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MEDICINA DEMOCRATICA E GOVERNO

Post n°191 pubblicato il 01 Aprile 2007 da cile54
Foto di cile54

immaginePROPOSTE PER UN SISTEMA SANITARIO ACCESSIBILE AI CITTADINI CON PROFESSIONISTI DEDICATI SOLO ALLA LORO SALUTE

Premessa

Circa trent’anni fa, Giulio Maccacaro, fondatore di Medicina Democratica, denunciava il ruolo della medicina nella società contemporanea. Una medicina sempre più orientata a curare i sintomi delle malattie e sempre più lontana dall’essere preventiva, dall’agire, cioè, sulle reali cause patogene (salubrità dei luoghi di vita e di lavoro e disagio sociale). Una medicina, dunque, che non serve ad altro se non a "generare falsa rassicurazione". Maccacaro estende la sua critica all’organizzazione sanitaria, all’ospedale che si fa "fabbrica" in quanto la gerarchia, la divisione del lavoro al suo interno e ambizioni personali prevalgono "sulla logica di assistenza al malato".

Con questo documento, di critica e di proposte, Medicina democratica intende prendere spunto dalle parole del suo fondatore, provare a valutarne l’attualità e suggerire forme alternative di organizzazione realmente orientate alla persona.

I ticket: ostacolo ingiusto alla cura e minaccia all’universalità del SSN

Dai primi giorni di gennaio i cittadini, senza alcun preavviso, si sono ritrovati a pagare una maggiorazione di 10 euro su ogni prestazione specialistica e 25 euro per gli accessi al pronto soccorso con “codice bianco”.

Per l’esattezza, i cittadini che non sono esenti dal ticket pagano una sopratassa di 10 € per ogni ricetta che si riferisce ad esami di laboratorio o strumentali specialistici.

Inoltre, tutti i pazienti a cui nel Pronto Soccorso viene attribuito un “codice bianco” (la situazione è considerata non pericolosa per la vita del paziente) pagano 25 €. Sono esentati dal pagare il balzello le persone con meno di 14 anni e quelle che fanno ricorso al pronto soccorso per un trauma o per un avvelenamento. In questi casi di esenzione, il paziente che non si ricovera continuerà a pagare, come faceva prima, il ticket sugli ulteriori esami che il medico di pronto soccorso avrà richiesto per formulare una diagnosi o, in generale, per completare le indagini. Rispetto al passato, quindi, oggi si pagano comunque 25 € anche se non viene eseguita nessuna ulteriore indagine in Pronto Soccorso (per es. una consulenza ortopedica oppure una radiografia del torace) e se il valore per le prestazioni eseguite dovesse essere inferiore a 25 €.

Secondo i rappresentanti del Governo l’aggiunta di questa tassa servirebbe ad alleviare i bilanci delle ASL e quindi delle Regioni in quanto scoraggia i cittadini dall’eseguire esami inutili (con i 10 € per ricetta) e dal ricorrere ingiustificatamente al Pronto Soccorso (con i 25 €). I medici di Pronto Soccorso, è questo il ragionamento di chi ci governa, lamentano che molti dei pazienti che si rivolgono a tale servizio lo fanno per problemi che potrebbero essere risolti dal medico di famiglia o dalla guardia medica. In altri casi, i cittadini si rivolgono al Pronto Soccorso per superare i lunghi tempi di attesa cercando, cioè, di ottenere la prestazione desiderata attraverso il passaggio al Pronto Soccorso con l’evidente intralcio ai casi più gravi.

L’imposizione ai cittadini non esenti dal pagamento del ticket del supplemento di 10 € a ricetta sta accentuando un fenomeno già nato e cresciuto in precedenza per il quale può risultare più conveniente per il paziente acquistare a proprie spese, direttamente e senza lunghe attese, dalle strutture private la prestazione sanitaria desiderata con un costo che può essere a volte più basso o uguale a quella derivante dal ticket.

Oggi in una struttura pubblica una radiografia del torace costa 25,49 euro mentre nel privato 25,00, un emocromo 14,65 contro 13,00, una mammografia 46,15 contro 55,00. Più conveniente il privato, ed anche a fronte di qualche euro in più come per una mammografia, sempre meglio perchè non ha lunghi tempi di attesa. Risultato: il cittadino sarà comunque costretto a spendere di più per tutelare la propria salute, oppure a rinunciare ad accertamenti o controlli di prevenzione. È così che si vogliono risolvere i problemi dei tempi di attesa?

In qualche caso potrebbe addirittura essere meno costoso, ma solo di qualche euro, rivolgersi al Pronto Soccorso per ottenere la prestazione desiderata. Si realizza così l’effetto contrario a quello voluto dal provvedimento governativo, l’aumento dell’ingiustificato ricorso alla struttura del Pronto Soccorso. Nel mese di gennaio il Governo ha fatto marcia indietro sulla questione ticket delegando alle Regioni la scelta di applicare o meno la maggiorazione attraverso il ricorso ad altre forme di compartecipazione alla spesa. Con l’approvazione del decreto “milleproroghe” la maggiorazione rimane comunque in vigore fino al 31 marzo. Si rimane quindi in attesa di nuove soluzioni da parte delle Regioni. Ciò che è certo, però, è che non si può pensare di risolvere i problemi degli sprechi in sanità, dell’appropriatezza delle prescrizioni, dei tempi di attesa con provvedimenti a danno del cittadino!

Con questi provvedimenti il Governo si propone di mettere freno ad una spesa sanitaria che ha fatto registrare negli ultimi anni una crescita costante. Ma, mentre non vi è evidenza scientifica della relazione diretta tra aumento del numero di prestazioni erogate e stato di salute di una persona/ popolazione è il semplice buonsenso a suggerire che le difficoltà di accesso alle prestazioni possono pregiudicare lo stato di salute. Ed è sempre il buonsenso, attraverso un’attenta lettura della realtà che viviamo, a suggerire che molto del consumo di farmaci e del ricorso ad accertamenti diagnostici è indotto dalla pressione anche mediatica dell’industria farmaceutica e biomedica. Anche in questo caso non c’è evidenza scientifica che a tale abuso corrisponda un reale miglioramento dello stato di salute.

Fatte salve tutte queste premesse, non può sfuggire, comunque, il carattere ingiusto di ogni forma di ticket in un sistema sanitario universale - come intendeva essere quello italiano nel momento della sua istituzione con la legge 833/78. I ticket, per il grave e diffuso fenomeno della evasione fiscale, finirebbe per non essere pagato da chi dovrebbe – perché è riuscito a sottrarre al fisco parte del proprio reddito - ed essere invece pagato, con difficoltà che si possono immaginare, da quelle fasce di popolazione ai limiti, appena superiori, delle soglie di reddito previste per l’esenzione. Il risultato è quello di ostacolare, tra i meno abbienti, il ricorso ad accertamenti e ad ogni forma di cura. Non ha, tutto ciò, un carattere vagamente anticostituzionale? È certo, comunque, che provvedimenti simili, a carico soprattutto delle fasce più svantaggiate, indeboliscono il vincolo solidaristico che è alla base di un sistema sanitario che come il nostro si ispira a principi di universalità.

La burocrazia ed il conflitto di interesse dei medici I lunghi tempi di attesa, anche per prestazioni che dovrebbero essere erogate con precedenza rispetto ad altre, dipendono pure da un accesso troppo burocratizzato del paziente ai servizi sanitari.

Accesso che non tiene conto della reale urgenza dell’esame richiesto dal medico curante o dallo specialista. I Centri Unici di Prenotazione (CUP) così come organizzati, rappresentano di fatto un ostacolo all’accesso perché non sono qualificati per comprendere le ragioni cliniche che sottostanno alla richiesta dell’esame. Se le agende tenute presso i vari servizi potevano esporre il cittadino al rischio di un rapporto non trasparente con il servizio sanitario e potevano indurre gli operatori in comportamenti scorretti con l’utenza, le liste dei CUP, se non adeguatamente gestite, sono “falsamente” trasparenti perché comprendono anche prenotazioni che non saranno evase in quanto il cittadino tenterà altre strade per ottenere la prestazioni senza annullare la sua prenotazione. Si pensi al ricorso, a proprie spese, alle strutture private; ai viaggi verso altre regioni e alle raccomandazioni.

Le liste, colme di nomi di pazienti che non eseguiranno mai l’esame, provocano la sottoutilizzazione delle strutture sanitarie e costituiscono un ulteriore ostacolo all’accesso alla diagnosi ed alla cura. Tale situazione di fatto favorisce sia le strutture private sia gli specialisti-pubblici nello svolgimento della libera professione.

È pura illusione quella di correggere questo fenomeno di malcostume, tipicamente italiano, riportando all’interno della struttura sanitaria la libera professione dei primari. Infatti, solo il divieto di libera professione a tutto il personale dipendente e convenzionato con il servizio sanitario può permettere un accesso che sia effettivamente basato sulle esigenze di salute del cittadino.

Non è possibile continuare a pagare i medici dipendenti a stipendio fisso con l’aggiunta di indennità, per prestazioni ulteriori, sotto la spinta emotiva dei lunghi tempi di attesa. Tutto ciò non è possibile perché il risultato è che i tempi di attesa non hanno che una modesta riduzione mentre non è sufficientemente garantita la priorità dell’accesso al servizio secondo gli effettivi bisogni.

Chi, infatti, è pagato a prestazione non può avere interesse a ridurre di molto i tempi di attesa perché ciò farebbe cessare la richiesta di prestazioni aggiuntive e farebbe calare la richiesta per la propria libera professione più o meno “intramoenia”. Non si possono, inoltre, continuare a pagare i medici di medicina generale in base al numero di ammalati e con ulteriori compensi legati al numero di prestazioni cosiddette aggiuntive. Anche qui è evidente il forte rischio della proliferazione di prestazioni ingiustificate e la tendenza alla “caccia” al paziente con la corsa alla soddisfazione di ogni suo “capriccio”. Infine anche il sistema di remunerazione oraria degli specialisti ambulatoriali senza un contestuale divieto della libera professione contiene il germe di un alterato rapporto con gli interessi del sistema sanitario pubblico.

Il coraggio della politica

Non è possibile continuare a chiudere gli occhi sull’assoluta incompatibilità tra il servizio sanitario pubblico e i contratti di lavoro dei diversi tipi di medici e professionisti con esso in rapporto, contratti che ratificano un sostanziale conflitto di interesse tra le possibilità offerte ai medici e l’interesse del cittadino, con un sistema di valutazione dei risultati conseguiti dai medici difficilmente applicabile per la carenza di un sistema di controlli sostanzialmente inapplicato e, comunque, poco efficace. Il medico nel servizio sanitario di qualunque tipo (dipendente o convenzionato) si comporta di fatto come un libero professionista con tutte le garanzie del dipendente. Un autogol che nessuna azienda privata commetterebbe mai. Se la politica continuerà a non mettere mano al tema del rapporto di lavoro per timore di contraccolpi elettorali sarà impossibile uscire da questa assurda contraddizione. Né si può pretendere che il ricorso inappropriato al pronto soccorso, alle visite ed agli esami specialistici possa essere corretto senza contrastare la pretesa, sostenuta da sindaci e politici, di riaprire reparti ospedalieri in strutture fatiscenti e privi tecnologie moderne rincorrendo campanilismi e logiche elettorali, o peggio clientelari, ispirate da operatori insoddisfatti per la propria carriera.

Le attività territoriali potranno essere espanse solo a condizione di ridurre la spesa per l’ospedale, concentrando l’attività ospedaliera in poche ma qualificate strutture all’interno di ciascuna azienda e, per alcune alte specialità, imponendo la loro presenza solo in alcuni poli regionali.

Conclusioni e proposte

Per queste ragioni Medicina Democratica chiede al governo ed alle regioni di:

1) Abolire la maggiorazione del ticket di 10 euro sulle prestazioni specialistiche senza ricorrere all’adozione di misure alternative a carico del cittadino. L’orientamento delle Regioni è quello di non applicare la maggiorazione chiedendo al governo di eliminare la richiesta di 811 milioni di euro di risparmio previsti dalla finanziaria per il 2007. Il risparmio, comunque, non può essere garantito a danno delle fasce deboli della popolazione mettendo a rischio la tutela della salute.

2) Abolire ogni imposizione di ticket. La spesa farmaceutica può essere ridotta facilmente adottando alcuni sistemi come ad esempio la distribuzione dei farmaci da parte delle farmacie degli ospedali e ancora di più tramite l’adozione della DCI (denominazione comune internazionale). Essa si traduce nell’obbligo di prescrivere farmaci utilizzando il nome del principio attivo piuttosto che quello commerciale. A questo deve seguire un lavoro di educazione e indicazione nei confronti dei prescrittori, dei farmacisti e della popolazione attraverso una informazione indipendente sui farmaci.

3) Orientarsi alla tutela e alla promozione della salute. Siamo stati abituati ad un sistema che “paga la malattia”, ovvero a forme di finanziamento alle strutture basate su elenchi che descrivono malattie ed interventi chirurgici. Abbiamo visto, nel corso del tempo, come questo sistema abbia portato a moltiplicare ingiustificatamente le prestazioni sanitarie.Ci sono lunghe code, tempi di attesa impossibili, non sappiamo quanto effettivamente tali prestazioni siano utili, o meglio siamo sicuri statisticamente che buona parte di questi esami, visite, interventi e altro è privo di validazione scientifica. Proponiamo, pertanto, di contrapporre a ciò un sistema “che paga la salute” cioè che misura risultati quali: l’efficacia delle cure; il gradimento dei cittadini, quale prima forma di partecipazione e valutazione e la sostenibilità dei servizi in termini di spesa. Si tratta, pertanto, di modificare - da subito - la modalità di retribuzione dei direttori generali, dei dirigenti e delle strutture in funzione di queste parole: efficacia, gradimento e sostenibilità.

4) Correlare la salute della popolazione alla condizione ambientale del territorio in cui vive, agli stili di vita che segue e alla conoscenza di salute. Si devono, quindi, introdurre provvedimenti finalizzati ad eliminare le esposizioni nocive in ambienti di vita e di lavoro e a bonificare i siti inquinati.

5) Procedere alla pubblicizzazione dell’Istituto Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, pressoché in via di smantellamento. Tale Istituto dovrebbe passare al ministero della salute ed essere potenziato al fine di:

a) produrre farmaci generici a cominciare da quelli che non vengono più prodotti perchè poco conveniente per le industrie farmaceutiche,

b) produrre farmaci orfani,

c) avere un rapporto privilegiato con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico che, invece di farsi immediatamente carpire le loro scoperte dalle industrie, potrebbero cedere il brevetto all’Istituto soprattutto per quei farmaci che hanno un’utilità sociale, soprattutto per il terzo mondo cui vanno ceduti con la possibilità di fabbricarseli a casa loro.

6) Istituire centri di medicina generale e di specialistica ambulatoriale (casa della salute) in cui il paziente possa eseguire tutti gli esami e le visite di cui ha bisogno senza peregrinazioni tra strutture ospedaliere e strutture sanitarie pubbliche o private.

7) Ridurre il numero degli ospedali qualificandoli nelle tecnologie e nel personale.

8) Prevedere per i medici che vogliono lavorare nel servizio sanitario pubblico un rapporto di lavoro davvero esclusivo, valutabile in base agli obiettivi raggiunti attraverso seri criteri di verifica, un rapporto che veda il medico non solo impegnato a produrre prestazioni (ricoveri o esami) ma soprattutto a fornire risultati di salute e quindi coinvolto nello studio e nella ricerca all’interno del servizio sanitario.

Medicina Democratica - movimento di lotta per la salute

Marzo 2007

 
 
 
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