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L'accaduto ad alcuni neonati al Policlinico Gemelli di Roma e la tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro

Post n°5315 pubblicato il 07 Ottobre 2011 da cile54

Sanità, il virus è lo sfruttamento

 

E' occasionale che alcune tra le più importanti strutture sanitarie private/accreditate siano al centro di vicende, anche giudiziarie, che rischiano (anche ingiustamente) di minarne la credibilità e l'efficienza? Può la sicurezza sui luoghi di lavoro sanitari influire sulla qualità delle prestazioni assistenziali? Il sistema sanitario nazionale sta attraversando una fase in cui l'attacco al pubblico è affiancato da una operazione che getta schizzi di fango su un certo tipo di privato, a tutto vantaggio di un modello che guarda all'assicurazione privata di stampo statunitense.

L'attacco al mondo del lavoro nel sistema sanitario privato è risaputo. Oltre tutto, rispetto a quello che accade nel pubblico, ci sono lavoratrici assunte con la Bossi/Fini che hanno il permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro e non "rischiano" il licenziamento per non rischiare di diventare clandestine, lavoratrici che hanno contratti all inclusive - appartamento - orario di lavoro - iper mansionamento, costrette a turni massacranti e orari inauditi. Ci sono operatrici delle ditte di pulizia iperflessibili, part-time, con orari spezzati fra mattino e pomeriggio (e 450 euro di stipendio). E questo nel pubblico succede di rado.

Ma c'è una dimensione particolare che andrebbe approfondita: la sicurezza sui luoghi di lavoro, che spesso non vuol dire solo sicurezza per gli/le operatori/ici ma troppo spesso anche per i malati. La vicenda è ancora poco chiara e merita di essere osservata più attentamente.

Quanto accaduto ad alcuni neonati al Policlinico Gemelli di Roma rischia di essere direttamente connesso alla non osservanza o non piena osservanza o non particolare osservanza delle norme a tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro?

A indagini aperte e prime iscrizioni sul registro degli indagati il condizionale non può mancare. Che interesse può avere un datore di lavoro a non tenere in giusta considerazione la tutela, in termini di salute, dei propri lavoratori? E comunque, se l'applicazione della tanto decantata L.626/94, oggi D.Lgs.81/08, che riassume in un unico Testo Unico tutte le facce del poliedrico concetto di sicurezza, se l'applicazione di queste avveniristiche e tanto invidiate leggi, come dicevamo, ha un prezzo, è possibile che si risparmi sulla sicurezza per contrarre la spesa? La risposta naturalmente è affermativa ma le motivazioni sono varie.

I protocolli di osservazione del personale sanitario (visite, esami del sangue, ecc.) sono cadenzati nel tempo e dipendono da alcuni fattori, non ultimo lo stato di salute del dipendente e la specifica valutazione del rischio al quale il dipendente è esposto per motivi di lavoro. E' tacito che un lavoratore che opera in un reparto con pazienti affetti da malattie respiratorie (semplifichiamo) sarà "osservato/valutato" per il rischio diretto di contrarre malattie specifiche (come ad esempio la tbc) ed indiretto di trasmissione delle malattie a terzi (familiari, colleghi, pazienti). Quando lo stesso personale cambia servizio o reparto, cambiano i protocolli di osservazione/valutazione anche se di norma andrebbe considerato che alcune patologie eventualmente contratte nel precedente servizio o reparto dovranno essere controllate nel tempo, vista anche la specifica peculiarità di alcune malattie di, diciamo, positivizzarsi dopo periodi anche lunghi. In termini di spesa (l'unico metro che sembra interessare il sistema), per l'accertamento dello stato di salute di un infermiere che opera in un servizio neonatale ed ha operato precedentemente in una bronco-pneumologia (per non semplificare) questo corrisponde naturalmente ad un impegno economico maggiore (esami specifici per la neonatologia e per alcune malattie trasmissibili potenzialmente contratte in bronco-pneumologia). Tutto questo, naturalmente andrebbe protocollato, reso cioè fruibile da qualsiasi struttura (medico competente) tenuta ad osservare le procedure a garanzia della tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Ma chi controlla i controllori?

Secondo aspetto: un infermiere non più idoneo a svolgere alcuni aspetti professionali (quando non addirittura tutti) deve essere disposto in altro servizio che non confligga con quello che ha determinato la non idoneità (parziale o totale, temporanea o perenne). Ad esempio, di norma, un infermiere con un'ernia del disco deve essere disposto in un servizio dove non si debbano movimentare pazienti che pesano più di 20 Kg; ne consegue, spesso, che l'infermiere è disposto in un reparto di prima infanzia, cioè in una pediatria dove l'esiguo peso dei ricoverati non lo metta a rischio ulteriore di malattia. Purtroppo però spesso succede che quell'infermiere si ritrova in un turno con organico inferiore al dovuto (la carenza di personale, si ricordi, è conseguenza dei tagli) e invece di sollevare un solo bambino di 20 Kg, è costretto a mobilizzarne 4 o 5 in un'intera giornata di lavoro: la legge è garantita, la salute no!

E ancora, di fronte alla grave carenza di personale di assistenza, e non solo, ed in considerazione anche di modelli assistenziali che ne prevedono sempre un minor uso (il modello per intensità di cure) è facile che aumenti esponenzialmente il personale con "ridotte" capacità lavorative. Non dimentichiamoci che ad esempio l'età media degli infermieri, complice anche il blocco del turn over, cresce esponenzialmente di anno in anno. Se ne deduce che è estremamente facile, in una popolazione di infermieri con 45-50 anni di età e 20-25 anni di lavoro in corsia, individuare patologie "fisiologiche" che inesorabilmente rischiano di avviare quel personale verso compiti e mansioni "meno gravose" (ed economicamente meno vantaggiose visto che buona parte del salario è legato alla turnistica e a servizi particolarmente "pesanti"). Se ne deduce che osservare strenuamente i tempi previsti dalla norma per sottoporre a visita di controllo il personale rischia di aumentare i non idonei al servizio.

In ultimo, una considerazione: il soggetto che dispone, dopo un attento studio, le condizioni di idoneità ai compiti lavorativi di un infermiere è il medico competente, che spesso proprio in base alle valutazioni che esprime, rischia di disporre lavoratori/ici verso altri ambiti lavorativi depauperando il personale, non diversamente sostituibile, di servizi e reparti. Da chi dipende questo professionista? Dal datore di lavoro che nello specifico è il direttore generale. E nella brunettiana logica della meritocrazia quando verrà premiato questo dirigente, quando garantirà più infermieri in servizio nei reparti a turnare (magari non indagando più di tanto o per nulla) o quando ne disporrà a decine in servizi ambulatoriali con carichi di lavoro minori?

 

Sabino Venezia

Usb nazionale-Sanità 

06/10/2011

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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