Autonomie locali, una questione di efficienza

PennaNera

Ave Socii

Chi fa da sé, fa per tre. Ogni realtà tende per natura all’autoregolazione, pur continuando a mantenere relazioni con l’esterno. Non perché una realtà si autoregola è costretta a rimanere isolata dal resto del mondo. E’ la teoria dei sistemi, a nostro parere applicabile persino alla questione delle autonomie locali. Promuovendo le autonomie non si vuole dividere l’Italia. Forse a volerla dividere saranno dei cretini sedicenti “anarchici” che si divertono a bloccare la circolazione ferroviaria… Non certo chi è a favore delle autonomie. In certi casi, anzi, l’autonomia è in grado di velocizzare i processi e rendere le singole realtà ancora più unite tra loro.

Chi paventa lo spettro di eventuali divisioni dell’Italia, magari ha in mente le antiche battaglie della Lega per “l’indipendenza della Padania”… Alcuni potrebbero addirittura percepire una sorta di “rigurgito secessionista” nella richiesta di autonomia da parte di alcune Regioni, guarda caso amministrate proprio da governatori vicini alla Lega… Ma l’autonomia non è l’indipendenza: si possono dare più poteri alle amministrazioni locali, senza per questo andare contro la Costituzione e contro “l’unità e indivisibilità” della Repubblica. Non è questione di Lega o non Lega, è una questione di buon senso.

Probabilmente qualcuno è ossessionato dalla Lega e dal consenso di cui al momento gode. Tant’è che non perde occasione per additarla come “nemica degli interessi dell’Italia”… O perché vorrebbe dividerla con le autonomie, o piuttosto perché riceverebbe “presunti finanziamenti” da un Paese straniero… Fra l’altro lo stesso Paese, ricordiamolo, che un tempo finanziava quel medesimo partito (o, se preferiamo, il suo più diretto erede) che ora più di ogni altro grida allo scandalo… Lo stesso partito che attualmente annovera pure uno dei suoi esponenti tra i membri del governo francese… Ma in questo caso non c’è scandalo, vero? Nessun tradimento degli interessi dell’Italia…

Le autonomie regionali sono un aiuto allo sviluppo dell’Italia. Un incentivo all’efficienza. Finché la ricchezza prodotta da alcune Regioni finisce nel calderone generale, le Regioni meno produttive sono ben poco motivate a fare di meglio… Tanto alla fine qualcosa rimedieranno comunque! Se invece ognuna facesse per conto proprio, con le risorse a propria disposizione, forse crescerebbe la motivazione a produrre in maniera più efficiente. Più autonomia, meno assistenzialismo.

La ricchezza prodotta da una Regione dovrebbe rimanere in quella stessa Regione. In questo modo, ciascuna Regione sarebbe motivata a ridurre gli sprechi e utilizzare efficientemente le proprie risorse. Al limite, solo una minima parte di quella ricchezza potrebbe essere versata in un “fondo comune di solidarietà”. In caso di necessità, le Regioni “più bisognose” potrebbero sempre attingervi, senza tuttavia rischiare di dipendere totalmente dagli aiuti altrui. Obbligare le Regioni a “condividere” tutta la ricchezza prodotta, fra l’altro, disincentiverebbe l’efficienza abbassando il livello di servizi offerti alla cittadinanza.

A livello europeo, possiamo individuare una questione di autonomie anche sul tema degli immigrati. In teoria, tutti gli Stati dicono che accogliere è un dovere morale che spetta a tutti quanti. All’atto pratico, invece, sembra che siano sempre alcuni a fare più degli altri. Gli Stati europei hanno avuto (e continuano ad avere) molteplici opportunità per dimostrare che “accogliere è un dovere morale”… Peccato che, a ridosso di ogni nuovo sbarco, quel dovere rimanga valido solo per l’Italia e pochi altri Stati. Allora, se in pratica ogni Stato fa da solo, tanto vale inviare meno soldi in Europa e reclamare più soldi per noi. Se davvero le autonomie sono un problema, forse lo sono nel contesto europeo assai più che in quello italiano. La differenza tra Stato e Stato, in Europa, è assai più ampia che quella tra Regione e Regione, in Italia.

La politica fiscale, in Europa, è demandata ai singoli Stati. Anche questo può essere visto come un esempio di autonomia. Esistono delle regole comuni cui ognuno deve attenersi, ma poi ogni singolo Stato deve fare i conti con la propria economia. L’Unione Europea è un crogiolo di Paesi tra loro diversissimi, con bisogni e risorse differenti. Ci sono Paesi che avrebbero maggiore bisogno di manovre espansive, ma spesso l’unico modo per finanziarle è attraverso nuovo debito. E chi ha già un debito elevato si trova in gabbia. L’autonomia, in questo caso, andrebbe forse ridimensionata. I debiti dei singoli Stati dovrebbero essere accomunati, almeno parzialmente. Ogni Paese dovrebbe condividere una parte del proprio debito con il resto dell’Europa, così da armonizzare i sistemi economici dell’Unione e permettere anche agli Stati più deboli di crescere.

La gestione comune, vediamo, prevede che tutti quanti contribuiscano. Così tuttavia c’è il rischio che a rimetterci siano, in realtà, quelli che si impegnano di più. Allora tanto vale impegnarsi il meno possibile, no? Crediamo che pagare per le mancanze altrui non faccia piacere a nessuno… Specie se quelle mancanze possono essere evitate. Ma tali mancanze debbono essere trattate in riferimento ai loro contesti. In Europa esistono differenze strutturali tra Stato e Stato, molto più che in Italia tra Regione e Regione. Un “fondo di solidarietà europeo”, o in alternativa un “debito comune europeo”, è persino auspicabile per mitigare le disparità generate dalle autonomie fiscali. Nel contesto dell’economia italiana, dove la differenza tra le Regioni è contenuta se confrontata con le disparità tra i Paesi dell’Eurozona, eventuali “fondi comuni” hanno invece un’importanza relativamente ridotta.

In conclusione, se nei grandi contesti si dovrebbe favorire la condivisione, per le realtà più piccole bisognerebbe invece dare spazio all’efficienza. Le piccole realtà sono il terreno fertile per sperimentare le autonomie. Un po’ come la divisione del lavoro e la concorrenza sono il terreno fertile per far crescere la ricchezza del popoli. Promuovere le autonomie vorrebbe anche dire favorire l’economia circolare: produrre ridimensionando gli scarti. Reimmettendoli nel processo produttivo, si utilizzerebbero efficientemente le risorse proprie evitando il ricorso alle risorse degli altri. Consentendo a tutti di produrre utilizzando a pieno regime le risorse proprie, la produzione totale viene massimizzata. Un governo delle risorse centralizzato, d’altro canto, tende a favorire gli sprechi a livello locale e risulta assolutamente inefficiente. Se la Costituzione stessa consente le autonomie, nel contesto di una Repubblica unica e indivisibile, forse qualche buona ragione c’è.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Autonomie locali, una questione di efficienzaultima modifica: 2019-08-06T09:47:52+02:00da MovimentoPennaNera