materiali lapidei, con gli studenti del suo corso, ha restituito nuova leggibilità al manufatto: «L'opera si presentava interamente ricoperta da una patina scura formata da uno strato superficiale di polvere, di discreto spessore, e, al di sotto, da uno strato più radicato di natura grassa, che rendevano illeggibili molti nomi e date che testimoniano l'avvicendarsi di visitatori illustri fino al suo distacco dalla cava dei Fantiscritti e successiva collocazione all'interno dell'Accademia di Belle Arti di Carrara. La pulitura è stata effettuata con la tecnica dell'impacco, consistente in un impasto formato da polpa di cellulosa in ammonio carbonato che è stato applicato e lasciato agire per il tempo necessario; in seguito è stato rimosso con spatole e la superficie marmorea è stata risciacquata con acqua e spazzole. Inoltre, è stata rimossa una stuccatura che rendeva illeggibili le iscrizioni». Oggi, ricollocata al proprio posto, l'edicola ha riacquistato un nuovo splendore e le iscrizioni sono pronte per raccontare una storia che attende di essere narrata. |
Post n°2666 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. Piroga e giogo preistoriciImportante scoperta in Lombardia 26 luglio 2019 Importante scoperta in Lombardia Un giogo e una piroga scavata nel tronco di una grande quercia, risalenti a circa 4.000 anni fa: sono questi gli ultimi reperti in legno rinvenuti nella campagna di scavo dell'Università degli Studi di Milano presso la palafitta preistorica di Lavagnone (Desenzano del Garda-Lonato, Bs). Il sito palafitticolo dell'età del Bronzo (2200-1200 a.C.), dal 2011 incluso nel patrimonio Unesco, non è nuovo alle grandi scoperte: famoso il ritrovamento degli scorsi anni Settanta di uno degli aratri più antichi al mondo, ora esposto presso il Museo Civico Archeologico "G. Rambotti" di Desenzano del Garda. Le ricerche dirette da Marta Rapi I reperti dei recenti scavi dell'Università degli Studi di Milano sono davvero eccezionali, come sottolinea Marta Rapi, docente di Preistoria e Protostoria presso il Dipartimento di Beni culturali e ambientali che dirige il progetto di ricerca con la partecipazione degli studenti del corso di laurea in Archeologia e della Scuola di specializzazione in Beni archeologici: «Per quanto riguarda la piroga, sono stati trovati due segmenti di monossile; forse formavano lo stesso natante che è stato intenzionalmente tagliato a metà e deposto in verticale tra i pali di fondazione delle abitazioni palafitticole. All'interno di uno scafo abbiamo trovato un'altra sorpresa: un lungo bastone, l'ipotesi è che possa essere un remo. Il giogo invece era a poca distanza, deposto sul fondo dell'antico lago intero e mai utilizzato, forse un'offerta alle acque». Per garantirne la conservazione, i reperti sono stati immersi in una vasca con acqua appositamente allestita a Milano presso il Laboratorio di restauro del legno bagnato della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Como, Lecco, Sondrio e Varese e a breve inizierà il restauro. Si tratta di un lungo percorso: il primo passo è il consolidamento per impregnazione con una resina a base di glicole di polietilene (P.E.G.), che impiega molti mesi, poi l'essicca zione e infine il restauro vero e proprio.
scavi a Lavagnone. |
Post n°2665 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato da Archeonews Signora di Vix. Ritorno sulla tomba della principessa celtica Archeonews 23 settembre 2019 La scoperta risale a quasi settant'anni fa, ma le sorprese non sono ancora finite. Siamo nei pressi del villaggio di Vix, sul Mont Lassois vicino a Châtillon-sur-Seine, nel cuore della regione francese della Borgogna. È il lontano inverno del 1953 quando a tornare alla luce è niente- meno che la tomba di una principessa celtica (VI sec. a. C.) praticamente intatta. I primi scavi Le prime segnalazioni di uno strano dosso nel terreno e un'insolita concentrazione di ghiaia erano giunte da alcuni operai della zona. La conferma che si trattasse di qualcosa di eccezionale arrivata grazie all'archeologo autodidatta René Joffroy che aveva dato ufficialmente inizio agli scavi. Sotto il terreno c'era una camera sepolcrale di legno circondata da quattro ruote di carro. Al centro, sui resti della carrozza, giaceva una donna sui quarant'anni riccamente decorata con un bracciale in oro, fibule di bronzo e oro, corallo e ambra. In un angolo della tomba gli archeologi scoprirono un gigantesco cratere greco di bronzo (540-530 a.C.) abbellito con opliti, cavalli e carri. Le anse decorate con gorgoni e leoni rampanti. Dello straordinario corredo facevano parte anche una patera d'argento, un ainochoe (vaso simile una brocca) e un bacile di bronzo. Ritorno sul sito Dagli anni Sessanta a oggi molto si è detto e scritto sul sito di Vix. Fino alla recente decisione di tornare a scavare: le ricerche, appena partite, sono condotte dal CNRS/Université de Bourgogne -Franche-Comté, sotto la direzione dell'Inrap e la collaborazione del laboratorio archeologico ARTEHIS. Luogo di potere e di élites La tomba in questione fu edificata a valle, ai piedi del Mont Lassois, un promontorio fortificato con bastioni affacciato sulla Senna. Sulla sua sommità gli archeologi hanno portato alla luce un insediamento probabile sede della locale aristocrazia e composto da edifici absidati e granai. Il tumulo tombale di grandi dimensioni e ricoperto di pietre fu progettato per essere ben visibile anche da lontano e celebrare così per sempre la memoria della Signora. Ritorno a... Vix Oggi si torna sullo scavo utilizzando le più moderne tecnologie tra cui i droni, gli studi fotogrammetrici e l'elaborazione di modelli tridimensionali. Tra le molte domande rimaste in sospeso, una su tutte: è possibile che esista una seconda camera sepolcrale? Nel frattempo alcune novità arrivano dai sondaggi che si stanno effettuando su ciò che resta del tumulo funerario. Analisi sul monumento funebre Poco si sapeva fino a oggi riguardo alla struttura funeraria in sé . Recenti indagini geofisiche hanno ipotizzato che tipo di aspetto dovesse avere in origine: il tumulo, di quaranta metri di diametro, era composto da un mix di terra e pietre di vario genere. Alcuni blocchi particolarmente grandi e ben visibili lungo il perimetro della struttura non provenivano da montagne vicine; erano dunque stati scelti e trasportati per l'occasione. Il monumento, pensato per l'eternità, fu distrutto in realtà poco tempo dopo la sua costruzione. Il tumulo, volutamente spianato, fu reso invisibile agli occhi dei più permettendo alla sepoltura di arrivare intatta fino ai giorni nostri. Nuovi reperti e ... indizi In cima a quello che resta del tumulo, una sorta di cappello di ghiaia delimitava l'ubicazione della camera sepolcrale. Sulla sua superficie gli archeologi hanno rinvenuto dei piccoli chiodi di bronzo probabilmente facenti parte degli ornamenti del carro. Al di là del valore intrinseco rappresentano i primi indizi sul fatto che tanto ancora rimane da scoprire. |
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