Regioni che si legano, Regioni che si inscatolano

Ave Socii

Che le elezioni regionali appena conclusesi fossero test solamente regionali, nessuno lo credeva davvero. Qualcuno, alla vigilia di questi appuntamenti elettorali, si affrettava a dire che non ci sarebbe stato alcun impatto a livello nazionale. Il giorno dopo, invece, scopriamo che il Presidente del Consiglio si sente più ancorato alla sua poltrona… Che lo spread è sceso… Che “in Italia” c’è di nuovo un bipolarismo… Alla faccia dei test regionali e territoriali!

Regioni governate bene, evidentemente, non hanno bisogno di cambiare. Regioni governate male pretendono invece che qualcosa cambi. Questo apprendiamo, il giorno dopo le elezioni: dopo decenni, anche una storica roccaforte rossa ha rischiato di cadere. Mai il centrodestra era stato così competitivo in roccaforti del genere. Merito, senza dubbio, della Lega e di Salvini. Così come è merito del buon governo del governatore uscente (e forse pure della mobilitazione delle sardine) l’aver resistito alla “deriva populista delle destre”. Pur confermandosi primo partito, il Pd è tuttavia tallonato dalla Lega anche nelle roccaforti più rosse.

Ma la vera notizia è la caduta verticale dei Cinque Stelle. Forse è proprio grazie a loro che delle roccaforti rosse possono ancora definirsi “rosse”. La sfiducia nel M5S, unita alla pratica del “voto utile”, ha sicuramente rafforzato l’argine antisalviniano. Ci sono Regioni che celano un significato molto più ampio del territorio che rappresentano. Un significato nazionale. Salvini lo ha sottolineato e ora ne raccoglie i frutti, nel bene come nel male. E chi fa finta di relegare certe competizioni ad ambiti esclusivamente regionali, ora non può far finta di non raccoglierne i frutti, nel bene come nel male.

Evidentemente, il Pd si sentirà legittimato a proseguire l’attuale esperienza di governo. D’altra parte, i Cinque Stelle si sentiranno sempre più schiacciati e indeboliti. Una situazione simile a quella registrata il giorno dopo le elezioni europee. La forza di governo minoritaria in Parlamento (che allora era la Lega) fu in grado di esercitare pressione nei confronti della forza di maggioranza “virtuale” (rappresentata, allora come oggi, dai pentastellati). Sappiamo come andò a finire allora… Andrà a finire in quel modo anche stavolta?

Le elezioni regionali non avranno impatto a livello nazionale… Macché! Prevediamo che presto il Pd prenderà in mano le redini di questo governo, così come ha saputo mantenere le redini delle roccaforti rosse. Forse ci saranno mutamenti in tema di prescrizione. Forse ce ne saranno anche in tema di immigrazione, di decreti sicurezza, di ius soli, di ius culturae. Ci sono navi cariche di migranti in attesa di porti sicuri. Nessuno ne ha parlato in campagna elettorale, soprattutto a sinistra. Nemmeno la “nuova sinistra” rappresentata dalle sardine. Forse per paura di ripercussioni a livello elettorale. Chissà se adesso, dopo l’esito del voto, i porti della penisola si spalancheranno a orde di migranti. Se davvero sarà così, speriamo almeno che ad accoglierli siano proprio quelle Regioni che hanno la perseveranza di definirsi “rosse”. Chiamasi “coerenza”.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Prescrizione abolita e processi infiniti. Lo strapotere giudiziario continua

Ave Socii

Dal 1° gennaio è entrata in vigore la riforma che prevede l’abolizione della prescrizione. Un capolavoro del giustizialismo targato “Cinque Stelle” e che oggi solo i pentastellati rivendicano come una battaglia di civiltà di cui vantarsi. Chiaramente nessuno si fa convincere, forse solo il Pd. Che ovviamente è subito pronto a prendersela col “governo precedente”. Se la prescrizione è stata abolita, la colpa è anche stavolta della Lega, origine di ogni male… Ricordiamo che l’abolizione della prescrizione fu il frutto di uno dei tanti accordi fra Lega e Cinque Stelle… Abolizione della prescrizione, cavallo di battaglia dei pentastellati, in cambio di una radicale riforma della giustizia, voluta dai leghisti. All’epoca fu la Lega a cedere allo scandaloso giustizialismo del Cinque Stelle, al loro risentimento sociale. Ora, però, è il Pd e buona parte della sinistra a piegarsi dinanzi a questi odiatori di professione, senza peraltro opporre la benché minima resistenza.

In mancanza di una sostanziale riforma dei tempi dei processi, cancellare la prescrizione significa solo tenere i cittadini ostaggio della giustizia. Con il “fine processo mai”, prevediamo un aumento considerevole della domanda di avvocati. Quelli già operanti, infatti, saranno costretti ad occuparsi dei medesimi casi per buona parte della loro carriera. Al crescere dei casi da trattare, sarà necessario ricorrere ad un numero sempre maggiore di uomini del diritto. Un toccasana per gli avvocati in cerca di lavoro. Ma all’assorbimento dell’offerta in eccesso di avvocati, si contrappone il principio (assolutamente antigiuridico) della presunzione di colpevolezza già a partire dal primo grado di giudizio. Cittadini trattati come potenziali colpevoli… Ancora più tempo perso fra gli uffici giudiziari… E i detentori del potere giudiziario ringraziano. Chissà, forse un giorno ricambieranno il favore a certa parte politica… Magari eliminando giudiziariamente qualche avversario oggi politicamente ineliminabile…

Forse c’è ancora speranza che il Parlamento ribalti il prima possibile l’aberrante verdetto sull’abolizione della prescrizione. Staremo a vedere… Intanto ci auguriamo che dei cittadini finora innocenti non cadano nelle maglie della giustizia proprio in questo periodo caldo. E che alcune forze politiche la smettano di riversare le proprie malsane ambizioni e frustrazioni su un’Italia che già non ne può più della situazione in cui versa attualmente. Se il potere giudiziario è così potente, forse è anche un po’ colpa della debolezza e dell’incompetenza di certa politica.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Strade sempre più insicure, soprattutto per i pedoni

Ave Socii

Da tempo immemore, purtroppo, la cronaca mostra che, sulle nostre strade, c’è chi si mette al volante ubriaco o drogato. E c’è ancora chi, tra le forze politiche, è addirittura favorevole ad aumentare il numero di sostanze legalizzate. Come se non bastasse l’alcol, vogliono aggiungere la cannabis e magari pure qualcos’altro. E poi si arrabbiano, quando qualcuno si fa vedere un tantino più “proibizionista”… Allora perché non fermiamo anche la vendita di alcolici? Questo si domandano, dandoci degli ipocriti. Sanno benissimo, furbetti, che la vendita di alcolici non si può limitare facilmente. E pensano bene di proteggersi dietro a questo scudo. Ci si sballa con l’alcol, tanto vale sballarsi pure con altro. Perché l’alcol sì e la cannabis no?

Questo giochino del “mettere sotto scacco i proibizionisti”, tuttavia, dà per scontata una cosa che in realtà scontata non è affatto. Ossia, che alcol e droghe abbiano la stessa natura e servano, fondamentalmente, per sballarsi. Questa pericolosa identità è oggi sponsorizzata in primo luogo dai trapper e dai loro testi musicali, tanto amati da giovani e giovanissimi. E’ un’identità pericolosa e fuorviante. Bere alcol non significa necessariamente sballarsi; farsi una canna, invece, conduce sempre ad un’esperienza di sballo. Perché gli alcolici sono degli alimenti, i cannabinoidi dei medicinali. Chi pensasse di trattare l’alcol come una droga tout court, in pratica, giungerebbe a considerare “spacciatori” perfino quei viticoltori che mantengono alto il nome del “Made in Italy” nel mondo. D’altro canto, la cannabis è una sostanza psicotropa che ha certamente effetti benefici su determinate patologie. E, in quanto tale, dovrebbe essere trattata come un farmaco, non come un passatempo ricreativo.

Ritornando a chi viaggia sulle nostre strade, potremmo chiederci perché certa gente si mette a guidare in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. Probabilmente è gente che soffre, gente depressa che ha bisogno di sballarsi. Gente totalmente incentrata sui propri problemi, perciò incurante di tutto il resto. Una sostanza non provoca sballo finché non è legata ad una particolare esperienza. Bere tre dita di vino a pranzo, accompagnando i pasti, è forse un’esperienza di sballo? Persino la somministrazione controllata di cannabinoidi in ambito sanitario, per curare il morbo di Parkinson ad esempio, non porta ad uno sballo propriamente detto. D’altro canto, chi prima si fa una canna oppure svariati bicchieri di alcolici e poi scorrazza per le strade… Beh, forse ha bisogno di curarsi.

Chi ha avuto particolari esperienze di vita, soprattutto all’interno di famiglie problematiche, tende a cercare al di fuori del nido familiare la propria ragion d’essere. E spesso la trova nel divertimento estremo, nello sballo appunto. Mettere a rischio la vita altrui è forse una componente essenziale di quest’esperienza. Come dire: io ho sofferto tanto e ce l’ho con la società, perciò la società deve capire cosa vuol dire soffrire. A volte il fatto stesso di aver sofferto giustifica, agli occhi di costoro, la sofferenza che può capitare ad altri membri della società. L’invidia nei confronti del mondo li rende pericolosi: si lamentano che la loro vita è un inferno, quando certe volte sono loro stessi a rendere infernale la vita degli altri. E’ forse “libertà di divertirsi” questa? Nessuno può permettersi di affermare la propria libertà, arrivando a negare la libertà altrui.

Mettendosi nei panni di queste persone, si finisce senza dubbio per giustificarle. Le loro “vite difficili” coinvolgono e commuovono. Se sbagliano non importa, l’importante è che prima o poi si redimano… Perché la redenzione è possibile per tutti… Si tratta di un pensiero (purtroppo) assai diffuso oggi, dove sembra che ai criminali sia concesso tutto e che delle vittime tutti si dimentichino. Perché è così che dovrebbe essere considerato uno che scorrazza per le strade in preda allo sballo: un criminale. Il fatto che dei pedoni abbiano attraversato col rosso non giustifica un conducente in stato di ebbrezza che li travolge. Non vogliamo fare la solita predica sul divertimento sano e senza eccessi. Se volete bere, bevete. Se volete drogarvi, drogatevi. Ma per tornare a casa, fatevi almeno accompagnare da chi sta meglio di voi. Ne va non tanto della vostra vita ma della vita altrui, dei pedoni soprattutto.

Purtroppo il clima di buonismo negli ultimi tempi imperante ha varcato pure i confini del diritto. Dinanzi a un sistema che concede attenuanti a persone che “hanno sofferto”, noi rispondiamo con un progetto ri-educativo serio di reintegrazione e reinserimento nella società. Un progetto basato sulla rielaborazione del senso della vita, sull’abbattimento del vittimismo e sulla responsabilizzazione. Crediamo che ai soggetti devianti debbano essere concesse possibilità che magari non hanno mai avuto. Ma non all’infinito. Qualora tale progetto fallisca, infatti, non rimane che trattare queste persone come in effetti vogliono essere trattate: da criminali. E, nel caso risultino nuovamente coinvolte in reati provocati da situazioni di sballo, provvedere alla loro neutralizzazione.

L’applicazione della pena di morte, in realtà, non dovrebbe valere solo per chi viaggia per le strade in preda a droghe o alcol. Dovrebbe valere per tutti coloro i quali mettono a rischio la vita altrui, fra i quali anche spacciatori e assassini. Perché la vita è un diritto sacro e, in quanto tale, nessuno dovrebbe permettersi di insidiarlo. Qualora questo accada, potrebbero aprirsi degli spiragli per un intervento dello Stato nel caso il reo sprechi le possibilità di reinserimento nella società. Speriamo, ovviamente, che interventi tanto drastici non trovino mai applicazione pratica. Tuttavia crediamo che ognuno di noi avrebbe un motivo in più per responsabilizzarsi, se sapesse di rischiare grosso. E’ così strano sentir parlare di morte per i colpevoli, in uno Stato in cui si parla spesso di morte per gli innocenti?

Vostro affezionatissimo PennaNera

Venti di guerra ad inizio anni Venti

Ave Socii

Il decennio appena iniziato si è aperto sotto i peggiori auspici. Il Medio Oriente è in subbuglio, il mondo islamico in fermento, l’Occidente in confusione. L’ultima azione militare di Trump ha letteralmente spaccato l’opinione pubblica. Perfino negli Stati Uniti qualcuno è convinto che si sia gettata una dinamite in una polveriera. Soffiano venti di guerra minacciosi. Guerra in ambito non solo militare, ma anche economico. E’ incominciata la corsa ai beni rifugio e il petrolio ricomincia a salire velocemente di prezzo. I segnali di insicurezza sono più che evidenti.

In tutto questo, Italia ed Europa sono costrette a tentennare. A barcamenarsi da una parte e dall’altra. A dire che l’unico modo per risolvere le questioni è la diplomazia. A non assumere una posizione chiara e definita. Forse non per colpa loro. Questioni tanto delicate non si possono liquidare con semplici atteggiamenti di assenso o dissenso. La politica estera è complessa, costruita su molteplici rapporti di interdipendenza. Italia ed Europa non possono assumere posizioni nette, perché dipendono da altri Paesi. Nel settore energetico, ad esempio. Gli Stati Uniti possono permettersi di assumere le posizioni che vogliono: tanto dispongono a sufficienza di qualsiasi tipo di risorsa di cui necessitano. Noi no. Siamo certamente contenti che Trump abbia eliminato dei pericolosi terroristi islamici. Ben vengano ulteriori misure di questo genere. Ora però domandiamoci: quanto sarà feroce la vendetta islamica verso l’Occidente?

Esistono dei periodi storici in cui conviene essere aperti al resto del mondo. Esistono altri periodi storici in cui conviene, invece, difendere la propria sovranità. Crediamo che ora il sovranismo sia preferibile all’apertura incondizionata e all’abbattimento dei muri. Il modello di società aperta, nonostante qualche momento di tensione, ha funzionato piuttosto bene finora. Ma da un po’ di tempo a questa parte hanno iniziato a soffiare venti impetuosi, dinanzi ai quali non eravamo preparati. Due fra tutti: l’immigrazione di massa e il terrorismo islamico. Una volta per tutte, è necessario ribadire con forza che l’apertura non è sempre il bene assoluto e la chiusura non è sempre il male assoluto. Se l’identità nazionale è minacciata, è opportuno trovare soluzioni che la preservino dagli attacchi provenienti da certe culture aggressive.

Il mondo non può esistere senza le identità nazionali. Non può esistere un’unica “identità nazionale umana”. La cultura non è solo ciò che accomuna gli uomini, ma pure ciò che li differenzia. Per natura gli uomini aiutano i loro amici, ma combattono i loro nemici. Negare che esistano culture fra loro nemiche vuol dire fare il gioco delle culture più aggressive. E costringere le altre a soccombere. Noi non ci stiamo. Noi crediamo che una qualsiasi cultura abbia il sacrosanto diritto di difendersi, ogniqualvolta contro di essa spirino venti impetuosi in grado di minacciarne l’esistenza.

Ma difendersi non vuol dire solo annientare i nemici più pericolosi o chiudere i porti agli immigrati irregolari. Esiste un ambito che talvolta passa sotto traccia, ma che spesso sta alla base di molte condotte umane: quello economico. Il comportamento economico si fonda, in soldoni, sui bisogni degli uomini. Se gli uomini non avessero bisogni, non esisterebbero comportamenti economici. Più soggetti bisognosi generano rapporti economici, che nel lungo termine divengono vere e proprie interdipendenze. Ma l’interdipendenza dovrebbe fondarsi su un sostanziale equilibrio fra i bisogni dei soggetti. Al sopraggiungere di determinate circostanze, può subentrare uno sbilanciamento che inevitabilmente favorisce un soggetto a scapito dell’altro.

Come dicevamo, a livello energetico noi dipendiamo in larga misura da diversi Paesi. Alcuni di questi sono proprio in territorio islamico. Se la vendetta di questi Paesi dovesse colpire l’Europa e l’Italia, probabilmente il settore energetico ne sarebbe pesantemente influenzato. Forse è soprattutto per questo che non possiamo assumere una posizione chiara: per non rischiare di rimanere “a secco”. Ai petrolieri fa comodo così. Perché, tuttavia, dobbiamo essere condannati a dipendere da Paesi tanto instabili? Non sarebbe meglio promuovere una sorta di autarchia energetica, magari impiegando termovalorizzatori ed energia nucleare? Il messaggio sta lentamente incominciando a passare, per esempio attraverso l’economia circolare. Purtroppo ancora attendiamo che si realizzi in concreto.

Forse promuovere la sovranità e l’autarchia è solo uno slogan vuoto. Forse sono davvero troppi gli interessi che si andrebbero a smuovere e colpire. Forse nessuno vuole rinunciare a questi interessi. Forse dobbiamo subire passivamente i venti scatenati da altri, per timore di affrontarli. Noi vogliamo credere che non sia così. E vogliamo credere che un giorno l’Italia sarà in grado di risollevare la testa e competere orgogliosamente per la vetta del mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera