Trattative lunghe, Europa inerte

Ave Socii

Si è da poco concluso un accordo che la maggioranza dei commentatori definisce “storico”. Con esso, per la prima volta, i Paesi membri dell’Unione Europea hanno deciso di creare un debito comune per finanziare misure senza precedenti con cui affrontare il dopo-coronavirus.

Raccontata così, sembra che tutto sia andato per il verso giusto. Che abbiano vinto tutti. Che abbia vinto l’Europa, soprattutto, alla faccia di sovranisti e nazionalisti vari. In realtà però, queste trattative hanno rivelato tutta la fragilità dell’Unione. Nonché la sua stretta dipendenza dalle decisioni prese dai singoli governi nazionali. Ciò che dovrebbe far riflettere, inoltre, è che ad opporsi più tenacemente a questo accordo sono stati alcuni Paesi governati proprio da forze cosiddette “europeiste”.

Chiunque abbia a cuore l’Italia e la sua ripresa, desidererebbe che le cose stessero davvero come le raccontano Cinque Stelle e Pd. Ma non si può mentire agli italiani. I soldi promessi non ci sono e non si sa come verranno raccolti. E, ciò che più conta, ogni singolo Stato dell’UE deve approvare quell’accordo.

Quanto raccontato da Cinque Stelle e Pd su queste trattative “storiche” rischia di trasformarsi nell’ennesima menzogna di un governo incapace di decidere. Non è vero che “hanno vinto tutti”, visto che molti Paesi iniziano già a lamentarsi dell’accordo. E forse non è neanche vero che “ha vinto l’Italia”, visto che le decisioni su come spendere quei soldi dovranno necessariamente essere vagliate dagli altri Paesi dell’UE.

I soldi promessi, fra l’altro, arriveranno solo fra un anno. Ammesso e non concesso che arriveranno. Tutto dipenderà dalla capacità del governo di presentare piani di sviluppo credibili secondo l’UE. Inoltre, se a livello aggregato gli aiuti a fondo perduto superano i prestiti, per l’Italia ciò non si verifica. Per noi, al contrario, la quota dei prestiti supera (e non di poco) quella del fondo perduto. Segno evidente della diffidenza che alcuni in Europa nutrono nei confronti del nostro Paese.

Come si può notare, i tempi della UE non sembrano certo idonei ad affrontare celermente un’emergenza come il coronavirus. Non lo sono stati sin dall’inizio, in realtà. La locuzione “solidarietà europea” è certamente portatrice di un bello e auspicabile messaggio di unità. Ma più e più volte l’Europa ha dimostrato di essere tutt’altro che solidale nei nostri confronti. Anche durante quest’ultima emergenza legata al virus. Il fatto stesso che si sia ricorso a trattative estenuanti per raggiungere quest’ultimo accordo, la dice lunga su quanto limitata sia questa presunta solidarietà europea. Solo il tempo ci dirà se questa solidarietà è davvero genuina, o è solo l’ennesimo espediente per mascherare i soliti egoismi di certi Stati.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Autostrade e concessioni: l’eterno braccio di ferro tra pubblico e privato

Ave Socii

Perché uno Stato sia forte, settore pubblico e settore privato dovrebbero pervenire, se non ad una vera e propria alleanza, perlomeno ad una collaborazione costruttiva. La vicenda delle concessioni autostradali ci dimostra che spesso non è così. Avendo interessi spesso contrastanti, pubblico e privato procedono ognuno per conto proprio. Talvolta lungo direzioni diametralmente opposte.

La sfera di interessi del pubblico è fondata sul perseguimento dei diritti costituzionalmente rilevanti. La sfera di interessi del privato si basa, invece, sul criterio della massimizzazione del profitto. Il ruolo della politica, in questa “disputa”, dovrebbe essere quello di sintetizzare tutti gli interessi in gioco. E sintetizzarli, possibilmente, in tempi ragionevoli.

I continui rinvii in tema di autostrade hanno portato alla situazione che stiamo osservando ormai da giorni. Viadotti intasati, ponti costruiti e non ancora collaudati, caos sul tema delle concessioni… Evidente che le maggiori responsabilità siano della politica o, meglio, dell’assenza di politica. Il governo, più che decidere, preferisce rinviare su qualsiasi argomento. E questi sono i risultati…

Un tempo si sarebbe potuta addurre la motivazione che la colpa dei ritardi fosse “della Lega”… Peccato che ora il governo sia costituito da Cinque Stelle e Pd. E che il Ministero delle Infrastrutture, negli ultimi due anni, sia stato nelle mani prima dei Cinque Stelle, ora del Pd. Il continuo scaricabarile delle responsabilità evidenzia ancor più, qualora ce ne fosse bisogno, la necessità di una classe dirigente in grado di “decidere”.

Alcuni pensano che “liberalizzare tutto quel che si può” sia la soluzione più adeguata ed efficiente. Altri, invece, pensano che la soluzione sia accentrare interi settori dell’economia sotto il controllo statale. In realtà la linea più condivisibile, come già ricordato, potrebbe essere la collaborazione fra pubblico e privato. Una sintesi che tenga in debito conto gli interessi, egualmente rilevanti, di entrambe le parti. Nel caso delle autostrade, ad esempio, darle in concessione a chi garantisce manutenzioni adeguate a fronte di pedaggi contenuti e penali non troppo onerose.

Certo, molte volte trovare il giusto compromesso è più facile a dirsi che a farsi. Ma proprio questo dovrebbe essere il compito della politica: sintetizzare gli interessi in gioco. Non rinviare, ma decidere. Anche a costo di prendersi delle responsabilità.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Italia bloccata da un governo che non sa decidere

Ave Socii

Sono ormai diversi mesi che tutto il mondo ha a che fare col coronavirus. Praticamente tutti i governanti, all’inizio, hanno sottovalutato gli effetti della pandemia. Ma nella maggioranza dei casi, accortisi dei propri errori, hanno rimediato con provvedimenti drastici. Non solo in ambito sanitario ma pure, soprattutto, in ambito economico. In Italia ciò, purtroppo, non è mai avvenuto. Facendo finta che il nostro governo abbia gestito “discretamente bene” la questione sanitaria, riguardo a quella economica sembra di essere ancora fermi al palo. Miliardi e miliardi di euro che vengono promessi, ma all’atto pratico molte famiglie e imprese continuano a soffrire.

Il problema cruciale è, probabilmente, di esclusiva natura politica. Un governo composto di molteplici anime, ognuna con propri interessi e ambizioni, necessita di negoziazioni interne molto lunghe. Il che allunga notevolmente i tempi di attesa dei provvedimenti i quali, spesso, non sono che un’accozzaglia incoerente di belle intenzioni senza capo né coda. Non è un difetto esclusivo di questo governo, ma di qualsiasi governo di coalizione in cui ciascuna delle parti risulti determinate per la sopravvivenza del governo stesso.

Proprio per questo, tra le molte riforme che andrebbero portate avanti, una dovrebbe assolutamente riguardare il tema della legge elettorale. Modificare il sistema in senso prevalentemente maggioritario, sul modello delle Regioni, garantirebbe maggiore stabilità ai governi in carica. Di destra come di sinistra. L’accordo fra Pd e Cinque Stelle su un sistema proporzionale, invece, è destinato a condannare l’Italia alla perenne ingovernabilità. Il tutto pur di evitare di consegnare l’Italia all’avversario “sovranista”. In fondo, è sempre stato questo il collante in grado di tenere in piedi un governo così instabile.

Ma forse la richiesta di mantenere in vita questo governo proviene anche dal di fuori. Fra circa un paio d’anni, il Parlamento italiano sarà chiamato ad eleggere il prossimo Presidente della Repubblica. E all’Europa sarebbe certamente gradito un Presidente prono ai suoi voleri e senza alcuna macchia di “sovranismo”. Indire proprio ora nuove elezioni, d’altro canto, potrebbe effettivamente consegnare l’Italia ai “sovranisti” e ai “nemici dell’Europa”.

Ma a questo punto la domanda è: l’Italia è disposta ad attendere altri due anni di stallo, pur di arrivare ad eleggere un “europeista” al Quirinale? Perché finché dura questo governo, dura anche l’immobilismo di questo Paese. L’Italia non può permettersi di attendere ancora. Tenere in piedi un governo solo per paura del “sovranismo” appare, alla luce delle precedenti considerazioni, assolutamente insensato e forse ancor più dannoso dei presunti “effetti del sovranismo” per gli interessi nazionali. Persino per gli interessi degli “europeisti” più convinti.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Ripartenza fra tentativi di “normalità” e timori di nuovi contagi

Ave Socii

In tempi di coronavirus, persino sospendere alcuni diritti fondamentali è stato un attimo. Ovviamente in nome di un diritto al momento prevalente, come la tutela della salute. Molti si interrogano, e forse non hanno tutti i torti, se questa “privazione delle libertà” sia legittima. O se, al contrario, vi siano gli estremi per una violazione della Costituzione o, addirittura, le avvisaglie di una dittatura. E il governo accusato di prendere provvedimenti da regime, ironia della sorte, è lo stesso che diversi mesi fa nacque con l’intento di “evitare pericolose derive autoritarie”…

Detto questo, chiudere tutto è stato semplicissimo. Sarà altrettanto semplice riaprire? Certamente no. La ripartenza non è mai cosa semplice. Bisogna mantenere una visione a lungo termine del problema, evitare di procedere a tentoni, scegliere con ragionevolezza i criteri su cui basare la ripartenza stessa. In questa fase bisogna lasciare ampio margine di discrezione alle Regioni, o addirittura ai Comuni. Le decisioni prese a livello centrale, infatti, spesso non tengono conto delle esigenze dei singoli territori.

Ci sembra fuori dal mondo, ad esempio, costringere al blocco un Comune senza contagi da settimane, semplicemente perché la grande città capoluogo ha ancora almeno un caso di contagio. Far riprendere almeno la vita interna di quel Comune, controllando che nessuno vi entri o vi esca indiscriminatamente, ci pare un tantino più sensato. La ripartenza senza il coinvolgimento dei territori è impensabile e insostenibile, specie in un Paese vessato dalla burocrazia come il nostro.

Riaprire su base comunale, ancor prima che regionale, permetterebbe anche un più efficiente controllo dei contagi. I Comuni senza contagi da settimane non dovrebbero correre rischi se “lasciati liberi”. In caso di “imprevisti”, sarebbe comunque molto più facile circoscrivere il territorio di un piccolo Comune rispetto a quello di un’intera Regione. Per i Comuni più grandi, invece, si potrebbe riaprire sulla base di quartieri o municipalità. E’ evidente come la ripartenza sia un lavoro certosino. Non esauribile di certo con un provvedimento governativo. In realtà, già l’aver affidato al solo governo la chiusura dell’Italia (praticamente senza alcun passaggio parlamentare) si è rivelato piuttosto infelice…

In tutto ciò, dobbiamo tener conto anche dell’Europa. Non si sa, a dire il vero, se come ausilio o come intralcio. La ripartenza, secondo alcuni, non può non transitare per gli “aiuti europei”… Secondo altri, l’Europa finora ha solo perso tempo prezioso contribuendo ad aggravare la situazione… Per alcuni, bisogna attendere fiduciosi che l’Europa ci aiuti… Come se avessimo ancora del tempo da attendere, dopo circa tre mesi di emergenza… Per altri, la priorità è ridurre la burocrazia… Come se i governi, anche in passato, non avessero mai avuto questa “priorità”… Sappiamo cosa ne è stato di quelle belle parole, purtroppo…

L’auspicio è che la ripartenza venga gestita tenendo conto soprattutto delle istanze dei territori e delle categorie maggiormente in difficoltà. E che non si spacci per “prudenza” quel che spesso è solo inerzia o continuo rinvio. Nessuno pensi che si possa attendere ancora e “ripartire tutti insieme”. L’economia non aspetta. E l’Italia, con tutte le precauzioni, non vede l’ora di rimettersi in movimento.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Burocrazia, un muro che nemmeno il coronavirus è in grado di abbattere

Ave Socii

L’Italia è un Paese fantastico. Ha circa il 70% del patrimonio artistico-culturale del mondo ed è la culla della civiltà e delle arti occidentali. Per non parlare del “Made in Italy”. Proprio per questo alcuni Paesi, in Europa soprattutto, vorrebbero che l’Italia facesse la fine della Grecia: commissariata dalla Troika e acquistata a basso prezzo dalle banche estere, tedesche e francesi in primis. Pure la Cina, in realtà, vorrebbe intascare la propria quota parte. E noi italiani, che in questa fase abbiamo un potere contrattuale molto risicato, siamo costretti a indebitarci con le banche e con l’Unione Europea.

In questi giorni, la politica si interroga su quale sia lo strumento economico più adatto per affrontare il coronavirus. In un modo o nell’altro, per sopravvivere nel breve termine, saremo costretti a fare debito. Nuovo debito che andrà ad aggiungersi a quello già in essere. Che già è piuttosto alto, per l’Italia. Il timore è che, alla fine dei giochi, qualcuno in Europa solleverà il problema della sostenibilità del debito italiano. E allora giungerà implacabile il commissariamento da parte della Troika. Cosa accadrà dunque? Grecia docet!

Il coronavirus, questo esserino minuscolo e invisibile, sta mettendo a repentaglio le certezze finora acquisite dall’essere umano. Ma c’è una cosa, almeno qui in Italia, che il virus non è ancora riuscito minimamente a scalfire: la burocrazia. Nonostante tutti i proclami e le risorse stanziate, le lungaggini e le procedure continuano ad essere più forti del COVID-19. E’ ormai del tutto evidente che i burocrati vivono campando sui problemi della gente. Altrimenti, almeno in tempi di pandemia, si sarebbero fatti da parte e sarebbero “rimasti a casa” come tutti noi comuni mortali. Cos’altro ci vuole, per abbattere la burocrazia?

In altri Paesi del mondo, i governi hanno stanziato fondi trasformatisi in pochi giorni in denaro sonante per famiglie e imprese. Qui in Italia siamo rimasti ai proclami, mentre la gente letteralmente “inizia a morire di fame”. Le risorse necessarie, in realtà, ci sarebbero pure. E senza ricorrere a ulteriori finanziamenti europei o simili. Sono nascoste, appunto, tra le maglie della burocrazia, delle procedure, delle carte… Se si riducesse la burocrazia a monte e si facessero più controlli a valle, probabilmente si darebbe uno stimolo non indifferente all’economia nazionale. E si eviterebbero quei “lacci e lacciuoli” che troppo spesso ingessano l’Italia rendendola un Paese debole e poco competitivo in confronto ad altri Stati nel mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Uomo al centro del mondo: un progetto destinato a fallire

Ave Socii

L’umanesimo inteso come esaltazione delle capacità dell’uomo… Come metodo di governo del mondo… Talvolta come vera e propria filosofia di vita… Mettere l’uomo al centro di tutto… L’uomo come origine e fine di ogni azione… Un sistema del genere vige nei momenti “di euforia” della Storia dell’umanità. Vige ai tempi di Hammurabi, parlando dell’Antica Babilonia. Vige ai tempi di Cheope, parlando dell’Antico Egitto. Vige ai tempi di Aristotele, parlando dell’Antica Grecia. Vige ai tempi di Augusto, parlando dell’Antica Roma. Vige ai tempi di Leonardo, parlando del Rinascimento. Vige ai tempi di Voltaire, parlando dell’Illuminismo. Probabilmente vigeva fino a qualche settimana fa, parlando del mondo aperto e globalizzato.

La Storia dell’uomo oscilla alla stregua di un pendolo. Da epoche di euforia si passa ad epoche di riflessione e, talvolta, di vera e propria depressione o sfiducia nelle capacità umane. E viceversa. Il momento che stiamo attraversando potrebbe costituire uno di questi momenti di passaggio. Se l’uomo, con le capacità di cui è dotato, non riuscirà a fronteggiare con successo gli effetti del coronavirus, si incamminerà verso un sentiero di sfiducia verso se stesso e la propria identità. Questo è, pertanto, uno di quei momenti in cui l’uomo può fare la Storia. La propria Storia.

L’umanesimo, nelle fasi “euforiche” della Storia, tende a diffondersi e dilagare in tutti gli ambiti. Scienza, economia, medicina, persino religione… Grazie alla visione “umanistica”, tutto magicamente diviene “a misura d’uomo”. Tutto è a servizio dell’umanità, perfino Dio. E talvolta ci convinciamo che tutto sia, in un modo o nell’altro, dovuto e lecito. Ma le conquiste umane, nella Storia, hanno spesso significato sacrifici e perdite. Non c’è nulla di così scontato. Nulla di così certo. Nulla di così sicuro e incrollabile. La “fede nell’umanità” non può durare per sempre. E forse in questi giorni difficili lo stiamo comprendendo meglio. E’ bastata qualche settimana e un essere invisibile, tale COVID-19, per mettere in discussione valori di cui nessuno avrebbe mai osato dubitare.

Globalizzazione, valori universali, caduta dei muri, abbandono dei pregiudizi, integrazione… Chiunque, solo qualche settimana fa, si fosse proclamato contrario a queste idee sarebbe rimasto relegato ai margini della Storia. Oggi la situazione è un po’ diversa. Solo qualche settimana fa i giovani riempivano le piazze per sposare la causa ambientalista… Altro frutto, neanche a dirlo, di un’umanità “in preda all’euforia”. Perché non c’è altra definizione per un’umanità che ha modo e tempo di pensare ai “diritti dell’ambiente”. Un’umanità abituata alla liberalizzazione di qualsiasi cosa… Al fatto che qualsiasi cosa sia possibile… Al fatto che non esistano limiti… Poi è arrivato il virus. E l’umanità ha dovuto risvegliarsi dal suo dolce torpore, correndo il serio rischio di piombare in una voragine di depressione collettiva.

Potrebbe anche darsi che, dopo la scoperta di un vaccino, tutto quanto ritornerà come prima. Certo, pure se ne uscirà vincitrice l’umanità non potrà dimenticare facilmente questa esperienza. L’autoconvinzione del proprio senso di onnipotenza ha reso l’umanità cieca dinanzi alla portata dell’ignoto. La fede illimitata nell’uomo ci ha fatto sottovalutare l’eventualità di pericoli inattesi. Forse questo potrà essere il tempo giusto per ritornare ad una fede autentica. Una fede basata non sulle capacità umane, fragili e limitate come abbiamo visto, ma su una riscoperta sincera del Mistero e del Regno di Dio. Magari attraverso una più approfondita lettura del Vangelo, libro che forse varrebbe la pena rivalutare e meditare. Perché se l’uomo può forse governare ciò che gli è noto, ciò che gli è ignoto può affrontarlo solo con l’aiuto di Dio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Globalizzazione agli sgoccioli, il mondo volta pagina (forse)

Ave Socii

Il momento che stiamo vivendo entrerà di diritto tra gli accadimenti principali della Storia. Costituirà lo spartiacque tra due distinte fasi, quella del mondo globalizzato e quella che è ancora tutta da scrivere. Decenni e decenni a elogiare e decantare le meraviglie della globalizzazione (che pure esistono, sotto certi aspetti)… L’uomo ha corso, ha corso con una velocità inimmaginabile durante questo tempo. Ma forse è giunto il momento di fermarsi. Fermarsi e riconoscere che l’uomo, nonostante la sua grandezza e le sue conquiste, può sempre venir fermato da un essere minuscolo e invisibile come un virus.

Dopo che la pandemia sarà passata, forse nulla sarà più come prima. Se solo i fautori della globalizzazione avessero pensato a come difendere l’uomo dagli effetti negativi della globalizzazione stessa, probabilmente ora non saremmo arrivati a questo punto. L’Unione Europea, il risultato forse più ardito della teoria globalista, rischia di collassare sotto la sua stessa insensatezza. Nonostante il coronavirus stia flagellando buona parte del Vecchio Continente, l’Europa esita a parlare con una sola voce. E le voci sovraniste si fanno sempre più forti.

Sarà davvero ricordato come un punto di svolta, il momento che stiamo ora vivendo? Oppure i suoi effetti si smorzeranno dopo poco tempo, consentendoci di ritornare “dove eravamo prima” come se nulla fosse mai accaduto? Difficile prevederlo. Sicuramente saremo influenzati nel breve periodo, visto che dal punto di vista economico tutto il mondo dovrà “risalire la china”. E dal punto di vista sociale? Ora dobbiamo evitare di stare vicini, di abbracciarci, di viaggiare… Ci porteremo dietro tutto questo? Avremo paura anche in futuro ad avvicinarci agli altri? Oppure riprenderemo i nostri contatti come se nulla fosse?

Paradossalmente, se da un lato la globalizzazione ha portato ad una maggior tendenza a sentirci “cittadini del mondo”, dall’altro ha anche ampliato la nostra solitudine in quanto, molto spesso, la globalizzazione si realizza all’interno delle reti (e non nella realtà). Sarà interessante capire come il coronavirus influenzerà le nostre vite in un futuro prossimo ma anche più remoto. Chissà, forse le relazioni virtuali si potenzieranno a scapito di quelle reali e il nostro senso di solitudine si acuirà.

La “mitizzazione dell’individuo”, propugnata proprio dalla dottrina della globalizzazione, potrebbe dunque uscirne sorprendentemente rafforzata. E dunque, lungi dal costituirne il “canto del cigno”, l’esperienza del coronavirus potrebbe fornire al globalismo uno slancio inaspettato e pericoloso al tempo stesso. Tagliando tutti i ponti reali all’individuo, questi può vivere unicamente grazie alle reti virtuali. Ma le esperienze virtuali possono essere controllate, a differenza delle nostre esperienze reali. Questo ci renderà persone insicure, senza fondamenta, dunque estremamente influenzabili e manipolabili…

Ovviamente questa “dittatura del virtuale sul reale” costituisce un evento estremo, un’immagine puramente teorica. Probabilmente non accadrà una cosa tanto radicale, ma è pur sempre opportuno rifletterci. Tale dittatura potrebbe sempre istaurarsi, anche in misura più blanda e subdola. Perciò vale la pena, in questo tempi di “meditazione”, riscoprire alcuni valori propri della nostra cultura. Valori che, qualora accada quanto prospettato, possano svegliare in noi gli anticorpi necessari a proteggerci dall’individualismo selvaggio e dall’egualitarismo illimitato.

La riscoperta delle sovranità nazionali potrebbe essere l’arma giusta per affrontare simili derive globaliste. Essere sovranisti significa, in primo luogo, proteggere i valori che accomunano i membri di una Nazione e preferirli ai valori propri di un’altra Nazione. Solo riscoprendo le sovranità nazionali potremo evitare qualsiasi deriva verso il mondialismo sfrenato e la “cultura unica”. Perché la cultura è, anzitutto, ciò che rende gli uomini differenti e molteplici.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Colonizzazione cinese in Europa, ai tempi del COVID-19

Ave Socii

Dopo esser stati considerati “appestati” dall’Europa e dal resto del mondo per giorni, noi italiani cominciamo ad essere “in buona compagnia”. Il coronavirus si è diffuso praticamente in ogni continente. Tanto che l’Oms ha decretato lo stato di pandemia.

La Cina, intanto, inizia a sperimentare i frutti delle sue misure draconiane. E addirittura invia negli altri Paesi personale medico e presidi sanitari. L’Italia, ovviamente, non può non approfittare degli aiuti del Celeste Impero. Le circostanze ci spingerebbero ad esclamare a gran voce “Grazie Cina!”… E i ringraziamenti sarebbero pure opportuni, ma questo non deve farci dimenticare i silenzi che il regime comunista cinese ha perpetrato per settimane. Se non avesse taciuto, probabilmente ora il coronavirus non si sarebbe diffuso in questa misura.

Qualcuno accusa la Cina di essere stata troppo imprudente… In tal caso, gli aiuti dati al resto del mondo sarebbero un modo per farsi perdonare. E il “Grazie Cina!” ci starebbe pure. Proviamo invece a ragionare in senso opposto… E se la Cina avesse previsto tutto? E se la Cina avesse diffuso intenzionalmente il virus, così da creare una pandemia tale da mettere in ginocchio l’economia mondiale? Certo a caro prezzo, perché la stessa economia cinese non ne è stata certo immune… Intanto però quell’economia si sta riprendendo, mentre il resto del mondo è nel bel mezzo dell’emergenza.

Se la Cina abbia agito in maniera imprudente o intenzionale, saranno le sue prossime mosse a chiarircelo. Intanto questa sua propensione verso l’Italia dovrebbe farci drizzare le antenne. Allo scoppio dell’epidemia del COVID-19 in Oriente, fummo noi i primi a chiudere i voli diretti dalla Cina. Perché ora i cinesi aiutano proprio noi per primi? Per semplice spirito di solidarietà? Perché proprio noi, che siamo stati i primi a “tagliare i ponti” con la Cina?

Ragionando in maniera un po’ più sistemica, dobbiamo ricordarci che ci troviamo nel bel mezzo di una guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. La Cina ha affrontato un periodo duro dal punto di vista economico, per via dei dazi di Trump alle sue esportazioni. Questo ha necessariamente ridotto i commerci del mondo con il Paese del Sol Levante. In tal senso, gli aiuti al resto del mondo potrebbero essere uno strumento per “riallacciare” i rapporti (anche commerciali) con gli altri Stati.

A voler essere ancora più “duri”, l’atteggiamento proattivo della Cina potrebbe prefigurare una politica aggressiva in ambito commerciale. Verso quei Paesi, in particolare, maggiormente in difficoltà e magari con problemi economici strutturali. E l’Italia, purtroppo per noi, ne rappresenta un prototipo perfetto. Il coronavirus inevitabilmente spazzerà via moltissime imprese. Magari queste imprese rinasceranno, è vero, ma forse saranno di proprietà cinese e non più italiana.

Quella della Cina, a questo punto, potrebbe esser vista come una vera e propria colonizzazione ai danni dell’Europa. E dell’Italia in particolare. Mancanza di sovranità nazionale, mancanza di ideali comuni, mani legate in termini di politiche monetarie per i singoli Paesi… L’assetto dell’Unione Europea sembra fatto apposta per consentire alle potenze straniere di colonizzarci. Mantenere una politica monetaria a livello nazionale, invece, impedirebbe ad esempio allo spread di toccare livelli esorbitanti e alla Borsa di perdere quanto ha perso negli ultimi giorni.

Se tutto questo ragionamento fosse vero, la Cina sarebbe dunque solo all’inizio di un inesorabile processo di colonizzazione. E, con ogni probabilità, la nostra Italia sarebbe la prima nazione a soccombere a questa colonizzazione. Da Stato libero, ci troveremo ad essere la provincia di una dittatura. D’altronde non era questo il progetto dei Cinque Stelle, quello di trasformarci in colonia dell’impero cinese della cui bandiera, fra l’altro, portano pure le stelle?

Vostro affezionatissimo PennaNera

Cina, un impero dai piedi d’argilla

Ave Socii

La storia del Celeste Impero è stata per lungo tempo una storia di successi. Dal punto di vista sia politico che economico. Impresa ardua coniugare una dittatura comunista con l’economia di mercato e l’apertura al mondo. Eppure la Cina è riuscita in quest’impresa. E già qualcuno la ipotizzava come valida alternativa al modello propugnato dall’Occidente, Stati Uniti in testa. Cina: da Paese in via di sviluppo a una delle economie più sviluppate a livello mondiale, seconda solo a quella statunitense. Poi è arrivato il coronavirus… E di colpo la Cina ha incominciato a mostrare tutte le sue fragilità.

La causa maggiore di queste fragilità è da riscontrare senza dubbio nel sistema politico cinese. Notoriamente un regime comunista, come del resto ogni regime, non lascia spazio ad un’informazione imparziale e accessibile… A non essere ostacolate sono solo le informazioni che non impensieriscono il regime. Ogni possibilità di dissenso è soppressa. Questo metodo, tuttavia, funziona solo finché le cose vanno bene. Tenere nascosto il rischio di contagio, invece, si è rivelato fallimentare per l’impero del Sol Levante.

Nessuno può dubitare che, nei giorni successivi, la Cina si sia comunque mossa per evitare ulteriori complicazioni. Costruire due ospedali in appena dieci giorni o poco più, non è certo un risultato di poco conto. Magari succedesse anche da noi… Eppure la Cina non può fare a meno di chiedere aiuti anche altrove. All’Europa, ad esempio. E di attaccare quelli che sembrano remarle conto. Come gli Stati Uniti, rei di aver alimentato solo paura nei suoi confronti. E’ evidente come le storiche rivalità tra Stati Uniti e Cina si riverberino pure in questa fase delicata.

C’è chi arriva a definire “razzismo” questa smodata paura per il contagio. C’è chi non perde occasione per trasformare una questione sanitaria in una questione sociale. Ma la gente, sia chiaro, non ha paura dei Cinesi, bensì del virus. Anche noi crediamo che questa paura sia più che legittima. Non c’è e non ci deve essere un problema di razzismo, perché non c’entra assolutamente nulla. I cittadini vogliono semplicemente che gli Stati nazionali li difendano, per quanto loro possibile, dal rischio di diffusione del contagio. Che poi il virus provenga proprio dalla Cina non è certo colpa dei Cinesi… E’ semmai responsabilità di chi li governa. Una società ingabbiata da un regime dittatoriale così oppressivo sentirà ben presto la necessità di liberarsi. Speriamo che anche i potenti del Celeste Impero lo comprendano presto. E che questa difficoltà si trasformi in una vera opportunità di cambiamento.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Venti di guerra ad inizio anni Venti

Ave Socii

Il decennio appena iniziato si è aperto sotto i peggiori auspici. Il Medio Oriente è in subbuglio, il mondo islamico in fermento, l’Occidente in confusione. L’ultima azione militare di Trump ha letteralmente spaccato l’opinione pubblica. Perfino negli Stati Uniti qualcuno è convinto che si sia gettata una dinamite in una polveriera. Soffiano venti di guerra minacciosi. Guerra in ambito non solo militare, ma anche economico. E’ incominciata la corsa ai beni rifugio e il petrolio ricomincia a salire velocemente di prezzo. I segnali di insicurezza sono più che evidenti.

In tutto questo, Italia ed Europa sono costrette a tentennare. A barcamenarsi da una parte e dall’altra. A dire che l’unico modo per risolvere le questioni è la diplomazia. A non assumere una posizione chiara e definita. Forse non per colpa loro. Questioni tanto delicate non si possono liquidare con semplici atteggiamenti di assenso o dissenso. La politica estera è complessa, costruita su molteplici rapporti di interdipendenza. Italia ed Europa non possono assumere posizioni nette, perché dipendono da altri Paesi. Nel settore energetico, ad esempio. Gli Stati Uniti possono permettersi di assumere le posizioni che vogliono: tanto dispongono a sufficienza di qualsiasi tipo di risorsa di cui necessitano. Noi no. Siamo certamente contenti che Trump abbia eliminato dei pericolosi terroristi islamici. Ben vengano ulteriori misure di questo genere. Ora però domandiamoci: quanto sarà feroce la vendetta islamica verso l’Occidente?

Esistono dei periodi storici in cui conviene essere aperti al resto del mondo. Esistono altri periodi storici in cui conviene, invece, difendere la propria sovranità. Crediamo che ora il sovranismo sia preferibile all’apertura incondizionata e all’abbattimento dei muri. Il modello di società aperta, nonostante qualche momento di tensione, ha funzionato piuttosto bene finora. Ma da un po’ di tempo a questa parte hanno iniziato a soffiare venti impetuosi, dinanzi ai quali non eravamo preparati. Due fra tutti: l’immigrazione di massa e il terrorismo islamico. Una volta per tutte, è necessario ribadire con forza che l’apertura non è sempre il bene assoluto e la chiusura non è sempre il male assoluto. Se l’identità nazionale è minacciata, è opportuno trovare soluzioni che la preservino dagli attacchi provenienti da certe culture aggressive.

Il mondo non può esistere senza le identità nazionali. Non può esistere un’unica “identità nazionale umana”. La cultura non è solo ciò che accomuna gli uomini, ma pure ciò che li differenzia. Per natura gli uomini aiutano i loro amici, ma combattono i loro nemici. Negare che esistano culture fra loro nemiche vuol dire fare il gioco delle culture più aggressive. E costringere le altre a soccombere. Noi non ci stiamo. Noi crediamo che una qualsiasi cultura abbia il sacrosanto diritto di difendersi, ogniqualvolta contro di essa spirino venti impetuosi in grado di minacciarne l’esistenza.

Ma difendersi non vuol dire solo annientare i nemici più pericolosi o chiudere i porti agli immigrati irregolari. Esiste un ambito che talvolta passa sotto traccia, ma che spesso sta alla base di molte condotte umane: quello economico. Il comportamento economico si fonda, in soldoni, sui bisogni degli uomini. Se gli uomini non avessero bisogni, non esisterebbero comportamenti economici. Più soggetti bisognosi generano rapporti economici, che nel lungo termine divengono vere e proprie interdipendenze. Ma l’interdipendenza dovrebbe fondarsi su un sostanziale equilibrio fra i bisogni dei soggetti. Al sopraggiungere di determinate circostanze, può subentrare uno sbilanciamento che inevitabilmente favorisce un soggetto a scapito dell’altro.

Come dicevamo, a livello energetico noi dipendiamo in larga misura da diversi Paesi. Alcuni di questi sono proprio in territorio islamico. Se la vendetta di questi Paesi dovesse colpire l’Europa e l’Italia, probabilmente il settore energetico ne sarebbe pesantemente influenzato. Forse è soprattutto per questo che non possiamo assumere una posizione chiara: per non rischiare di rimanere “a secco”. Ai petrolieri fa comodo così. Perché, tuttavia, dobbiamo essere condannati a dipendere da Paesi tanto instabili? Non sarebbe meglio promuovere una sorta di autarchia energetica, magari impiegando termovalorizzatori ed energia nucleare? Il messaggio sta lentamente incominciando a passare, per esempio attraverso l’economia circolare. Purtroppo ancora attendiamo che si realizzi in concreto.

Forse promuovere la sovranità e l’autarchia è solo uno slogan vuoto. Forse sono davvero troppi gli interessi che si andrebbero a smuovere e colpire. Forse nessuno vuole rinunciare a questi interessi. Forse dobbiamo subire passivamente i venti scatenati da altri, per timore di affrontarli. Noi vogliamo credere che non sia così. E vogliamo credere che un giorno l’Italia sarà in grado di risollevare la testa e competere orgogliosamente per la vetta del mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera