Creato da socialismoesinistra il 28/06/2008
Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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Un incontro un pò deludente, di Riccardo Achilli

Post n°401 pubblicato il 16 Aprile 2014 da socialismoesinistra

Mentre Renzi a Torino fa i consueti botti artificiali in stile berlusconiano, portando avanti questa idea assurda che riformismo e sinistra siano necessariamente la stessa cosa, è ovviamente molto più interessante politicamente l'incontro della componente più importante della minoranza del PD (al netto di civatiani e forse non più tanto giovani Tur...chi).

L'impressione è che da questa assemblea esca, nella sostanza, Bersani come leader, anche se Cuperlo rimane il leader formale. D'Alema ha infatti chiarito, con la consueta brutalità, che l'unica cosa che gli sta a cuore è tornare ad essere maggioranza nel partito, che in questo senso l'elaborazione di un pensiero alternativo a quello renziano è solo uno strumento per raggiungere il potere, e che quello che conta veramente è lavorare dentro l'organizzazione per contrastarne la deriva di consenso verso Renzi. Tutto qui. Probabilmente non si sente più tanto sicuro che Renzi gli garantisca fino in fondo il conseguimento della poltrona di Commissario Europeo, e sente il bisogno di tornare a mordere. D'altra parte, è semplicemente poco coerente che chi, appena una settimana fa, elogiava il tetragono Valls venga, oggi, a rappresentare la sinistra del partito, ed anzi la sua presenza non può che considerarsi negativa per la minoranza del PD che si riorganizza, e vale anche a indebolire la figura di Cuperlo, e quindi alla lunga sarà una presenza distruttiva, e sarebbe ora, credo, che chi vuol guardare avanti dentro il PD isoli definitivamente un personaggio che non ha più niente da dare.

Allora concentriamoci su Bersani. Che a differenza di D'Alema ha contestato il Governo Renzi sul merito delle questioni, e non su considerazioni tattico-politicistiche per riprendersi il partito. Bersani è uomo che viene dal PCI, quindi ha interiorizzato, nella sua formazione politica, il primato del partito sui singoli e sulle correnti e la disciplina organizzativa. L'intervista concessa a Mentana alla vigilia dell'incontro di questa componente del PD è a mio avviso più significativa di ciò che Bersani ha detto oggi. Toni pacati, un misterioso riconoscimento di un presunto "sapore di equità" delle politiche renziane che francamente si fatica a individuare, una critica alle politiche per il lavoro di Poletti che però non fa altro che valorizzare uno dei cardini del Jobs Act renziano, ovvero il contratto di inserimento a tutele crescenti, che, per come è configurato nel Jobs Act, non è nient'altro che un modo per consentire alle imprese di licenziare senza alcuna penalità monetaria i neo assunti dopo appena un anno, e quindi, specie per i profili professionali di bassa qualifica, un modo per creare una sottoccupazione strutturale e permanente. Bersani è un brav'uomo, forse l'unica persona con coerenza presente dentro il vertice del PD, ma la sua cultura politica intrisa di memorie di centralismo democratico è in questo momento un ostacolo molto grave alla comprensione della fase in cui si trova quel partito.

Una fase che ha superato il normale confronto fra correnti, e che è diventata una battaglia all'ultimo sangue per la sopravvivenza. Ovunque, a livello centrale come in quello locale, Renzi sta soffocando gli stessi spazi di visibilità delle opposizioni interne. La cessazione di ogni attività di tesseramento mira a costruire un recinto chiuso, in cui esercitare un potere assoluto e intollerante del dissenso. Le stesse parole di Renzi, per cui "la minoranza va dove le dice di andare la maggioranza"sono chiarissime, ed il PD non potrà che subire un processo analogo a quello del PSI craxiano, orientato cioè verso il progressivo soffocamento delle componenti portatrici di un dissenso di merito, sostituendolo con un gioco correntizio dove non si mette in discussione la parola del Capo, ma si lotta per spartirsi il potere. Un gioco dove verosimilmente l'unica componente a trovarsi bene sarebbe quella dalemiana.

Cuperlo ha raccontato la favoletta del tacchino e dell'aquila. Vorrei rispondergli con la favola di Esopo sulla rana e lo scorpione che devono attraversare il fiume. Benché la rana si sia prestata a traghettare lo scorpione sul suo dorso, a metà del guado lo scorpione la punge mortalmente con il suo aculeo. Quando la rana, mezza morta, gli chiede perché abbia fatto questa scelta, che li porterà entrambi a morire affogati nel fiume, lo scorpione le risponde "non posso farci niente, è la mia natura". Ecco: Bersani ed i suoi devono capire questo messaggio. Se credono di poter traghettare Renzi verso un PD migliore ed un Paese riformato in modo efficiente moriranno con lui, perché la natura di Renzi è quella dello scorpione: una natura essenzialmente a-politica, perché la politica non è avventurismo edonistico. Un partito "renzizzato" morirà con il suo Capo, quando la sua fase ascendente inevitabilmente finirà.

O si costruisce un pensiero ed un insieme di pratiche realmente alternativi rispetto a quelli che Renzi propone, oppure pensare di scendere a patti sulle questioni di merito, in questa fase, è un suicidio. Chi si oppone a Renzi dentro il PD si deve assumere la responsabilità di elaborare un programma alternativo, e di mettere dei paletti oltre i quali non è più possibile un negoziato con Renzi. Non basta dire "prendo dei tuoi provvedimenti ciò che condivido", oppure scambiare il sostegno alla riforma del Senato con l'apertura verso modifiche all'Italicum, come si illude di fare Bersani. L'errore fondamentale è quello di ritenere di avere un interlocutore politico di fronte, mentre invece di fronte si ha soltanto una icona mediatica, dietro la quale ci sono poteri forti, non sempre interni al nostro Paese, che di voglia di negoziare con un Bersani o con un Cuperlo non ne hanno nessuna. 

Riccardo Achilli

 
 
 
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