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Come la sto vivendo

Post n°1731 pubblicato il 20 Marzo 2020 da surfinia60

Ormai che cosa si può dire che non si sia già detto, su questa situazione che accomuna tutti?

Spenderò due parole su come la sto vivendo io.

Per mia natura sono una persona piuttosto rispettosa delle regole, talvolta anche quando non le condivido del tutto.

Ho sempre anteposto il meglio per tutti al mio tornaconto personale. Senza falsa modestia, posso dire che non mi costa fatica mettermi nei panni dell’altro, capire il suo punto di vista o, semplicemente, concedergli il suo spazio.

Di contro mi irrita profondamente il menefreghismo, la supponenza, il ritenersi sempre al di sopra delle regole, senza considerare, come oggi succede, che le conseguenze sono di tutti.

Perciò me ne sto a casa, rinchiusa, esco per necessità inderogabili e non tutti i giorni.
Anche se mi costa, anche se, da amante delle camminate quale sono, sento i muscoli delle gambe farsi di cartone, le articolazioni dolere, ogni fibra del corpo scricchiolare ed raffreddarsi.

Non sono perfetta: infrango spesso i miei proponimenti di fare esercizio fisico in casa, con l’aiuto di qualche tutorial che gira in rete. 

Un giorno sì e due no lo faccio, per ritrovarmi con i muscoli doloranti il giorno dopo.

E poi sento freddo, come se il sangue faticasse a circolare. Ho sempre la pelle gelata.

L’agilità del lavoro purtroppo non corrisponde a quella del corpo. 

Resto seduta per quasi 6 ore davanti al pc, alzandomi per sgranchirmi quando me lo ricordo.

I primi giorni mi sono sbizzarrita in cucina. Qualche dolce, la pizza, il pane, qualche manicaretto. Col passare dei giorni è subentrata la pigrizia, la svogliatezza, la rassegnazione, incoraggiate dalle cattive notizie quotidiane, che non ti lasciano intravedere neppure lontanamente la fine di questo incubo. 

Leggere sui social le opinioni, i veleni, i battibecchi della gente oramai mi dà la nausea e cerco di farlo meno possibile. 

Siamo in guerra. Una guerra senza spari, sangue e cadaveri per le strade, ma pur sempre una guerra. Silenziosa e subdola, contro un nemico letale e invisibile. 

Ti scuote nel profondo, nel coscio e nel subconscio. Pensi a te, ti chiedi se ce l’hai già dentro e non lo sai. Con la paura che prima o poi si manifesti e ti sbatta in qualche inferno ospedaliero. Sola.

Pensi ai cari lontani, in prima linea contro quell’umanità incosciente che ancora reclama il diritto di essere libera di fare i suoi porci comodi come se niente fosse. 

E ti auguri di non ricevere mai quella telefonata.

Di notte è anche peggio. Gli stessi pensieri, ma amplificati dal silenzio avvolgente delle ore notturne. Il sonno che non arriva e se lo fa è talmente frammentato che la mattina ti alzi, senza ricordarti che giorno è, se non per il calendario della raccolta differenziata.

Non capisco quelli che cercano di continuo scuse per uscire, facendo la spesa a più riprese, portando fuori il cane anche se non ne ha voglia. 

A me l’ingresso del supermercato fa angoscia. Le entrate regolamentate, i guanti, le mascherine, le distanze di sicurezza, gli sguardi in cagnesco del personale, quelli che si avvicinano troppo. Mi sembra di violare un coprifuoco, per cui riduco al massimo anche quelle uscite e in casa ci siamo attrezzati con l’acquisto online il più possibile.

Paradossalmente, morire non è il peggiore degli aspetti di questa guerra. Ma lo è morire da soli, senza una mano da stringere, una carezza, una presenza cara.

Ecco, mi sono dilungata più di quanto volessi. Anche questo dà la misura di come questo incubo ci coinvolga in ogni nostra fibra e di come sarà, ahimè, ancora molto lungo.

 
 
 
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