Ave Socii
“Vuoi la vita? Meritala!”… Dovrebbe essere questo l’imperativo morale di ogni essere umano di ogni tempo e di ogni cultura… Invece molti di noi amano appiattirsi sulla vita in quanto “diritto inalienabile”, diritto anteposto persino allo Stato e che lo Stato deve limitarsi unicamente a tutelare. Ma cosa significa “tutelare la vita”? In che modo uno Stato può intervenire, se un individuo minaccia l’esistenza di un altro individuo? Dovremmo essere tutti d’accordo sul fatto che la vita è sacra… Eppure c’è chi, attraverso i suoi comportamenti, dà l’idea di pensarla in maniera esattamente opposta. Chi uccide, evidentemente, non ha molto a cuore la “sacralità” della vita. A nostro avviso, i criminali che si macchiano di omicidio dovrebbero sapere cosa significa “sentire che la propria vita è a rischio”. Forse questo potrebbe spingerli a “cambiare”… Se ciò non accadesse, lo Stato dovrebbe agire di conseguenza.
Pure la regola generale del “vivere” come “diritto inalienabile” presenta delle eccezioni. Certe volte uccidere un innocente è sintomo di progresso: infatti ci interroghiamo su aborto e eutanasia. Ma uccidere un colpevole rimane un tabù: infatti molti vedono nella pena di morte un ritorno alla preistoria. E sperano che presto venga abolita in tutto il mondo. Vediamo, dunque, che anche per i diritti cosiddetti “umani, universali, inalienabili” possono essere previste delle eccezioni. Ma chi decide la liceità o meno di queste eccezioni? Se un diritto è universale e inalienabile lo è in assoluto, senza eccezioni. Perché, in certi casi, si può invece chiudere un occhio? Allora non siamo di fronte a un diritto così inalienabile come alcuni vorrebbero far credere… Se solo alcuni pensano di decidere quando un diritto è inalienabile o meno, noi non ci stiamo. Ed esprimiamo le nostre idee in merito… I fascio-buonisti non si indignino!
Per fortuna sta cominciando a passare il principio che chi entra nella proprietà altrui, senza essere il benvenuto, implicitamente accetta di mettere a repentaglio la propria vita. Quello della legittima difesa è, tuttavia, un provvedimento che necessita di molti miglioramenti. Però è già un primo passo per contrastare il senso di impunità che sembra aver spadroneggiato nel nostro Paese negli ultimi anni. Siamo assolutamente favorevoli a che sia ristabilito un clima di rispetto delle regole. Far rispettare le regole è l’unica garanzia di umanità e diritti per tutti, specialmente per i più deboli. Purtroppo abbiamo l’impressione che questo rinnovato clima non durerà a lungo. A qualcuno, infatti, questo clima non piace affatto e farebbe di tutto pur di spazzarlo via… Magari in nome di quei presunti “diritti umani” che hanno già dimostrato generare solo conflitti nella nostra società…
Ci sono persone che bevono o si drogano, poi si mettono alla guida di un’auto, sfrecciano a tutta velocità per le strade, incontrano persone ignare e magari succede il peggio… Al di là di tutti i discorsi educativi e di tutte le raccomandazioni, chi si comporta così non fa male solo a se stesso ma rischia di fare seriamente male pure ad altri che con lui non c’entrano assolutamente nulla. Anzi, soprattutto a loro. Bere e drogarsi sono scelte di quelli che intendono “trascorrere una bella serata”, così come mettersi successivamente alla guida di un’auto… Incrociare un’auto guidata da un drogato o un alcolizzato, invece, non è certo una scelta per quel poveraccio che ha la sfortuna di vedersi piombare addosso quell’auto a folle velocità.
In fondo, chi beve o si droga mette in conto che una corsa per strada potrebbe anche porre fine alla sua vita… Ognuno può fare della propria vita quel che vuole, pure metterla in pericolo fino alle estreme conseguenze. Tuttavia, se uno vuol mettere la propria anima nelle mani del Signore, non può costringere che altri lo seguano per quella strada. Specie se con lui non c’entrano nulla. Dovrebbe essere il Signore a decidere il giorno della nostra chiamata verso il cielo… Non uno sconosciuto che ha assunto qualche bicchiere di troppo o qualche stupefacente… Se certi soggetti hanno avuto “una vita difficile”, evitino perlomeno di renderla difficile agli altri! Si facciano aiutare, piuttosto!
Ci sono persone che si autoledono, si tagliano, si drogano, per mettere alla prova l’altro e attirare l’attenzione. Se comportamenti del genere perdurano, arrivare a mettere in gioco la propria vita è un attimo. All’inizio è bene aiutare queste persone ad uscire da questi atteggiamenti sbagliati, coinvolgendo tutte le figure significative vicine. Che ognuno di noi voglia attirare l’attenzione è fisiologico, magari pure attraverso comportamenti a rischio… Probabilmente nessuno di noi è stato un santo durante l’adolescenza! Ma arriva un momento in cui il meccanismo, se non corretto, si inceppa e il rischio, da comportamento marginale, diviene ragione stessa della propria esistenza. Strategia da utilizzare normalmente, da riproporre ogniqualvolta si incontra una difficoltà. In questi casi patologici ogni aiuto comincia a diventare vano… E ogni nuovo fallimento dei tentativi d’aiuto rafforza sempre più quella strategia malsana… E chi ha aiutato rischia pure di sentirsi in colpa per aver fallito…
Ci chiediamo, a questo punto, se soggetti così depravati siano degni di continuare a vivere. Siamo esagerati noi? O forse sono irrecuperabili loro? E se magari non solo sono irrecuperabili, ma pure potenzialmente dannosi per il prossimo? Se dopo tante messe alla prova non c’è stato verso di cambiare i loro atteggiamenti, cosa rimane da fare? Aspettare che facciano altri danni, magari con tanto di morti e lacrime di circostanza? Se tali soggetti considerano tanto insignificante il valore della vita, mettere a rischio gli altri sarà per loro una cosa “normale”. Sarebbe più che opportuno, allora, disinnescare simili mine vaganti finché si è in tempo. Ogni giorno in più della loro vita potrebbe significare altre vite innocenti danneggiate o, peggio, spezzate del tutto.
Per questo siamo convinti che aiutare i devianti con ogni mezzo sia cosa buona e auspicabile, ma se dopo tanti tentativi si fallisce è bene non prendersela con se stessi. Soprattutto se si è fatto tutto il possibile. In fondo, se il deviante perdura nella sua strategia non è colpa di chi cerca di aiutarlo a trovare strade alternative. Semmai la colpa è del deviante stesso, che vuole ignorare l’esistenza di strade alternative. Se la sua vita non conta nulla di fronte ai suoi capricci, che vada pure incontro al suo destino! A pensarci bene, nemmeno chi fa scioperi della fame o della sete ha molto a cuore la propria vita. Alla faccia del valore universale, in casi del genere la vita viene strumentalizzata per spuntarla in battaglie di varia natura. Battaglie personali, talvolta persino battaglie politiche… “Fare la vittima” perché gli altri si turbino e abbocchino…
Simili “strategie della tensione” dovrebbero essere assecondate solo per breve periodo. Se perdurano, tuttavia, andrebbero stroncate. Certo, all’atto pratico è tutt’altro che semplice definire una linea di comportamenti da tenere. Stabilire se una strategia è intenzionalmente orientata a mettere in difficoltà l’altro, tenerlo “sotto scacco”, o è invece solo l’effetto di una patologia mentale cronicizzata, è certamente complesso. Secondo noi, la strategia di intervento andrebbe ponderata in riferimento al luogo che ha in carico i soggetti in questione. Se una struttura è “socio-educativa” dovrebbe agire in certi modi, se è “sanitaria” in modi diversi. E’ chiaro che ogni struttura dovrebbe avere ben precisi requisiti, tali da renderla classificabile in maniera non equivoca e tali da poter permetterle di accogliere ben determinate categorie di utenza. Solo successivamente sarà chiaro in quali modi poter agire, in base al tipo di struttura e all’utenza ospitata.
Ad esempio, in strutture non prettamente sanitarie (carceri, comunità per tossicodipendenti ecc.) gli operatori non dovrebbero essere obbligati a intervenire, in caso di reiterazione frequente di “atteggiamenti autolesivi” da parte degli utenti. Finché capita sporadicamente si può cercare di venire incontro alla “vittima”. Ma chi persevera ha ben chiare le conseguenze cui va incontro, perché le ha già affrontate. Quindi, implicitamente, è come se le accettasse. Anche perdere la vita è una possibile conseguenza di certi comportamenti. E un operatore non può essere messo continuamente alla prova da queste “vittime” recidive. Se il comportamento lesivo coinvolgesse anche altri utenti, l’obbligo di intervento dovrebbe essere garantito esclusivamente ai “terzi lesi” e non agli autori della lesione (se recidivi). Per simili soggetti “irrecuperabili” potrebbero prospettarsi due possibilità: isolamento o fine vita. L’obbligo di intervento dovrebbe sempre valere, invece, verso chi è ospitato in strutture sanitarie come ospedali o case di cura.
Interrogarsi su aborto, eutanasia, testamento biologico, fine vita… Tutte questioni lecite e interessanti, per l’amor del cielo… Ma se uno Stato ha così tanto tempo per interrogarsi su come far morire un innocente, non vediamo il motivo per cui non debba avere tempo pure per interrogarsi su come far morire un colpevole. Scusate se le nostre opinioni non sono perfettamente allineate al “retto pensiero”… Però secondo noi l’inalienabilità della vita passa attraverso i comportamenti dei singoli, non attraverso le opinioni di qualche “paladino dei diritti umani” che pretende di dare pagelle di moralità a tutti. Firmare la condanna a morte per chi, in maniera reiterata, ha costituito un pericolo per la vita degli altri… Questo dovrebbe fare uno Stato serio che vuole tutelare la vita dei suoi cittadini onesti e perbene. Perché la vita di un singolo dipende dalle scelte che fa, nel bene come nel male.
Vostro affezionatissimo PennaNera