Creato da socialismoesinistra il 28/06/2008
Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
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LA RIVISTA TELEMATICA
Siamo Socialisti convinti che la crisi delle economie dei paesi sviluppati abbia ormai assunto i caratteri di una vera e propria crisi di sistema, tale da incrinare la fiducia collettiva in un futuro caratterizzato dai livelli di garanzie sociali finora conosciuti, e cancellare l’egemonia delle idee-forza attorno a cui l’occidente ha consolidato gli equilibri di potere responsabili dei processi economici, finanziari e sociali oggi entrati in crisi.
Riteniamo quindi che la Sinistra democratica debba necessariamente rivedere la propria impostazione culturale e programmatica, non più adeguata alla profondità della crisi che sta coinvolgendo il capitalismo finanziario a livello globale,recuperando una concezione del riformismo socialista nuovamente proiettata a perseguire una trasformazione strutturale degli assetti economici e sociali, in grado di individuare un diverso modello di sviluppo,diversi parametri di riferimento della qualità della vita della società, e nuove regole di controllo sociale delle variabili economiche.
Questo percorso deve essere perseguito attraverso una ristrutturazione di tutta la Sinistra, essendo evidente che la straordinarietà della crisi implica il superamento della distinzione inevitabile tra chi proviene dal socialismo europeo e chi si è finora riconosciuto in esperienze politiche nominalmente più radicali.
La nostra rivista telematica di discussione e di approfondimento vuole essere uno strumento utile a questo progetto di ricostruzione della Sinistra.
Associazione SocialismoeSinistra per contatti: socialismoesinistra@libero.it
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C’è giustizia sociale ed uguaglianza se c’è uguale libertà, uguale opportunità di partecipazione alla gestione della cosa pubblica. Per partecipare i cittadini si organizzano in gruppi di interesse omogenei secondo la logica dell’azione collettiva. Non riconoscere i sindacati dei lavoratori dipendenti è negare la libertà e/o il diritto di partecipazione. È negare il principio di rappresentanza che non si esaurisce nella elezione dei membri delle Camere rappresentative, dei consigli regionali e dei sindaci magari con sistemi elettorali di dubbia costituzionalità. In buona sostanza, è negare la democrazia.
Non a caso l’art. 99 della Costituzione del 1948 prevedeva Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro con funzioni consultive per le Camere e lo stesso Governo. “Il CNEL era composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenesse conto della loro importanza numerica e qualitativa. Era organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Aveva l’iniziativa legislativa e poteva contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge”. Non a caso una delle misure della devastante riforma costituzionale proposta dal governo Renzi prevede l’abrogazione del CNEL. Quindi c’è coerenza e metodo nell’azione del Presidente Renzi quando si rifiuta di dialogare con i sindacati. Molti osservatori e opinion leader, a mio giudizio, sottovalutano la gravità di tale scelta e di tale comportamento che, da una parte, rifiuta il dialogo con i rappresentanti dei lavoratori, dall’altra, ogni settimana va a visitare questa o quella impresa accompagnato da un rappresentante della Confindustria.
Renzi non si limita a non riconoscere alcuni corpi intermedi (nel caso di specie i sindacati dei lavoratori) ma va oltre. Li accusa di essere responsabili di tutti i mali del Paese come fa con la burocrazia. Anche se quest’ultima è un potere dello Stato va bene lo stesso. Bisogna delegittimarla in continuità con l’azione iniziata metodicamente da Brunetta ministro della Funzione pubblica nel governo Berlusconi 2008-2011. Quindi c’è perfetta continuità tra la politica di delegittimazione propria della destra e quella di Renzi. Burocrazia e sindacati sarebbero di ostacolo alla efficienza del governo ma non ci si rende conto che senza la burocrazia il governo sarebbe una testa senza un corpo. Burocrazia e sindacati vengono accusati di rallentare l’azione del governo perché la prima complica le procedure di attuazione e i secondi vogliono addirittura condizionare la scelta degli obiettivi da parte del governo come se questo potesse governare solo con gli annunci e/o con i tweet.
Nel tempo noi abbiamo creato un sistema di guardie e ladri. Per cui i poteri dello Stato diffidano l’uno degli altri. Non c’è fiducia e leale collaborazione tra di loro. Ognuno di essi è, in modo e grado diversi, deresponsabilizzato. Tutti vogliono che sia la legge a dire che cosa ognuno di essi deve fare. Da qui l’abnorme produzione legislativa che per lo più rimane inattuata. Se la missione fondamentale della burocrazia è quella di applicare giornalmente la legge, è logico pensare che la colpa sia della burocrazia e se questo lo dice il governo, sarà vero – pensa la gente comune. Invece è falso. Non che la burocrazia non abbia la sua parte di responsabilità ma il fatto fondamentale è che le leggi chilometriche e complicate sono approvate dal Parlamento e che la quasi totalità di dette leggi è di iniziativa del governo. Quindi, ad essere chiari, la colpa della inefficienza del sistema paese è prima di tutti del governo. Una burocrazia inefficiente nega i diritti dei cittadini o non li attua al meglio. Per far valere i loro diritti, i cittadini facoltosi si fanno assistere da avvocati specializzati. Gli altri possono farsi assistere dai Patronati organizzazioni collaterali ai sindacati. E che cosa ha già fatto il governo Renzi? ha tagliato i sussidi ai Patronati. Se questi vogliono continuare ad assistere i loro iscritti devono aumentare le quote e i contributi.
La delegittimazione della burocrazia non consente la democrazia dell’uguaglianza e lo Stato di diritto. Non riconoscere le legittime rappresentanze dei lavoratori nega la democrazia rappresentativa. In questi termini Renzi, il Sindaco d’Italia, mi sembra in preda a delirio di onnipotenza e con metodo cerca di compromettere il processo democratico nel nostro Paese. Ci riuscirà? Non credo. Potrà abrogare l’art. 99 sul CNEL ma non credo potrà cancellare anche l’art. 39 della Costituzione del 1948. Se ci riuscisse si troverebbe davanti anche l’ostacolo dell’art. 11 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il comma 1 recita: Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione; comma 2: le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile”. Salto per brevità gli altri commi e le altre norme che prevedono la consultazione obbligatoria del Comitato economico e sociale (composto dalle parti sociali) e del Comitato delle Regioni. Ma ho voluto riproporre detti principi perché da come parla e da come si comporta non mi pare che Renzi ne abbia piena conoscenza.
P.S.: Mentre completo questa nota, sento alla radio di una lettera di Renzi al Direttore di Repubblica. Il Presidente afferma ripetutamente di essere di sinistra e cita le persone a cui si ispira idealmente. Tutto bene. Ma un conto solo le parole e un altro sono i comportamenti. Non ritengo di dover cambiare nulla di quello che ho appena scritto. Anzi non so come qualificare un Presidente del Consiglio che crede cambiando l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e raggruppando alcuni contratti, sta cambiano il mondo del lavoro. Non credo che abbia chiaro in testa come funziona il mercato del lavoro. Renzi si potrebbe consolare se sapesse che nessun governo della Repubblica – e meno che mai il suo – ha spinto l’economia verso il pieno impiego. Si legga per favore il Rapporto Saraceno del 1964. Il paradosso è che il mercato del lavoro in Italia è entrato in tensione, alias, si è avvicinato a situazioni di pieno impiego al Nord solo due volte, in corrispondenza di due stagioni contrattuali 1961-62 e 1969-70 di forti aumenti salariali. Se ci sono 6 milioni e passa di senza lavoro e oltre otto milioni di persone in povertà assoluta e relativa, non c’è giustizia sociale.
Vincenzo Russo
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