Creato da socialismoesinistra il 28/06/2008
Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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Il documento di SocialismoeSinistra per la commissione economica del partito

Post n°142 pubblicato il 16 Aprile 2009 da socialismoesinistra

 

 

 

La commissione economica del Partito Socialista ha discusso sulla crisi economica e sui suoi riflessi sul mondo del lavoro in alcune riunioni ricche di spunti e di proposte. Nel ringraziare tutti i membri della commissione che hanno dato un loro contributo positivo alla discussione vediamo di delineare in modo abbastanza sintetico le riflessioni e le prime conclusioni cui la commissione è pervenuta.

Il lavoro della commissione ha individuato tre piani di approccio al tema evitando di isolare la problematica ad una ristretta e parziale “questione lavoro” che non può essere enucleata dalla questione complessiva dell’assetto economico e della presente fase del capitalismo.

I tre piani d’approccio sono:

1.      analisi delle cause della crisi

2.      interventi di natura emergenziale

3.      obiettivi di natura strategica.

 

1.      Analisi delle cause della crisi

 
La crisi, esplosa nel luglio del 2007 con la crisi dei sub-primes negli Stati Uniti d’America, si è allargata a macchia d’olio in tutto il mondo e ha intaccato anche l’economia reale. Sono venuti alla luce comportamenti nel mondo della finanza di assoluta sregolatezza in mancanza di controlli adeguati, tali da creare un’economia “di carta” che ha raggiunto dimensioni esorbitanti (11 volte il PIL) . Tuttavia sarebbe limitato ritenere che corrette le regole del mondo finanziario (linea Tremonti Sarkozy Merkel) e ripristinato il controllo dei mercati su queste transazioni  anarchiche (anche se fondate sulla teoria del rischio di un Nobel della matematica), tutto possa, come scrive Giorgio Ruffolo, “tornare come prima”.

Nel suo ultimo libro Padoa Schioppa  sostiene che la nuova Bretton Woods dovrà occuparsi oltre che delle regole finanziarie, della redistribuzione del reddito che ha portato a livelli patogeni le differenze tra paesi ricchi e paesi poveri e tra le classi all’interno dei singoli paesi. Lo spostamento di punti di PIL dai salari ai profitti quantificato dalla Bundesbank nel 10%  come scrive Bastasin sul sole 24 ore) è un elemento fondamentale da correggere e che non può essere trascurato. Lo stesso CNEL individua come causa della stagnazione italiana il “fallimento politico” del protocollo del 1993 che ha visto sì la moderazione salariale, l’aumento dei profitti ma  cui non sono conseguiti aumenti di investimento in tecnologie e innovazione (vedasi il libro verde sull’innovazione della Fondazione Cotec) causando flessione nei consumi.

La redistribuzione, l’aumento della massa salariale, innervata in una ritrovata politica dei redditi, resta un obiettivo cardine specie quando si rinnova il modello contrattuale che giustamente collega aumento dei salari ad aumento della produttività.

La presenza sopra media di piccole imprese nell’apparato produttivo italiano frena nell’ascesa ma fa da ammortizzatore nella caduta; resta tuttavia la cronica incapacità ad aumentare la produttività con dimensioni sotto massa critica.

 

2.      Gli interventi di natura emergenziale

 

Vanno distinti in due grandi filoni: emergenza banche ed emergenza lavoro.

Sul primo filone non è questo il luogo di discussione, volendo soffermarci sui problemi del lavoro anche se ad essi non sono indifferenti i provvedimenti presi per tamponare l’emergenza degli istituti di credito.

Sul secondo filone, riconosciamo che con l’allargamento della Cassa integrazione  in deroga, e l’accordo Stato Regioni si è compiuto un passo positivo verso la riforma degli ammortizzatori che non si era voluta affrontare in sede di discussione della legge 30 che del progetto Biagi ha realizzato solo la flessibilità. Si provvede oggi, con affanno, a sanare una falla lasciata aperta 5 anni fa.

Lo strumento della cassa integrazione è stato esteso praticamente a tutta la platea dei lavoratori lasciando però fuori gli atipici e i flessibili; l’agire con affanno e sotto emergenza può portare a queste deficienze. Comunque meglio tardi che mai sempreché rimanga fermo l’obiettivo di un modello universalistico che non discrimini il lavoratore qualunque sia la sua forma contrattuale.

Con lo stesso principio universalistico consideriamo con attenzione ed interesse la proposta Ichino ( che vorremmo tuttavia confrontare con la proposta Boeri) di un contratto unico per tutti che superi la frammentazione del mercato del lavoro generata dalla legge 30 ed eviti il rapporto asimmetrico datore di lavoro/singolo lavoratore, ridando al sindacato il ruolo naturale che gli spetta, specialmente se saprà ritrovare le ragioni di una unitarietà  di rappresentanza e di azione. Senza escludere nessuno, specialmente la CGIL che rappresenta un mondo che non va isolato, anche in considerazione della pace sociale. Ma l’unitarietà dovrà, in prospettiva, estendersi a tutto il territorio europeo per superare l’asimmetria tra circolazione dei capitali a dimensione europea e rappresentanza del mondo del lavoro ancora troppo ristretta a livello di nazione.

Apprezziamo le varie forme di “tutela attiva” che si stanno impostando così come i tentativi di costruzione di un sistema di formazione lungo tutto l’arco della vita (lifelong learning); tutti strumenti che vanno discussi con le forze sindacali , in un clima di concertazione e costruttività.

Altro elemento di emergenza antica è quello delle morti sul lavoro cui l’attenzione deve sempre essere dedicata.

 

3.      Obiettivi di natura strategica


 
E’ su questo fronte che si addensano le nostre preoccupazioni, ma non solo le nostre, circa il paese, l’assetto produttivo che ci ritroveremo alla fine della crisi. Siamo preoccupati che la giusta attenzione del governo a non aggravare il già pesante onere del debito pubblico, si riversi sulla mancanza di attivazione di stimoli e indicazioni di linee di sviluppo per il mondo produttivo lasciando invece che si instauri un “universale arte di arrangiarsi” inadeguata a stare alla pari con il resto del mondo.

Concordiamo con le osservazioni di Peter Mandelson secondo cui:“L’Europa deve fare in modo che le merci ed i servizi che vende presentino un alto valore aggiunto. Ciò significa che i punti di forza fondamentali delle imprese europee devono consistere in un alto livello di conoscenza, creatività e sofisticazione tecnica. Esse debbono sviluppare ulteriormente i lavoratori più specializzati del mondo, potersi affidare a infrastrutture digitali e materiali di livello mondiale e trarre vantaggio da un ambiente normativo concepito per facilitare lo sviluppo di aziende forti. Il nostro obiettivo non deve essere il mantenimento artificioso di un’industria manifatturiera a basso costo o labour intensive ma di promuovere un’industria europea dotata di manodopera specializzata, di università innovative e del sostegno della ricerca e sviluppo. Il nostro compito consiste nel fare dell’Europa il luogo migliore al mondo in cui creare imprese e sviluppare beni e servizi” con alto contenuto scientifico dalle nanotecnologie, alla green economy che preservi un ambiente sostenibile.

Su queste considerazioni dovremmo approfondire il nostro confronto con gli altri partiti di SINISTRA E LIBERTA’ per l’elaborazione di un nuovo “patto tra produttori” opposti all’universale arte di arrangiarsi e al dominio delle rendite. In tale filone rientrano i ragionamenti di un contratto collettivo di lavoro che premi la produttività ed un nuovo ruolo del settore cooperativo in questa fase del capitalismo ormai esaurita.

Sul fronte delle riforme di cui potremmo farci portatori subito, nella filosofia pragmatica di una risposta concreta ad una domanda concreta, pensiamo alla seguente.

Se è vero, come dice Emma Marcegaglia che dobbiamo pensare più all’economia reale che non a quella finanziaria, se è vero che il ministro Tremonti ha cercato di creare del nostro paese un piccolo paradiso fiscale per la finanza, se è vero come dice il CNEL che la finanza ha attratto quei super profitti generati dalla moderazione salariale e destinati all’innovazione tecnologica; se è vero tutto ciò: occorre ridare all’investitore un’eguaglianza di opportunità, senza arbitraggi fiscali, tra l’investire in impresa oppure investire in prodotti finanziari.

Ciò si traduce in una proposta di legge che: a) porti il livello di tassazione delle rendite finanziarie al livello del primo scaglione IRE (23%) e b) reintroduca (anche in forme più aggiornate)  la Dual Income Tax con la stessa aliquota fiscale. La detassazione degli utili reinvestiti ci pare un “must” che dovremmo sostenere.

 

Sono queste le raccomandazioni della commissione economica in materia di economia, aperte a discussione e contributi, ci riserviamo un simile documento sui problemi connessi alle banche e alla finanza.


 
Renato Gatti

 
 
 
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