Inginocchiarsi per un delinquente: la resa della civiltà

Ave Socii

Spesso i gesti simbolici valgono più di mille parole. In questi giorni, tutto il mondo è attraversato da proteste e manifestazioni contro il razzismo. E, soprattutto, il mondo sembra unirsi in un unico gesto: quello di inginocchiarsi nel ricordo di un uomo inerme, ucciso per mano di un poliziotto. Che l’evento sia accaduto negli Stati Uniti, patria dei diritti e delle libertà, fa certamente riflettere. Che quell’uomo sia un nero rende ancora più simbolico il gesto di inginocchiarsi (non certo per la stupidità dei “razzisti”, semmai per la propaganda degli “antirazzisti”). Ma che quell’uomo abbia molteplici precedenti penali, se permettete, fa riflettere ancor di più.

Un tempo ci si inginocchiava dinanzi a Dio, a un sovrano, a un signore… Ben poche erano le categorie di soggetti dinanzi ai quali era chiesto di inginocchiarsi. E, soprattutto, erano categorie di soggetti rappresentanti un qualche potere, terreno o ultraterreno che fosse. Poteri espressione di un ordine sociale verso cui i popoli erano chiamati a rispodere, dunque a tendere. Beh, oggi ci rendiamo conto (ma forse non è una novità) che valori sociali e poteri tradizionali sono stati sovvertiti. Se un tempo ci si inginocchiava dinanzi alla legge e all’ordine, oggi ci si inginocchia dinanzi all’eversione.

Che il Presidente Trump abbia arginato, nonostante COVID-19, la crescita della disoccupazione negli Stati Uniti passa in secondo piano, dinanzi a maree umane inginocchiate nel ricordo di un pluripregiudicato afroamericano. E poco importa se, durante queste manifestazioni, si verificano assembramenti, scontri e tafferugli: sono manifestazioni “per i diritti”, quindi provengono dai “buoni” della società. Poco importa se il mondo è dilaniato dal coronavirus e dalla crisi economica: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente. Poco importa se in Italia la crisi morde più che in altri Paesi: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente.

Soprattutto nelle società progredite, è diffusa l’idea che ogni persona abbia diritto a sempre nuove possibilità. Stranamente, l’idea che arrivati a un certo punto dare nuove possibilità sia inutile sembra stridere col concetto di “libertà” che tanto ci piace sbandierare. E allora, nell’immaginazione, diventa tutto possibile. Come in un romanzo moralista, il nemico deve diventare per forza amico. Non esistono più differenze e culture diverse, tutti si amano senza alcun pregiudizio. Buono e cattivo si confondono, con buona pace della giustizia, delle fondamenta del diritto e della stessa civiltà.

Mai come oggi il buonismo è l’oppio dei popoli. Ma dopo lo sballo, bisogna fare i conti con la realtà. Se gli immigrati commettono, in proporzione, più reati dei cittadini autoctoni, forse un problema di culture e di radici esiste. Forse chi è forzosamente trapiantato in altre culture ha maggiori probabilità di “reagire male”, dinanzi alla cultura che dovrebbe accoglierlo. Pur di non farci un bel bagno di realtà e ammettere che la totale integrazione è solo un bel sogno, preferiamo farci di buonismo e sognare un mondo senza differenze e divisioni. Oggi l’oppio che offusca il mondo si chiama “mettersi in ginocchio”. Attendiamo solo che il suo effetto finisca…

Vostro affezionatissimo PennaNera

Terrorismo islamico e riscatti: l’Italia è sotto ricatto

Ave Socii

Perché in Italia non sono avvenuti (almeno finora) gli attentati terroristici verificatisi, invece, in altri Paesi a noi molto vicini? Un semplice favore del caso? O c’è dell’altro? Forse il nostro Paese fa comodo al terrorismo islamico in altro modo. Non come palcoscenico di attentati, ma di valori contrari alla democrazia, alla libertà e alla pace. Ne abbiamo avuto la prova in questi ultimi giorni, durante il rientro in Italia della giovane cooperante rapita in Kenya un anno e mezzo fa. Più o meno consciamente, con quella “passerella” abbiamo pubblicizzato una delle fazioni più feroci del terrorismo islamico.

Ovviamente è un bene che una ragazza poco più che ventenne sia tornata a casa. Quel che fa riflettere è la modalità con cui è stata riportata a casa. Si parla di un riscatto milionario. Il nostro Paese, giustamente, pone la vita al vertice della piramide dei diritti, così come tutti i Paesi occidentali. Chi di noi non sarebbe disposto a pagare qualsiasi cifra, pur di riavere indietro una vita umana? I terroristi questo lo sanno e, consci di impugnare il coltello dalla parte del manico, fanno leva sul nostro senso di impotenza per avere ciò che loro interessa.

L’Italia è solita risolvere rapimenti e simili eventi attraverso la pratica del riscatto. Se ciò, da una parte, è una forte garanzia di tutela della vita umana, dall’altra è pure un segnale di debolezza che inviamo all’estero. Segnale che il terrorismo islamico ha da tempo captato. C’è un altro modo per tutelare la vita umana, senza per forza cedere ai ricatti di soggetti senza scrupoli, la cui cultura spesso offende il diritto alla vita e la libertà delle persone? Sì, forse sì: chiedendo a chi invia persone in luoghi pericolosi, di assumersi le responsabilità delle sue scelte. D’altronde, se la nostra cultura difende la vita, difenderla dovrebbe essere compito di tutti. Non solo degli Stati, ma anche di una qualsiasi associazione umanitaria.

Quanto successo dimostra, invece, la totale subalternità della cultura occidentale (dell’Italia, perlomeno) alla cultura islamista più radicale. Con i soldi di quel riscatto, probabilmente il terrorismo finanzierà nuovi attacchi o attentati le cui vittime, un giorno, saremo costretti a piangere. Coi criminali non si tratta, soprattutto se a trattare deve essere uno Stato. Al massimo, se è proprio necessario trattare, la trattativa dovrebbe esser sostenuta da soggetti privati, come associazioni e simili. Nessuno può chiedere a degli inermi di “fare gli eroi”, se non ha i mezzi necessari per equipaggiarli in sicurezza. Specie in luoghi ostili alla cultura occidentale, impregnati dell’Islam più radicale.

Non raramente certe associazioni, ammantate di bei valori come il dialogo o l’integrazione, attirano giovani pieni di speranze ambizioni e ideali. Ebbene, se simili enti sono soliti predicare il dialogo e l’integrazione dei popoli, a maggior ragione dovrebbero farlo quando di mezzo ci sono diritti come la vita o la libertà. Motivo in più per renderle responsabili, appunto, della vita e della libertà dei loro “inviati”. Se i terroristi islamici vanno trattati “senza pregiudizi”, vadano loro a negoziare “senza pregiudizi” coi terroristi islamici. E senza scomodare gli Stati. Se poi non ne sono capaci, smettano di mentire a migliaia di giovani e ammettano una volta per tutte che l’integrazione con certe culture è impossibile.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Ripartenza fra tentativi di “normalità” e timori di nuovi contagi

Ave Socii

In tempi di coronavirus, persino sospendere alcuni diritti fondamentali è stato un attimo. Ovviamente in nome di un diritto al momento prevalente, come la tutela della salute. Molti si interrogano, e forse non hanno tutti i torti, se questa “privazione delle libertà” sia legittima. O se, al contrario, vi siano gli estremi per una violazione della Costituzione o, addirittura, le avvisaglie di una dittatura. E il governo accusato di prendere provvedimenti da regime, ironia della sorte, è lo stesso che diversi mesi fa nacque con l’intento di “evitare pericolose derive autoritarie”…

Detto questo, chiudere tutto è stato semplicissimo. Sarà altrettanto semplice riaprire? Certamente no. La ripartenza non è mai cosa semplice. Bisogna mantenere una visione a lungo termine del problema, evitare di procedere a tentoni, scegliere con ragionevolezza i criteri su cui basare la ripartenza stessa. In questa fase bisogna lasciare ampio margine di discrezione alle Regioni, o addirittura ai Comuni. Le decisioni prese a livello centrale, infatti, spesso non tengono conto delle esigenze dei singoli territori.

Ci sembra fuori dal mondo, ad esempio, costringere al blocco un Comune senza contagi da settimane, semplicemente perché la grande città capoluogo ha ancora almeno un caso di contagio. Far riprendere almeno la vita interna di quel Comune, controllando che nessuno vi entri o vi esca indiscriminatamente, ci pare un tantino più sensato. La ripartenza senza il coinvolgimento dei territori è impensabile e insostenibile, specie in un Paese vessato dalla burocrazia come il nostro.

Riaprire su base comunale, ancor prima che regionale, permetterebbe anche un più efficiente controllo dei contagi. I Comuni senza contagi da settimane non dovrebbero correre rischi se “lasciati liberi”. In caso di “imprevisti”, sarebbe comunque molto più facile circoscrivere il territorio di un piccolo Comune rispetto a quello di un’intera Regione. Per i Comuni più grandi, invece, si potrebbe riaprire sulla base di quartieri o municipalità. E’ evidente come la ripartenza sia un lavoro certosino. Non esauribile di certo con un provvedimento governativo. In realtà, già l’aver affidato al solo governo la chiusura dell’Italia (praticamente senza alcun passaggio parlamentare) si è rivelato piuttosto infelice…

In tutto ciò, dobbiamo tener conto anche dell’Europa. Non si sa, a dire il vero, se come ausilio o come intralcio. La ripartenza, secondo alcuni, non può non transitare per gli “aiuti europei”… Secondo altri, l’Europa finora ha solo perso tempo prezioso contribuendo ad aggravare la situazione… Per alcuni, bisogna attendere fiduciosi che l’Europa ci aiuti… Come se avessimo ancora del tempo da attendere, dopo circa tre mesi di emergenza… Per altri, la priorità è ridurre la burocrazia… Come se i governi, anche in passato, non avessero mai avuto questa “priorità”… Sappiamo cosa ne è stato di quelle belle parole, purtroppo…

L’auspicio è che la ripartenza venga gestita tenendo conto soprattutto delle istanze dei territori e delle categorie maggiormente in difficoltà. E che non si spacci per “prudenza” quel che spesso è solo inerzia o continuo rinvio. Nessuno pensi che si possa attendere ancora e “ripartire tutti insieme”. L’economia non aspetta. E l’Italia, con tutte le precauzioni, non vede l’ora di rimettersi in movimento.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Burocrazia, un muro che nemmeno il coronavirus è in grado di abbattere

Ave Socii

L’Italia è un Paese fantastico. Ha circa il 70% del patrimonio artistico-culturale del mondo ed è la culla della civiltà e delle arti occidentali. Per non parlare del “Made in Italy”. Proprio per questo alcuni Paesi, in Europa soprattutto, vorrebbero che l’Italia facesse la fine della Grecia: commissariata dalla Troika e acquistata a basso prezzo dalle banche estere, tedesche e francesi in primis. Pure la Cina, in realtà, vorrebbe intascare la propria quota parte. E noi italiani, che in questa fase abbiamo un potere contrattuale molto risicato, siamo costretti a indebitarci con le banche e con l’Unione Europea.

In questi giorni, la politica si interroga su quale sia lo strumento economico più adatto per affrontare il coronavirus. In un modo o nell’altro, per sopravvivere nel breve termine, saremo costretti a fare debito. Nuovo debito che andrà ad aggiungersi a quello già in essere. Che già è piuttosto alto, per l’Italia. Il timore è che, alla fine dei giochi, qualcuno in Europa solleverà il problema della sostenibilità del debito italiano. E allora giungerà implacabile il commissariamento da parte della Troika. Cosa accadrà dunque? Grecia docet!

Il coronavirus, questo esserino minuscolo e invisibile, sta mettendo a repentaglio le certezze finora acquisite dall’essere umano. Ma c’è una cosa, almeno qui in Italia, che il virus non è ancora riuscito minimamente a scalfire: la burocrazia. Nonostante tutti i proclami e le risorse stanziate, le lungaggini e le procedure continuano ad essere più forti del COVID-19. E’ ormai del tutto evidente che i burocrati vivono campando sui problemi della gente. Altrimenti, almeno in tempi di pandemia, si sarebbero fatti da parte e sarebbero “rimasti a casa” come tutti noi comuni mortali. Cos’altro ci vuole, per abbattere la burocrazia?

In altri Paesi del mondo, i governi hanno stanziato fondi trasformatisi in pochi giorni in denaro sonante per famiglie e imprese. Qui in Italia siamo rimasti ai proclami, mentre la gente letteralmente “inizia a morire di fame”. Le risorse necessarie, in realtà, ci sarebbero pure. E senza ricorrere a ulteriori finanziamenti europei o simili. Sono nascoste, appunto, tra le maglie della burocrazia, delle procedure, delle carte… Se si riducesse la burocrazia a monte e si facessero più controlli a valle, probabilmente si darebbe uno stimolo non indifferente all’economia nazionale. E si eviterebbero quei “lacci e lacciuoli” che troppo spesso ingessano l’Italia rendendola un Paese debole e poco competitivo in confronto ad altri Stati nel mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Uomo al centro del mondo: un progetto destinato a fallire

Ave Socii

L’umanesimo inteso come esaltazione delle capacità dell’uomo… Come metodo di governo del mondo… Talvolta come vera e propria filosofia di vita… Mettere l’uomo al centro di tutto… L’uomo come origine e fine di ogni azione… Un sistema del genere vige nei momenti “di euforia” della Storia dell’umanità. Vige ai tempi di Hammurabi, parlando dell’Antica Babilonia. Vige ai tempi di Cheope, parlando dell’Antico Egitto. Vige ai tempi di Aristotele, parlando dell’Antica Grecia. Vige ai tempi di Augusto, parlando dell’Antica Roma. Vige ai tempi di Leonardo, parlando del Rinascimento. Vige ai tempi di Voltaire, parlando dell’Illuminismo. Probabilmente vigeva fino a qualche settimana fa, parlando del mondo aperto e globalizzato.

La Storia dell’uomo oscilla alla stregua di un pendolo. Da epoche di euforia si passa ad epoche di riflessione e, talvolta, di vera e propria depressione o sfiducia nelle capacità umane. E viceversa. Il momento che stiamo attraversando potrebbe costituire uno di questi momenti di passaggio. Se l’uomo, con le capacità di cui è dotato, non riuscirà a fronteggiare con successo gli effetti del coronavirus, si incamminerà verso un sentiero di sfiducia verso se stesso e la propria identità. Questo è, pertanto, uno di quei momenti in cui l’uomo può fare la Storia. La propria Storia.

L’umanesimo, nelle fasi “euforiche” della Storia, tende a diffondersi e dilagare in tutti gli ambiti. Scienza, economia, medicina, persino religione… Grazie alla visione “umanistica”, tutto magicamente diviene “a misura d’uomo”. Tutto è a servizio dell’umanità, perfino Dio. E talvolta ci convinciamo che tutto sia, in un modo o nell’altro, dovuto e lecito. Ma le conquiste umane, nella Storia, hanno spesso significato sacrifici e perdite. Non c’è nulla di così scontato. Nulla di così certo. Nulla di così sicuro e incrollabile. La “fede nell’umanità” non può durare per sempre. E forse in questi giorni difficili lo stiamo comprendendo meglio. E’ bastata qualche settimana e un essere invisibile, tale COVID-19, per mettere in discussione valori di cui nessuno avrebbe mai osato dubitare.

Globalizzazione, valori universali, caduta dei muri, abbandono dei pregiudizi, integrazione… Chiunque, solo qualche settimana fa, si fosse proclamato contrario a queste idee sarebbe rimasto relegato ai margini della Storia. Oggi la situazione è un po’ diversa. Solo qualche settimana fa i giovani riempivano le piazze per sposare la causa ambientalista… Altro frutto, neanche a dirlo, di un’umanità “in preda all’euforia”. Perché non c’è altra definizione per un’umanità che ha modo e tempo di pensare ai “diritti dell’ambiente”. Un’umanità abituata alla liberalizzazione di qualsiasi cosa… Al fatto che qualsiasi cosa sia possibile… Al fatto che non esistano limiti… Poi è arrivato il virus. E l’umanità ha dovuto risvegliarsi dal suo dolce torpore, correndo il serio rischio di piombare in una voragine di depressione collettiva.

Potrebbe anche darsi che, dopo la scoperta di un vaccino, tutto quanto ritornerà come prima. Certo, pure se ne uscirà vincitrice l’umanità non potrà dimenticare facilmente questa esperienza. L’autoconvinzione del proprio senso di onnipotenza ha reso l’umanità cieca dinanzi alla portata dell’ignoto. La fede illimitata nell’uomo ci ha fatto sottovalutare l’eventualità di pericoli inattesi. Forse questo potrà essere il tempo giusto per ritornare ad una fede autentica. Una fede basata non sulle capacità umane, fragili e limitate come abbiamo visto, ma su una riscoperta sincera del Mistero e del Regno di Dio. Magari attraverso una più approfondita lettura del Vangelo, libro che forse varrebbe la pena rivalutare e meditare. Perché se l’uomo può forse governare ciò che gli è noto, ciò che gli è ignoto può affrontarlo solo con l’aiuto di Dio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Globalizzazione agli sgoccioli, il mondo volta pagina (forse)

Ave Socii

Il momento che stiamo vivendo entrerà di diritto tra gli accadimenti principali della Storia. Costituirà lo spartiacque tra due distinte fasi, quella del mondo globalizzato e quella che è ancora tutta da scrivere. Decenni e decenni a elogiare e decantare le meraviglie della globalizzazione (che pure esistono, sotto certi aspetti)… L’uomo ha corso, ha corso con una velocità inimmaginabile durante questo tempo. Ma forse è giunto il momento di fermarsi. Fermarsi e riconoscere che l’uomo, nonostante la sua grandezza e le sue conquiste, può sempre venir fermato da un essere minuscolo e invisibile come un virus.

Dopo che la pandemia sarà passata, forse nulla sarà più come prima. Se solo i fautori della globalizzazione avessero pensato a come difendere l’uomo dagli effetti negativi della globalizzazione stessa, probabilmente ora non saremmo arrivati a questo punto. L’Unione Europea, il risultato forse più ardito della teoria globalista, rischia di collassare sotto la sua stessa insensatezza. Nonostante il coronavirus stia flagellando buona parte del Vecchio Continente, l’Europa esita a parlare con una sola voce. E le voci sovraniste si fanno sempre più forti.

Sarà davvero ricordato come un punto di svolta, il momento che stiamo ora vivendo? Oppure i suoi effetti si smorzeranno dopo poco tempo, consentendoci di ritornare “dove eravamo prima” come se nulla fosse mai accaduto? Difficile prevederlo. Sicuramente saremo influenzati nel breve periodo, visto che dal punto di vista economico tutto il mondo dovrà “risalire la china”. E dal punto di vista sociale? Ora dobbiamo evitare di stare vicini, di abbracciarci, di viaggiare… Ci porteremo dietro tutto questo? Avremo paura anche in futuro ad avvicinarci agli altri? Oppure riprenderemo i nostri contatti come se nulla fosse?

Paradossalmente, se da un lato la globalizzazione ha portato ad una maggior tendenza a sentirci “cittadini del mondo”, dall’altro ha anche ampliato la nostra solitudine in quanto, molto spesso, la globalizzazione si realizza all’interno delle reti (e non nella realtà). Sarà interessante capire come il coronavirus influenzerà le nostre vite in un futuro prossimo ma anche più remoto. Chissà, forse le relazioni virtuali si potenzieranno a scapito di quelle reali e il nostro senso di solitudine si acuirà.

La “mitizzazione dell’individuo”, propugnata proprio dalla dottrina della globalizzazione, potrebbe dunque uscirne sorprendentemente rafforzata. E dunque, lungi dal costituirne il “canto del cigno”, l’esperienza del coronavirus potrebbe fornire al globalismo uno slancio inaspettato e pericoloso al tempo stesso. Tagliando tutti i ponti reali all’individuo, questi può vivere unicamente grazie alle reti virtuali. Ma le esperienze virtuali possono essere controllate, a differenza delle nostre esperienze reali. Questo ci renderà persone insicure, senza fondamenta, dunque estremamente influenzabili e manipolabili…

Ovviamente questa “dittatura del virtuale sul reale” costituisce un evento estremo, un’immagine puramente teorica. Probabilmente non accadrà una cosa tanto radicale, ma è pur sempre opportuno rifletterci. Tale dittatura potrebbe sempre istaurarsi, anche in misura più blanda e subdola. Perciò vale la pena, in questo tempi di “meditazione”, riscoprire alcuni valori propri della nostra cultura. Valori che, qualora accada quanto prospettato, possano svegliare in noi gli anticorpi necessari a proteggerci dall’individualismo selvaggio e dall’egualitarismo illimitato.

La riscoperta delle sovranità nazionali potrebbe essere l’arma giusta per affrontare simili derive globaliste. Essere sovranisti significa, in primo luogo, proteggere i valori che accomunano i membri di una Nazione e preferirli ai valori propri di un’altra Nazione. Solo riscoprendo le sovranità nazionali potremo evitare qualsiasi deriva verso il mondialismo sfrenato e la “cultura unica”. Perché la cultura è, anzitutto, ciò che rende gli uomini differenti e molteplici.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Svuotacarceri durante una pandemia: sciacallaggio puro

Ave Socii

E’ un momento difficile per tutti noi italiani. Un momento nel quale tutti noi siamo costretti a restare il più possibile chiusi in casa, per evitare il diffondersi del coronavirus. Eppure, anche in momenti del genere, c’è chi non perde occasione per finire sotto i riflettori e accendere polemiche.

Ne è prova uno dei provvedimenti contenuti nel decreto cosiddetto “Cura Italia”: lo svuotacarceri. In pratica, far uscire di prigione i detenuti giunti quasi a fine pena. Far loro scontare la pena residua presso il proprio domicilio, onde evitare il sovraffollamento carcerario e, dunque, la possibilità di creare assembramenti.

Adottare un simile provvedimento è, secondo noi, riprovevole. Essenzialmente per due motivi. Primo. Con lo svuotacarceri viene meno il concetto di “certezza della pena” troppe volte evocato e, purtroppo, quasi sempre calpestato. Secondo. Mentre gli italiani onesti sono costretti a chiudersi, lo Stato apre ai carcerati. Il controsenso è più che evidente.

Per noi, invece, rimanere in carcere è forse una mossa vincente contro possibili contagi dall’esterno. Che una cella sia affollata è anche possibile. Ma una situazione simile, ad esempio, può verificarsi pure per un grande nucleo familiare costretto in una casa da quaranta metri quadrati. Per una simile famiglia non c’è possibilità di rimediare al sovraffollamento domestico. Perlomeno non tramite un improbabile “provvedimento svuotadomicili”. Non è questione di avere pregiudizi nei confronti di chi ha sbagliato. E’ una questione di mera praticità.

C’è un solo modo per evitare che le carceri, pure sovraffollate, non subiscano gli effetti del contagio del virus. Il modo è: evitare flussi di persone dall’esterno, ad eccezione ovviamente di quelli obbligati all’ingresso. Ciò significa, sostanzialmente, evitare le visite dei parenti dei carcerati. E forse è questo che ad alcuni carcerati non è andato giù, qualche giorno fa, quando in molte carceri d’Italia si sono verificati disordini ed evasioni.

Secondo noi, quei tafferugli si sarebbero potuti evitare prospettando sin dall’inizio la possibilità, per i carcerati, di usufruire di maggiori telefonate ai parenti. Questa sarebbe stata la cosa più giusta da fare. I carcerati sicuramente lo avrebbero capito, esattamente come tutti noi che stiamo fuori dal carcere. Perché un’emergenza del genere non può non unire tutti quanti, anche se distanti.

Certo, le teste calde si trovano ovunque. In carcere ma anche fuori. E il sospetto è che sia stato proprio qualcuno da fuori a fomentare le proteste di qualche giorno fa. Alcuni centri sociali, ad esempio. Coloro, in pratica, che da sempre portano avanti battaglie relative ad argomenti come amnistie o indulti.

In tempi del genere, proporre simili battaglie non può che essere considerato un atto di sciacallaggio. Quella dello svuotacarceri non è che una battaglia politica che i centri sociali portano avanti in maniera viscida. Affermano, a loro giustificazione, che la società ha pregiudizi verso i carcerati. In realtà, forse, sono invece certi soggetti ad aver pregiudizi ben più forti nei confronti delle Forze dell’Ordine e del resto della società. E vedere un governo che viene incontro a simili richieste, è un’immagine pericolosa per chi ancora crede nei valori della democrazia, dell’uguaglianza e della giustizia.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Tradizione e fede nella nuova Costituzione russa

Ave Socii

La riforma costituzionale avviata in Russia prevede l’introduzione dei valori della tradizione e della fede cristiana nella sua carta fondamentale. Una bella lezione per tutti quei Paesi che si professano “occidentali”. Una sfida, d’altra parte, al mondo globalizzato e al progresso laico che contraddistingue i Paesi più sviluppati.

Questo dovrebbe farci riflettere su quali siano i valori su cui una Nazione dovrebbe fondarsi. Secondo il mantra cosmopolita e globalista, esistono dei “valori universali” da applicare a tutti i popoli ugualmente e indistintamente. La globalizzazione, lungi dall’essere un sistema di pensiero applicabile alla sola sfera economica, diviene così un vero e proprio credo da applicare anche ai valori e alla tradizione.

Perché la globalizzazione può funzionare bene in economia, ma non altrettanto bene per i sistemi di valori? Perché esiste la cultura. Alcuni pensano che la cultura sia ciò che unisce gli uomini… Hanno ragione, ma dimenticano una parte della definizione. La cultura, infatti, è ciò che unisce i simili ma anche ciò che differenzia i dissimili. Se i teoremi del benessere economico possono valere per qualsiasi collettività umana, non altrettanto può dirsi per le culture. In questo caso, infatti, le collettività umane possono seguire criteri etici e valori diversissimi le une dalle altre.

Applicare valori supposti “universali” ad ogni cultura è, evidentemente, una non trascurabile forzatura. Questo è il limite della globalizzazione in senso lato. I supposti “valori universali” dovrebbero fungere da elementi costitutivi di una ipotetica “cultura universale”, cioè valida per tutti. Il che nega la definizione stessa di cultura come fattore che distingue tra loro le collettività umane. E’ bene, dunque, che il pensiero globalista rimanga confinato all’interno della sfera economica e non sfoci nell’ambito dei valori e delle culture.

La sfida russa alla voracità globalista procede proprio nella direzione di una riaffermazione dell’importanza della cultura all’interno delle collettività umane. Una Nazione non può dirsi davvero tale, se non si basa su valori condivisi dal proprio popolo e distinti rispetto ai valori di un altro popolo. La tradizione che unisce i membri di una collettività è uno straordinario collante per ogni Nazione. La fede individualista professata dal credo globalista, invece, va esattamente nel verso opposto: ossia lo smantellamento delle identità nazionali e l’indebolimento delle identità personali. Perché i valori etici, la tradizione, i principi religiosi, la fede, la cultura sono elementi che fondano e modellano le personalità di ciascuno di noi.

Di tutt’altro segno la scelta che tempo addietro prese l’Europa, di non inserire all’interno dei suoi Trattati un riferimento alle radici cristiane e di non dotarsi di una Costituzione unitaria. Risultato? Un insieme incoerente di Stati che procedono ognuno per conto proprio sulla maggior parte delle questioni da affrontare. In un mondo che solo ora inizia a scorgere i limiti della globalizzazione selvaggia, forse l’esempio della Russia potrebbe essere utile a tutti. Persino all’Europa.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Natalità e immigrazione incontrollata

Ave Socii

Gli ultimi allarmanti dati confermano una tendenza che purtroppo sembra lungi dall’essere invertita. Nel nostro Paese le nascite diminuiscono sempre di più. La nostra popolazione diventa sempre più anziana. Il ricambio generazionale è ridotto ai minimi termini.

Ovviamente si tratta di un problema dalle ricadute economiche notevoli. In termini di lavoro e pensioni, ad esempio. Ma in questa sede, in particolare, vorremmo concentrare la nostra attenzione sull’aspetto sociale e demografico della questione. Le politiche a favore della natalità dovrebbero essere priorità di qualsiasi governo, in un Paese che invecchia di anno in anno. Eppure chiunque sia andato al governo pare essersi dimenticato di questo che è uno dei problemi più gravi che ci attanagliano.

Al massimo, qualche politico ha pensato di aumentare il livello di natalità ricorrendo ai flussi migratori. Siccome i vuoti vanno riempiti, allora pare ovvio e pacifico che venga operato un vero e proprio “travaso” di popolazione da dove c’è troppa a dove c’è troppo poca. C’è tuttavia un piccolo aspetto che andrebbe tenuto in considerazione: la cultura. La cultura è l’insieme di tutte le qualità che ci accomunano, ma anche delle qualità che ci contraddistinguono rispetto agli altri. Se pensassimo che tutta la popolazione umana debba appartenere ad un’unica cultura, probabilmente decreteremmo la fine di ogni cultura.

Secondo alcuni, il suddetto ragionamento porterebbe ad una sorta di apologia del razzismo. Non è assolutamente così. Il razzismo è la conseguenza dell’estremizzazione delle differenze, declinate per di più all’interno di un atteggiamento bellicoso e intollerante. La cultura occidentale ha ancora i suoi problemi di razzismo, ma mai così dilaganti quanto quelli che ebbe tempo addietro. Ogni cultura, infatti, sviluppa nel tempo gli anticorpi che le consentono di evitare gli estremismi. Ad oggi, esistono sicuramente diverse altre culture ben più estremiste, razziste e intolleranti della nostra. Perciò finiamola di dire che la colpa di tutto è sempre nostra!

Ciò premesso, è fondamentale che una cultura stabilisca le proprie differenze rispetto alle altre culture. E che tramandi queste differenze per preservare la propria identità nel tempo. Ebbene, la promozione dell’immigrazione incontrollata va proprio contro questo principio. Oggi purtroppo, seguendo le sirene del politicamente corretto e del buonismo, siamo incitati ad accogliere chiunque senza se e senza ma. E accogliere qualcuno spesso proveniente da culture diverse dalla nostra, spesso inconciliabili con questa. Altrimenti siamo sovranisti, che tradotto vuol dire “brutti, cattivi, trogloditi, fascisti”. Che ne è, dunque, della nostra identità?

E’ allora davvero opportuno pensare che la soluzione ultima al decremento di natalità sia l’accoglienza di persone che facciano figli al posto nostro, nonostante la provenienza da culture diversissime? Oppure sarebbe meglio incentivare le nostre famiglie, ossia quelle italiane, al concepimento e alla cura dei figli? E incentivare, in particolare, quelle famiglie in grado di generare: ossia le coppie uomo-donna. Perché la generazione di un figlio non può che passare per l’incontro fra un uomo e una donna. Nonostante la pronuncia di un Parlamento a favore di coppie di ogni tipo, la Natura non può essere cambiata con una legge.

In conclusione, solo incentivando le famiglie “tradizionali” si può sperare di promuovere la natalità in Italia. Sarebbe questo il primo vero provvedimento di un Paese che volesse esercitare la propria sovranità. Ognuno viva la propria vita accanto a chi vuole: uomo, donna o persone di qualunque altro genere. La generazione dei figli è un’altra storia. Solo le coppie uomo-donna riescono a dare qualcosa (o meglio, qualcuno) alla società. Ogni altra coppia, invece, sa ricevere e basta.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Cina, un impero dai piedi d’argilla

Ave Socii

La storia del Celeste Impero è stata per lungo tempo una storia di successi. Dal punto di vista sia politico che economico. Impresa ardua coniugare una dittatura comunista con l’economia di mercato e l’apertura al mondo. Eppure la Cina è riuscita in quest’impresa. E già qualcuno la ipotizzava come valida alternativa al modello propugnato dall’Occidente, Stati Uniti in testa. Cina: da Paese in via di sviluppo a una delle economie più sviluppate a livello mondiale, seconda solo a quella statunitense. Poi è arrivato il coronavirus… E di colpo la Cina ha incominciato a mostrare tutte le sue fragilità.

La causa maggiore di queste fragilità è da riscontrare senza dubbio nel sistema politico cinese. Notoriamente un regime comunista, come del resto ogni regime, non lascia spazio ad un’informazione imparziale e accessibile… A non essere ostacolate sono solo le informazioni che non impensieriscono il regime. Ogni possibilità di dissenso è soppressa. Questo metodo, tuttavia, funziona solo finché le cose vanno bene. Tenere nascosto il rischio di contagio, invece, si è rivelato fallimentare per l’impero del Sol Levante.

Nessuno può dubitare che, nei giorni successivi, la Cina si sia comunque mossa per evitare ulteriori complicazioni. Costruire due ospedali in appena dieci giorni o poco più, non è certo un risultato di poco conto. Magari succedesse anche da noi… Eppure la Cina non può fare a meno di chiedere aiuti anche altrove. All’Europa, ad esempio. E di attaccare quelli che sembrano remarle conto. Come gli Stati Uniti, rei di aver alimentato solo paura nei suoi confronti. E’ evidente come le storiche rivalità tra Stati Uniti e Cina si riverberino pure in questa fase delicata.

C’è chi arriva a definire “razzismo” questa smodata paura per il contagio. C’è chi non perde occasione per trasformare una questione sanitaria in una questione sociale. Ma la gente, sia chiaro, non ha paura dei Cinesi, bensì del virus. Anche noi crediamo che questa paura sia più che legittima. Non c’è e non ci deve essere un problema di razzismo, perché non c’entra assolutamente nulla. I cittadini vogliono semplicemente che gli Stati nazionali li difendano, per quanto loro possibile, dal rischio di diffusione del contagio. Che poi il virus provenga proprio dalla Cina non è certo colpa dei Cinesi… E’ semmai responsabilità di chi li governa. Una società ingabbiata da un regime dittatoriale così oppressivo sentirà ben presto la necessità di liberarsi. Speriamo che anche i potenti del Celeste Impero lo comprendano presto. E che questa difficoltà si trasformi in una vera opportunità di cambiamento.

Vostro affezionatissimo PennaNera