Creato da socialismoesinistra il 28/06/2008
Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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In difesa dei giovani di adesso e dei giovani di ieri, di Riccardo Achilli

Post n°463 pubblicato il 06 Settembre 2014 da socialismoesinistra

Uno dei prodotti del degrado politico e culturale di questo Paese, che il renzismo ha perfezionato, e lascerà dietro di sè come eredità principale, è il conflitto intergenerazionale. Non c'è niente di nuovo. Sono decenni, direi dal secondo Governo Berlusconi in poi, che la destra agita tale conflitto per giustificare interventi sulle pensioni o sulle tutele dei lavoratori a tempo indeterminato. La novità sostanziale è che il Pd si sia appropriato di questo tema, declinandolo in un progetto di rottamazione complessiva di una intera classe dirigente, con l'unica, e direi debolissima, giustificazione secondo cui questa classe dirigente avrebbe portato il Paese ad un fallimento. Si va dalla critica al capitalismo familiare italiano, a quella del suo ceto politico, senza ovviamente risparmiare intellettuali, giornalisti e chi più ne ha più ne metta.

In realtà, ed a prescindere dalle ragioni e dai torti, quando si utilizzano certi argomenti, occorre essere in grado di offrire un modello di direzione politico/economica e culturale alternativo a quello che si critica. Altrimenti si rende evidente il fatto che il problema ruota meramente attorno ad una brama di presa del potere. Ora, da questo punto di vista, il renzismo non ha modelli alternativi da offrire, che non siano uno stantio blairismo e social-liberismo rimasticato e rigettato da anni nel resto d'Europa, ed una visione caudillistica, plebiscitaria e vagamente paternalistica (nella pretesa assurda di poter far crescere la consapevolezza politica del Paese con "consultazioni on line" che, ovviamente, non spostano di un millimetro i contenuti dei provvedimenti consultati) che ha già numerosi emuli nelle satrapie latino americane.

Il problema, e lo dico da appartenente alla generazione di Renzi (da lui mi separano solo quattro anni, e sono un perfetto coetaneo della Serracchiani, che quindi avrebbe potuto essere una mia compagna di classe, oppure una ragazza oggetto di mie attenzioni da corteggiatore) è che la generazione dei quarantenni italiani attuali non ha pressoché niente da offrire, in termini di progettualità alternativa. Ovviamente anche in questa generazione ci sono degli elementi che si collocano al di sopra della media, non bisogna mai fare di tutta l'erba un fascio, ma, parlando in termini di media e non di varianza, il livello generale, in termini di capacità di analisi sociale e di progettualità socio economica, è veramente modesto.

Siamo in fondo i frutti del tempo nel quale siamo cresciuti e ci siamo formati. Siamo venuti su nell'enorme luna park degli anni Ottanta, periodo nel quale il capitalismo ha raggiunto l'apice delle sue capacità di offrire benessere diffuso ed inclusivo (gli anni Novanta, a causa della comparsa del principale competitor del capitalismo, sono già stati anni in cui tale sistema ha gettato i semi della crisi epocale che viviamo oggi). Lo schiacciamento orizzontalistico dei rapporti di produzione indotto dal toyotismo, la terziarizzazione massiccia della nostra economia, che ha fatto crescere le differenze culturali e di status interne alla classe lavoratrice, indebolendone e fluidificandone i confini tramite l'emergere di un ceto medio di colletti bianchi auto-identificatosi culturalmente con la borghesia, lo spezzettamento della classe operaia provocato dall'outsourcing e dallo sviluppo di circuiti di piccole e piccolissime imprese a gestione padronal/paternalistica, cioè i grandi cambiamenti degli assetti sociali e produttivi di quegli anni, ci hanno consegnato, nella fase della nostra crescita adolescenziale, l'idea di una società piatta, in costante liquefazione, dove certo esistevano dolorose differenze sociali fra lavoratori e disoccupati, e ci perveniva, seppur attutita dalla distanza e dai media, l'eco delle dure lotte sociali ed operaie nella Gran Bretagna thatcheriana o negli USA reaganiani. Tuttavia, l'impressione di quegli anni era che il capitalismo fosse destinato ad una crescita progressiva ininterrotta, per cui anche i bacini di esclusione socio lavorativa sarebbero stati riassorbiti.

Inoltre, la sinistra italiana di quegli anni, reduce dalla sconfitta del berlinguerismo, nel tentativo di trovare la terza strada e di darsi un progetto governista, ma anche dalla sconfitta della sinistra extraparlamentare maturata dopo il '77 e nella strumentalizzazione che venne fatta della deriva brigatistica, era divisa fra un PCI che proprio in quegli anni, dopo Berlinguer, si accomodò in una posizione di gestione di una rendita politica, elaborando la questione morale berlingueriana come ultimo avamposto di un progetto di innovazione sociale che si era andato indebolendo, ed un PSI in cui Craxi cercò di introdurre un forte elemento di innovazione, ma che però, per debolezze culturali, organizzative e di classe dirigente, finì per degradare verso un pieno inserimento nel circuito spartitorio e consociativo della prima repubblica.

Questo quadro sociale e politico, connotato da un riflusso verso un sistema che appariva onnivoro e capace di estendersi in tutte le direzioni, in una qualche misura, ci ha resi (parlo sempre della mia generazione) propensi alla superficialità. Più che altro, direi, all'orizzontalità. Siamo stati abituati ad un pensiero orizzontale, in cui le evoluzioni sociali avvenivano per progressivo allargamento del sistema esitente, come una macchia d'olio che si allarga su un piano orizzontale, e non per salti sistemici, che richiedono una visione verticale e laterale della storia. La caduta del muro di Berlino (che ha comportato, per l'appunto, una traslazione orizzontale dei principi più ortodossi del capitalismo neoliberista da Ovest verso Est, cone le shock therapies di Sachs imposte agli ex Paesi comunisti) e le tesi (completamente stupide) della fine della storia sembravano aver in qualche modo confermato la validità del tutto fittizia di questo pensiero orizzontale. La cavalcata trionfale del capitalismo drogato di finanza degli anni Novanta, dopo la breve battuta d'arresto della crisi del 92-93, e l'avvio di una destrutturazione del mercato del lavoro rivenduta come opportunità di autorealizzazione personale e creativa, fuori dai lacci e lacciuoli del vecchio sistema fordista del lavoro fisso, hanno completato l'opera di diseducazione culturale della mia generazione.

Non che non fossimo politicamente impegnati. Sarebbe sbagliato affermarlo. Ma dentro questo sistema ad espansione orizzontale il nostro impegno politico era anch'esso orizzontale. Senza spessore. Così vivevamo di impegno politico privo di un esame di classe, che è quello che conferisce profondità e verticalità al pensiero. La lotta di classe veniva così sostituita, ad arte, da parte dei media di sistema, da impegni politici generici e innocui. Cosicché, la mia generazione, che come ci ricorda Renzi ascoltava Sting e gli U2, veniva condotta ad urlare "set Mandela free" sull'onda di un generico ed innocuo impegno antirazzista. Con cosneguenze nefaste che avremmo misurato venti-venticinque anni dopo: la creatura politica di Mandela, l'Anc, uccide i suoi fratelli che lavorano come schiavi nelle miniere di diamanti. Senza che Mandela abbia niente di particolare da dire. Cosicché ci si impegnava, sull'onda dei messaggi che arrivavano dai film e dalle band rock e pop, su temi trasversali, come le pari opportunità, la difesa dell'ambiente, la lotta alla droga. Ma sempre in quel modo orizzontale, senza profondità, guidato grosso modo da icone, positive e negative. In quegli anni, ad esempio, Vasco Rossi faceva la parte dell'icona negativa del drogato, con canzoni come "Siamo solo noi", ed in effetti il ribellismo da assunzione di droga è l'unico consentito in un sistema sociale che ambisce alla liquidità ed all'orizzontalità, dove i conflitti di classe sono sotituiti dal lavoro per team e per isole di produzione del toyotismo. 

Ecco perché detesto Renzi, ecco perché lo detesto anche sotto il profilo personale. Perché, da reduce di quella generazione, egli identifica il peggio dei ragazzi degli anni Ottanta e Novanta: la superficialità, la faciloneria, il rampantismo da yuppie fuori tempo massimo (ed a ben vedere, l'ossessione carrieristica della mia generazione è forse un tentativo inconscio di superare i vincoli dell'orizzotalismo con il tentativo di arrampicarsi sulla montagna della gerarchia sociale) l'approccio orizzontale alle questioni (non dobbiamo uscire dal perimetro imposto dai trattati europei, soltanto sfruttare al massimo gli spazi interstiziali di flessibilità non ancora riempiti, come una goccia di olio che progressivamente si estende su tutti gli angoli del piano). Il culto della comunicazione, tipico di una società terziarizzata, smaterializzata, dove tutto diventa impalpabile, e la concretezza di questo mondo, che in fondo è fatto solo di merda e sangue, tende ad evaporare, ed a assumere un buon profumo.

Detesto Renzi perché vedo in lui, come in uno specchio, la parte peggiore di me stesso e dei miei amici di quegli anni.E allora viva i giovani di adesso, quelli che stanno crescendo dentro la crisi. Che l'assenza di lavoro e di prospettive esitenziali sta costringendo alla riflessione verticale e laterale. E viva i cinquantenni, i sessantenni e i settantenni che sono cresciuti prima di me, che ricordano ancora cosa sia la lotta sociale, e che la possono trasmettere ai più giovani. Sono loro quelli che ci salveranno. Noi quarantenni siamo solo, nella maggior parte dei casi ed in media, spazzatura senza possibilità di riciclaggio.

Riccardo Achilli

 
 
 
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