Umorismo, il miglior antidoto per sconfiggere il vittimismo

Ave Socii

Di fronte ai prepotenti, ridi. Di fronte a chi crede di capire tutto, ridi. Di fronte a chi fa finta di indignarsi, ridi. Di fronte a chi fa la vittima, ridi. Perché l’umorismo è la risposta migliore contro il vittimismo che attanaglia la nostra società odierna. Pure quando tu stesso vorresti fare la vittima, prova a ridere di te stesso. Perfino il Vangelo lo dice: quando soffri fatti comunque vedere gioioso, di modo che nessuno possa sospettare nulla del tuo stato di sofferenza. Raccomandazione più che rivoluzionaria, alla luce della reale natura umana.

C’è gente che non vede l’ora di vederti soffrire, per farsi vedere buona con te. Ma quando stai un po’ meglio ti volta le spalle e magari è pure invidiosa del fatto che stai bene. Spesso si tratta di persone che non stanno bene dentro, che vorrebbero far star male anche chi sta loro intorno, perché non sopportano l’idea di essere le sole al mondo a star male. Hanno bisogno di condividere il loro malessere, o certe volte perfino di appiopparlo interamente ad altre persone, magari proprio a quelle che stanno meglio. E’ pur sempre un atteggiamento umano, va compreso. Certamente non va assecondato, piuttosto va cambiato. Ci sono alcuni che preferiscono non cambiare… Peccato per loro, perché una risata li seppellirà.

Piuttosto che ridere della vita e degli altri, spesso preferiamo farci vedere bisognosi d’amore. Oggi la società invoglia tutti noi a farci vedere vittime, nell’attesa dei salvatori e dei paladini della giustizia. Ma le speranze si rivelano il più delle volte vane… Se la società non ci ascolta e non ci dà amore, perché stare tanto a soffrire? Meglio farsi una canna, no? Meglio drogarsi, così la società si sentirà in colpa e verrà per davvero a soccorrerci… Meglio legalizzare la cannabis piuttosto che ridere dei falsi salvatori, no? Forse ci crediamo ancora, alle favole e ai cavalieri senza macchia… Forse mantenere in auge certi miti fa comodo a qualcuno… Forse invece fare dell’umorismo nei loro confronti è scorretto… Forse deridere chi si fa le canne e persevera nel vittimismo lo è ancor di più… Sembriamo cattivi forse? Meglio veri cattivi che finti vittimoni! Che una fragorosa risata li seppellisca!

C’è gente che rizza le antenne non appena ha modo di attaccare quelli verso cui prova invidia. Succede anche nella politica. Prendete la questione dei cosiddetti “minibot”… Alcuni non vedevano l’ora di parlare di “strappo” nella Lega, invidiosi come sono del suo attuale consenso presso l’elettorato. Alcuni godono perfino nel vedere il nostro Paese isolato o andare a picco, pur di criticare il governo in carica. Ma questo succede praticamente con tutti i governi, non solo con l’attuale. Ritornando ai fatti più recenti… Dovremmo essere tutti fieri per aver ottenuto la sede dei giochi invernali del 2026… invece qualcuno continua a mostrarsi in disaccordo, perché sotto sotto rosica. Se in corso d’opera qualcosa andasse storto, quel qualcuno improvvisamente si sentirebbe come risollevato… Siamo pronti a metterci la mano sul fuoco!

Cosa c’è di meglio contro questi ipocriti, se non una buona dose di umorismo? Cosa c’è di meglio contro certi fascio-buonisti paladini del diritto all’immigrazione, se non l’umorismo? Quale migliore arma contro chi ama schierarsi dalla parte degli ultimi, semplicemente per puro tornaconto personale? Quale migliore arma contro chi si ispira alle beatitudini di evangelica memoria, soltanto per acquisire notorietà e creare incidenti politici? Cosa abbiamo di meglio dell’umorismo, contro chi strumentalizza i sofferenti solo per vendere più droga? Contro chi strumentalizza gli immigrati solo per fare affari col business dell’accoglienza… Contro chi parla di diritti “universali”, ma poi si indigna quando l’Italia osa chiedere che l’accoglienza sia praticata da tutti gli Stati… L’umorismo genera molti nemici… Molti nemici, molto onore. Che una fragorosa risata vi seppellisca tutti, fascio-buonisti e vittime mascherate!

Vostro affezionatissimo PennaNera

Interessi e conflitti: risorse, non problemi

Ave Socii

Abbiamo scoperto l’acqua calda: l’onestà non è di casa nemmeno nella magistratura. Anche lì ognuno coltiva i propri interessi. E non succede da ieri, a dire il vero. Anche negli organi teoricamente più imparziali potrebbero in realtà avvenire manovre non propriamente disinteressate. Bisogna avere fiducia nella magistratura… Certo, bisogna avere fiducia, ma non più e non meno che in altri organi dello Stato. La magistratura, a nostro avviso, non ha nulla di così speciale da meritare tutta questa smisurata fiducia. Specie alla luce degli ultimi accadimenti.

Ormai, per recuperare un po’ di credibilità, i magistrati inizieranno a picchiare duro pure contro quei “campioni d’onestà” dei Cinque Stelle… Lo stanno già facendo contro il sindaco di Torino, ma non solo. Se colpisce anche la magistratura, allora è proprio vero che la disonestà è la cosa più democratica che esista. E pensare che un tempo sembravano così uniti, Cinque Stelle e magistratura, sotto la comune bandiera dell’onestà! Ma da quando il popolo, dopo le recenti elezioni, ha voltato le spalle al più credibile baluardo d’onestà nel nostro panorama politico, ai giudici è stata al momento preclusa ogni possibilità di eliminare giudiziariamente gli avversari politicamente ineliminabili. Anche i Cinque Stelle “hanno fallito”… Perciò, d’ora in poi, pure loro potranno essere indagati liberamente. Anche se forse proprio i Cinque Stelle, in tutta la loro storia, hanno collezionato più avvisi di garanzia in proporzione ad altri partiti. Ma questi sono dettagli…

Poi è esploso lo “scandalo magistratura” e abbiamo scoperto che la corruzione serpeggia pure fra i giudici… Eppure, secondo noi, non c’è ragione alcuna per sentirsi così scandalizzati. Siamo tutti esseri umani e, come tali, siamo tutti interessati. L’interesse e la motivazione spingono ogni nostra azione. Chi ha interessi comuni, poi, si riconosce sotto una medesima bandiera e tifa per la categoria rappresentata da quella bandiera. Vale per lo sport come per la politica, passando per i poteri di uno Stato democratico. La democrazia stessa promuove il perseguimento di interessi a partire da una pluralità di categorie, le quali si confrontano (ad esempio, attraverso libere elezioni) deliberando quali siano gli interessi al momento meritevoli di maggior tutela (quelli proposti, ad esempio, dal partito o dalla lista che ha ottenuto più voti).

I poteri statali, il giudiziario nello specifico, dovrebbero essere esercitati all’interno di ogni categoria sociale. Non dovrebbe esistere una categoria che da sola detenga lo scettro di un potere intero: risulterebbe eccessivamente potente nei confronti delle altre. Occorre depotenziarla, dunque. Dividere i poteri non basta, per annullare l’effetto delle correnti ed assicurarsi il raggiungimento dell’indipendenza e dell’imparzialità. I poteri vanno anche suddivisi fra le categorie esistenti: non mediante una “divisione dei poteri” tout court, ma attraverso una sorta di “diffusione dei poteri”. Nella realtà non possono esistere poteri “al di sopra delle parti”. Tutti i poteri presentano comunque le loro suddivisioni in categorie, siano esse correnti o partiti. Ed è bene che queste categorizzazioni vengano fuori, invece di alimentare loschi sotterfugi celati sotto la maschera dell’imparzialità. A nostro parere è inutile, persino dannoso, alimentare l’ipocrisia che alcuni poteri siano immuni dall’influenza delle categorie.

La questione non dovrebbe essere se le categorie possano o meno influenzare i poteri, ma piuttosto stabilire quali categorie possono influenzare i poteri e quali no. Detto in maniera diversa ma equivalente, quali interessi sono meritevoli di tutela e quali no. In questo senso, la Costituzione potrebbe fornire delle linee guida, impedendo da subito la nascita di determinate correnti. Se certe correnti sono anticostituzionali diciamolo dall’inizio. Impediamo che nascano dal principio. Non aspettiamo, per esempio, che avvengano certi episodi a Roma per poi etichettarli come “aggressioni squadriste”. Così sembra quasi che si abbia interesse a che determinate correnti vengano alla luce, per trasformarle in capro espiatorio in determinate situazioni. E’ indubbio che episodi del genere vadano condannati. Ma certe correnti non dovrebbero nascere per niente, se veramente promuovono interessi contrari alla Costituzione… Che pure qui ci siano sotto degli interessi, magari proprio la costruzione di un capro espiatorio?

Passare dal paradigma dell’imparzialità a quello del perseguimento di interessi. E’ questo il punto. Non scansiamo il problema, affrontiamolo. Gli interessi esistono, non si possono evitare. Sfruttiamo questa situazione, invece di biasimarla. Invece di alimentare le false speranze di una magistratura indipendente, proviamo a sfruttare le potenzialità di una magistratura interessata.

La società tutta è divisa in categorie, o correnti. Ciascuna di esse dovrebbe accogliere magistrati propri, motivati a promuovere gli interessi di quella determinata categoria. Ogni categoria è costituita da rappresentanti e rappresentati. I primi dovrebbero ottenere benefici in base ai risultati positivi che conseguono per la loro categoria. Migliori sono i risultati, maggiori sono le possibilità di salire al vertice (che, nel caso del potere giudiziario, dovrebbe essere costituito da un magistrato per ciascuna categoria, così da garantire l’equilibrio fra i vari interessi coinvolti). Si presume, infatti, che i migliori siano quelli in grado di difendere meglio gli interessi di categoria. Ma i rappresentanti si possono anche cambiare. Un numero qualificato di rappresentati può sostituire i rappresentanti “non graditi”, come accade per le elezioni politiche. Tale metodo democratico dovrebbe essere applicato anche ai magistrati.

Ognuno di noi sarebbe contento se prevalessero sempre le idee che condivide maggiormente. Noi stessi saremmo contenti qualora prevalessero sempre certe categorie e certe linee di pensiero. Tipo la linea “sovranista”, la linea del “prima gli italiani”. O la linea del contrasto alla criminalità, all’immigrazione incontrollata e al traffico di droga… Ma sappiamo che purtroppo non sarà per sempre così. Perché nel tempo gli interessi di una società cambiano. La scala dei bisogni di una Nazione può variare. La popolarità di una categoria non dura per sempre. Si chiama democrazia. E pure i magistrati, secondo noi, dovrebbero riflettere le aspettative e le richieste di un popolo, se ci troviamo all’interno di una democrazia. Nei limiti, ovviamente, delle possibilità accordate dalla Costituzione.

Come risolvere eventuali contenziosi tra le diverse categorie? Ad esempio, si potrebbe costituire un organo composto da tre giudici, due di parte e uno imparziale (estratto a sorte tra i non contendenti). In caso di irregolarità, pagherebbero i tre giudici. Se le irregolarità coinvolgessero il vertice, pagherebbero in solido le categorie rappresentate dai tre giudici nel collegio giudiziario. In caso i rappresentanti siano suddivisi in più organi, purché di pari livello, è opportuno che tali organi non legiferino per se stessi. Specie se sono due, è bene che l’uno disponga le regole per l’altro e viceversa. Come nel caso di Camera e Senato: ciascuno dei due rami del Parlamento dovrebbe stabilire le norme non già per sé medesimo, bensì per l’altro. Specie per quel che concerne i compensi dei suoi membri.

La riforma della giustizia è sicuramente materia difficoltosa per chiunque, soprattutto in Italia. Magari proprio a causa degli interessi che qualcheduno vorrebbe salvaguardare. Ma comunque venga impostata la riforma, crediamo che la stella polare da seguire debba essere questa: depotenziare determinate categorie, al momento strapotenti, per raggiungere un certo equilibrio fra gli interessi in gioco. Finché una sola categoria sarà al comando di un potere, i suoi interessi prevarranno senza possibilità di replica. Solo quando tutte le categorie saranno in grado di esprimere rappresentanti propri per ciascun potere, compreso quello giudiziario, potremo finalmente dire addio alla subdola tirannia di una casta.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Riscaldamento globale… Meno manifestazioni, più fatti

Ave Socii

Occupare una piazza è sacrosanto, per far sentire la propria voce e sensibilizzare l’opinione pubblica su determinate tematiche. Ma più che manifestazioni, in certi casi servono atti concreti. Concreti e sostenibili. Come sui cambiamenti climatici. Il riscaldamento del pianeta non si combatte manifestando, ma attuando opportuni provvedimenti. Continuando a dire che la colpa dei cambiamenti climatici è di Trump, e di quelli come lui, non si va da nessuna parte. Anzi, con permesso, si innesterebbe una sorta di retromarcia. Specie se, per attuare quello che predicano gli “ambientalisti”, si dovessero mettere a repentaglio milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Alla faccia dello “sviluppo sostenibile” che a loro piace tanto predicare.

Le opere vanno costruite nei luoghi opportuni. A volte il problema non va cercato nel riscaldamento globale, bensì in motivazioni un po’ più “terra terra”. Guardando al nostro Paese, un esempio potrebbe essere il dissesto idrogeologico. Non possiamo evocare i “fenomeni climatici straordinari”, se costruiamo vicino agli argini e “all’improvviso” arriva la piena. Il riscaldamento globale finisce per diventare una motivazione vaga. Il dissesto, invece, è ben più individuabile e controllabile. A volte l’impressione è che si cerchi di buttare tutto in caciara, evocando il clima “cinico e baro” per evitare che qualcuno si assuma fino in fondo le proprie responsabilità. Le opere vanno realizzate nei luoghi opportuni. Con criteri opportuni. Magari servendosi pure di tecniche innovative e all’avanguardia, con un occhio di riguardo all’ambiente.

Ridurre gli scarti, reimmetendoli nel processo produttivo, potrebbe costituire il futuro di molti rami dell’economia. Il nuovo approccio dell’economia circolare potrebbe creare nuove figure professionali e nuove opportunità di lavoro. Costruire opere in tal senso farebbe sicuramente crescere il nostro “sistema Paese”. Tuttavia sembra che alcuni facciano di tutto per bloccare le opere e promuovere la decrescita italiana. Anche all’interno del nostro stesso Paese. Se l’Italia crescesse troppo, come farebbero gli stranieri a comprarci a basso costo? Eppure ultimamente sembra quasi che lo stesso Di Maio si stia “trumpizzando”: firma e mostra in diretta la revoca degli incentivi alla Whirlpool, intende aumentare i controlli su negozianti irregolari e cinesi… Le recenti elezioni europee debbono avergli fatto proprio bene. Se così è, speriamo si converta presto anche sulla questione “termovalorizzatori”. Ciononostante, nessuno ci leverà mai dalla testa che alcuni continuino a strizzare l’occhio alla Cina e a certi altri Paesi…

Se il riscaldamento globale da effetto serra è davvero una minaccia, perché non ricorrere al nucleare? Il nucleare è forse la fonte più efficiente di energia “pulita”, in quanto non comporta alcuna produzione di anidride carbonica. Però non si può usare, sennò l’immaginario collettivo evoca i mostri a tre teste. In realtà, il passaggio al nucleare comporterebbe anche elevati costi di impianto. Ma ciò passa in secondo piano, di fronte alle motivazioni addotte dagli ambientalisti. Dopo i fatti di Chernobyl del 1986 e il successivo referendum con cui l’Italia ha detto no al nucleare, qualcuno si è forse preoccupato degli elevati costi di smantellamento delle centrali nucleari? Le abbiamo smantellate, punto. Perché così voleva certa dottrina dei fascio-buonisti. Gli stessi fascio-buonisti, magari, che ora tacciono sulla questione del nucleare iraniano.

L’utilizzo pacifico del nucleare non va bene… Però se alcuni Paesi minacciano di ripristinare il loro arsenale nucleare, chi prima faceva la voce grossa ora non si azzarda a protestare, oppure lo fa sottotono. Forse addirittura qualcuno strizza l’occhio a certi Paesi, produttori di petrolio e pure immischiati nel nucleare. Persino tra le fila dei cosiddetti “ambientalisti”. Se così fosse, allora le nostre non sarebbero solo supposizioni… Forse dietro buona parte del pensiero ambientalista si celano veramente gli interessi dei petrolieri. E di chi non ha scrupoli nemmeno ad impiegare il tanto biasimato nucleare, per di più con finalità tutt’altro che pacifiche.

Lasciando da parte l’extrema ratio del nucleare (inteso pacificamente, come fonte di energia), esistono comunque progetti di termovalorizzatori innovativi, efficienti e a basso impatto ambientale. Non si può essere contrari agli inceneritori semplicemente per principio. Ne va di mezzo il sistema energetico nazionale. Ne vanno di mezzo le nostre tasche. Ne va di mezzo l’ambiente stesso. Perché continuare a tollerare roghi di cassonetti e “terre dei fuochi”, quando forse impiegare un termovalorizzatore potrebbe essere la soluzione migliore per tutti? Eviteremmo di pagare due volte l’energia che consumiamo, prima per spostare e termovalorizzare all’estero i nostri rifiuti e poi per comprare l’energia da quegli stessi Paesi che termovalorizzano i nostri rifiuti. E forse ridurremmo il rischio di vedere cassonetti stracolmi e rifiuti per strada, magari dati pure alle fiamme alla faccia delle emissioni inquinanti e del riscaldamento globale.

Per questo siamo convinti che le manifestazioni siano necessarie, ma assolutamente non sufficienti, per convincere i governi ad implementare nuove politiche sostenibili che tengano conto anche dell’ambiente. Se si manifesta solo per raggiungere la notorietà, può capitare che ci si dimentichi della vera ragione da cui tutto è iniziato. Se davvero il riscaldamento globale è un problema serio e preminente, non basteranno mille piazze piene per risolverlo. C’è bisogno di altro, di volontà politica nel presente e di lungimiranza per il futuro. Se ci facciamo travolgere dall’impeto di una manifestazione, durerà come un fuoco di paglia: passata la manifestazione, nessuno più si preoccuperà seriamente del problema. Continuiamo a mirare alla luna, non indugiamo a guardare soltanto il dito che la indica.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Economia tra incoerenza temporale e costruzione di aspettative

Ave Socii

La probabile apertura di una procedura di infrazione verso il nostro Paese, da parte della Commissione Europea, accende i riflettori sul problema generale dei Paesi con elevato debito pubblico. Di per sé non sarebbe affatto un problema, anzi un alto debito pubblico può rivelarsi perfino una risorsa all’interno degli intricati giochi dell’economia. Purché comportamenti di questo tipo siano agiti con moderazione. Se nel tempo dimostro di assumere degli atteggiamenti incoerenti (ho contratto un debito, ma preferisco rinegoziare invece che mantenere la promessa di restituirlo), alla fine sarò percepito dagli altri come incoerente. In futuro, con ogni probabilità, troverò molti meno soggetti disposti a prestarmi qualcosa in caso di bisogno. Se invece il mio comportamento è coerente nel tempo (ho contratto un debito e mantengo la promessa di restituirlo), sarò percepito come affidabile. Le aspettative che gli altri avranno di me si manterranno stabili. Anche per il futuro.

Vi siete mai domandati quanto potere può esercitare chi contrae un grande debito? Prima chiede prestiti assicurando che li restituirà, poi non adempie. Tipica assunzione di un comportamento incoerente, accompagnata da aspettative instabili verso chi ha assunto un tale comportamento. Tuttavia il debitore ha ottenuto quanto sperava di ottenere, almeno nel breve termine. Finché il debitore è un singolo e le somme prestate sono modeste, si può rinegoziare abbastanza tranquillamente. Ma immaginate se il debitore è uno Stato e i prestiti si aggirano attorno a diverse migliaia di miliardi! La rinegoziazione può diventare assai problematica, i creditori potrebbero essere costretti ad una pesante riduzione del credito vantato verso lo Stato inadempiente. Più il debito è grande, più il credito è a rischio se lo Stato si rivela inadempiente. E spesso i creditori non sono in grado di anticipare se uno Stato si rivelerà inaffidabile o meno.

Per questo esistono delle apposite regole di “tutela del credito”, anche nei rapporti fra Stati. Regole che, in genere, tendono a disincentivare i comportamenti “opportunistici” dei debitori. Regole finalizzate alla riduzione della loro incoerenza, tese a rendere più credibili i “giocatori” e più stabili le aspettative nei loro confronti. Sono tali regole a trasformare potenziali risorse in problemi da evitare. Eppure questi problemi si manifestano lo stesso… L’economia non è una scienza dura come la fisica. Non si possono stabilire delle relazioni di mera causa-effetto tra le grandezze coinvolte. Talvolta alcuni soggetti sono in grado di manipolare alcune grandezze per modificarne delle altre, anche se apparentemente le prime dipendono dalle seconde. Tra loro, in realtà, la correlazione non è mai perfettamente lineare.

Determinate “manovre economiche” modificano le aspettative altrui. Spesso usando intenzionalmente l’incoerenza temporale: comportarsi in un certo modo ora, sapendo già che in futuro assumerò un comportamento diverso. In simili casi riesco di fatto a sfruttare un’asimmetria informativa, poiché l’altro ignora che io sto mentendo. Finché una tale asimmetria perdura, posso convincere l’altro che gli eventi evolveranno come dico io, quindi spingerlo a comportarsi come voglio io senza che lui lo sappia. In pratica, io ho in mente l’effetto che voglio raggiungere e faccio di tutto affinché abbia luogo la causa che scatenerà l’effetto da me voluto. Se quell’effetto si realizzerà, la mia credibilità si rafforzerà nonostante io abbia simulato. Se invece le mie manovre si riveleranno troppo deboli per realizzare l’effetto sperato, la mia simulazione diverrà manifesta e io perderò credibilità.

Talvolta assistiamo a strane partite di calcio, dove chi vince sembra vincere non in base alla propria bravura ma in base a contratti di ben altra natura. Alcune partite, specie a fine campionato, sembrano un tantino pilotate. Magari per far conquistare determinati posti in determinate competizioni che garantiscano elevati e sicuri flussi monetari. A questo punto è lecito chiedersi: sono le vittorie a generare i flussi finanziari positivi, o piuttosto i flussi finanziari positivi a generare le vittorie? Ovvero: è così strano far vincere una squadra in base alla consistenza dei flussi scommessi su di essa, dato che scommettere su una squadra è indice di fiducia degli scommettitori sulla stessa? Meglio continuare ad alimentarla, questa fiducia, piuttosto che bruciare ora questa opportunità rischiando di trovarsi senza nuovi flussi per chissà quanto tempo… O no?

Tornando all’economia in senso stretto… Ipotizziamo che il governo decida di aumentare i trasferimenti alle famiglie, per poi ricorrere ad un aumento delle tasse. Alla fine dei giochi, le famiglie potrebbero sentirsi un tantino prese in giro dall’incoerenza di uno Stato che con una mano dà e con l’altra riprende. Indipendentemente che lo Stato abbia deciso, intenzionalmente o meno, di ricorrere a questa strategia. Ma le informazioni non sono sempre così complete e controllabili intenzionalmente. Chi mi assicura, ad esempio, che gli altri giocatori non sappiano che io sto simulando? Se pure loro simulassero, potrebbero anticipare le mie mosse. Le famiglie, prevedendo che lo Stato alla fine richiederà qualcosa indietro, potrebbero decidere di mettere da parte quanto ricevuto tramite i trasferimenti, salvaguardandolo dal “pericolo” di nuove tasse.

Il mondo, vediamo, è molto più caotico e imprevedibile di come i modelli riescano a descriverlo. Dove regna il caos informativo, le migliori strategie sono quelle improntate sulla casualità. In generale, la politica degli investimenti accoglie un numero indefinito di investitori e finanziatori. Nessuno può conoscere tutto di tutti e prevederne ogni singola mossa o intenzione, è inimmaginabile. Quale può essere, allora, la strategia vincente? Affidarsi al caso. Assumere una linea non prevedibile, in modo da ottenere il massimo rivolgendosi al maggior numero possibile di mercati finanziari. Facendosi vedere troppo a favore di una parte, si potrebbero scontentare altre parti. In simili situazioni, come anche in altre, Trump avrebbe molto da insegnarci. Fare prima dichiarazioni infuocate, per poi giungere a più miti consigli, potrebbe renderci affidabili senza tuttavia farci passare per incoerenti… Nella costruzione delle aspettative, infatti, l’ultima mossa conta più della prima. Anche nel complesso gioco dell’economia.

Forse l’atteggiamento apparentemente incoerente del nostro governo, in tema di economia, non è così deprecabile come alcuni dicono. Che lo spread si alzi a causa di certe affermazioni potrebbe certo essere un problema… Ma lo spread è sensibile al breve termine, pur facendo sentire i suoi effetti anche e soprattutto nel medio-lungo termine. Anche in passato avevamo un differenziale alto, però nessuno ne parlava e tutti erano più tranquilli. Se alla fine il nostro governo riuscirà a trovare una sintesi con le posizioni europee, per noi sarà sicuramente una vittoria. Non solo perché risulteremo finalmente credibili dinanzi all’Europa e al mondo. Ma anche perché, dopo anni di prostrazione e “compiti a casa”, potremo comunque dire di aver finalmente alzato la testa.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Tasse basse = lotta all’evasione + lotta alla corruzione

Ave Socii

Lo sappiamo fin troppo bene: siamo uno dei Paesi con la più elevata pressione fiscale al mondo. Sappiamo anche che le tasse dovrebbero servire per pagare i servizi offerti dallo Stato. E’ allora ragionevole aspettarsi, in uno Stato dove si tassano anche le ombre, un livello di servizi pubblici almeno decente. Nonostante ciò, molti di questi servizi languono. Ma di essi il cittadino ha pur sempre bisogno. Poi non lamentiamoci se, per ottenerli, qualcuno ricorre anche a pratiche non proprio “cristalline”. E non lamentiamoci se, di conseguenza, gli unici a fare affari nel nostro Paese sono quelli che sguazzano nell’illegalità.

Forse bisognerebbe semplificare il nostro apparato burocratico e fiscale. Complicare le cose non garantisce sempre i migliori risultati contro l’illegalità e la corruzione. Ridurre le tasse potrebbe portare un po’ di respiro al sistema. Ed applicare un’unica aliquota, forse, semplificherebbe non poco la vita a famiglie e imprese. Secondo noi, tassa piatta e lotta alla corruzione viaggiano sullo stesso binario. Se la criminalità continua ad avvolgerci coi suoi tentacoli, forse il “merito” è pure dell’elevato livello di tasse che bisogna pagare. E che molti magari non pagano neppure, privando lo Stato di importanti risorse. Bisognerebbe attuare un vero e proprio “shock fiscale”, come ha fatto Trump negli Stati Uniti. Nello stesso tempo, ridurre il numero di aliquote porterebbe ad una semplificazione dell’intero sistema. Semplificazione massima, nel caso l’aliquota fosse unica.

Secondo alcuni, il modello della “flat tax” contrasterebbe con la Costituzione in quanto non informato a “criteri di proporzionalità”. Noi, tuttavia, non vediamo tutta questa incompatibilità con i dettami della Carta. Prevedere una “no tax area” (in pratica, aliquota 0%) per i redditi più bassi e uno scaglione unico (20% ad esempio) per tutti gli altri, non è forse un caso particolare di tassazione informata a criteri di proporzionalità? Se così non va bene, si potrebbe perlomeno ridurre il numero di scaglioni di reddito. E, contemporaneamente, mantenere una “no tax area” comunque meno ampia rispetto agli altri scaglioni. In questo modo si disincentiverebbero persone e imprese a dichiarare redditi minori, o addirittura inferiori al minimo tassabile.

La lotta all’evasione, fra l’altro, oltre che incentivando famiglie e imprese a pagare, si attua anche disincentivandole a non pagare. Ad esempio, tramite un inasprimento delle pene per evasori ed elusori. Così ognuno, facendosi due conti, in generale sarebbe portato a pagare il dovuto senza nascondere nulla al fisco. Gran parte del nero e del sommerso emergerebbe, colpendo più o meno indirettamente anche chi si arricchisce con gli affari illeciti. Forse colpirebbe perfino la criminalità organizzata. E lo Stato diventerebbe più forte, avendo più risorse a disposizione per implementare maggiori servizi ai cittadini e di miglior qualità. Guardate gli Stati Uniti di Trump… Ci hanno forse rimesso qualcosa dalla riduzione fiscale? L’economia americana non è mai andata così bene negli ultimi 50 anni… Questi sono i fatti. Il resto è chiacchiera.

Diminuendo le tasse e consentendo a tutti di pagare in base alla propria capacità contributiva, forse si ridurrebbero anche i casi di corruzione. In quanto sarebbe più facile ottenere legalmente quello che oggi alcuni cercano di ottenere illegalmente, sotto banco, corrompendo. Mantenendo tasse elevate, infatti, lo Stato riceve meno risorse di quelle che pensa di ricevere. E offre meno servizi di quelli che pensa di offrire. E dove non arriva lo Stato, arriva l’illegalità. L’illegalità conquista aree sempre più vaste, poiché lo Stato riesce a tutelarle sempre meno. E la criminalità organizzata continua ad arricchirsi, a fronte di uno Stato sempre più povero e debole. Per questo diminuire le tasse e semplificare il sistema della tassazione sarebbe un bene. E sarebbe un bene per tutti.

La riforma fiscale proposta dalla Lega (o meglio, da tutto il centrodestra) dovrebbe essere presa in considerazione da ciascun esponente dell’arco parlamentare. Significherebbe non solo dare respiro alla nostra economia, ma anche mandare un segnale forte contro la criminalità organizzata. Lo Stato dovrebbe essere l’unico a realizzare servizi pubblici. Ricorrere a pratiche illegali, o persino criminali, non dovrebbe essere la norma. Chi ricorre a tali pratiche dovrebbe essere punito con la massima severità. Ma ciò può esser fatto solo da uno Stato forte, cioè in grado di incentivare al massimo i suoi cittadini alla legalità. E la legalità si raggiunge anche attraverso un’ottimizzazione del sistema fiscale. Non in modo meramente moralistico, ma con provvedimenti reali e concreti. Non incrementando le tasse fingendo di sperare che tutti le paghino, piuttosto incentivando tutti a pagare anche riducendo le tasse. Perché i servizi e i diritti valgono per tutti i cittadini. E costano.

Da molte parti, proprio nei confronti della Lega, piovono critiche per presunti contatti con alcuni esponenti legati alla criminalità. In realtà più dal Pd che dai Cinque Stelle, ultimamente: forse i pentastellati, soprattutto dopo le ultime elezioni, hanno capito che maneggiare la spada dell’onestà non è poi così agevole. Specie se prima appoggi la candidatura al Ministero dell’Economia di un soggetto che ha patteggiato una condanna per bancarotta… E dopo, in campagna elettorale, fai lo scandalizzato perché proprio su di lui sono uscite delle intercettazioni “compromettenti”. Specie se poi nelle tue stesse fila risultano persone indagate per reati vari. Ovviamente anche il Pd dovrebbe pensare ai suoi indagati. A quelli legati alle vicende della Sanità in Umbria, per esempio… A quelli coinvolti nel “caso magistratura”… Certi ancora insistono a ricordare i 50 milioni di fondi non rimborsati dalla Lega… Però dei vecchi 150 milioni del Pd non parla più nessuno!

Strano che, soprattutto da sinistra, la “flat tax” sia osteggiata perché “fa pagare meno ai ricchi e più ai poveri”… Quando ultimamente, in Italia, proprio i governi di sinistra hanno favorito i ceti medio-alti più di quanto abbiano favorito quelli bassi. Ridurre le tasse, in questo momento, vorrebbe dire promuovere anche un minimo di giustizia sociale. Soprattutto a favore dei più bisognosi. Il marcio sta dappertutto, non esiste un partito dell’onestà e mai esisterà. Le politiche a favore dei poveri invece… quelle sì che ci aspetteremmo di trovarle da una certa parte! Storicamente la sinistra nasce come espressione dei bisogni delle classi meno agiate. Da tempo, tuttavia, pare che abbia preso l’abitudine di strizzare l’occhio al grande capitale. Poi non stupiamoci se oggi i grandi centri e i “quartieri bene” votano a sinistra, mentre le periferie votano a destra.

Quando votavano a sinistra, i ceti bassi erano considerati “poveri”. Ora che invece votano a destra, li si considera “primitivi” perché voltano le spalle al “progresso”. Ma i loro voti di certo non puzzano. E per riconquistarli si è disposti perfino a cambiare di nuovo maschera. Dicendo, ad esempio, che la tassa piatta favorirà i più ricchi… Son tutti bravi a pontificare, finché si sta all’opposizione del sistema!

Vostro affezionatissimo PennaNera

 

Prostituzione. Dell’inutilità del moralismo

Ave Socii

Il settore del divertimento è uno di quelli che sta andando per la maggiore, nella parte opulenta del mondo. Anche grazie ai tentativi, sempre più pressanti, di liberalizzazione di interi segmenti di mercato altrimenti in mano alle associazioni criminali. E’ davvero sempre positivo cercare di togliere potere ai criminali, semplicemente liberalizzando attività inizialmente in mano loro? Alcuni suggeriranno di prendere a modello l’Olanda e di osservare i successi ottenuti nel contrasto allo spaccio di droga. Ma non è tutto oro quel che luccica. Probabilmente alcuni olandesi non apprezzano tutta questa “libertà di sballo” portata dal libero consumo delle droghe “leggere”. Probabilmente la questione dello sfruttamento illegale della prostituzione nei quartieri a luci rosse è tutt’altro che risolta. Probabilmente in Olanda hanno liberalizzato troppe cose. Ma in genere questo non viene detto…

I mercati controllati dalla criminalità si possono anche regolamentare, nessuno lo vieta. Purché poi si facciano i dovuti controlli. Come per la regolamentazione della prostituzione. Se nessuno controlla, l’intento di evitare lo sfruttamento illecito della prostituzione non si realizza e i criminali continuano a regnare tanto quanto regnavano prima. Tuttavia i controlli costano. E’ dunque necessario, per ottimizzare le risorse, scegliere con attenzione cosa liberalizzare e cosa no. Non si può avere tutto, quando le risorse scarseggiano. Neanche quando in gioco c’è la sacrosanta libertà di divertirsi. Non è moralismo, è realismo. E se proprio vogliamo regolamentare il divertimento, scegliamo tipologie di divertimento meno artificiali possibile. I divertimenti naturali sono i più democratici che esistano: non hai bisogno di nulla, fuorché del tuo corpo.

Perché impedire di usufruire dei divertimenti davvero naturali, quando si fa del tutto pur di far passare quelli artificiali e indotti dalle sostanze? Fra i due, noi preferiamo di sicuro regolamentare il divertimento naturale. Perché tanta attenzione riservata solo alle “droghe leggere”? Quando si potrebbe fare benissimo la stessa cosa con la prostituzione? Anzi, regolamentando la prostituzione forse la salute collettiva e l’ordine pubblico ne gioverebbero pure. Difficilmente, invece, ne gioverebbero legalizzando le droghe. Spesso chi vuole la regolamentazione del mercato dello spaccio, non si mostra altrettanto “liberale” riguardo la prostituzione. Spesso chi da un lato inneggia all’antiproibizionismo, dall’altro veste inspiegabilmente i panni del moralista. Vendere droga è forse meno immorale che vendere il proprio corpo?

Deprecabile, a nostro avviso, dovrebbe essere invece il fatto che ragazzine di 13 anni già indossano abiti succinti e si truccano pesantemente. Perché qui i sostenitori del femminismo e dell’antiproibizionismo non si scandalizzano? Che tipo di modelli imitano, queste ragazzine? Speriamo non le loro madri! Chi è maggiorenne può fare quel che vuole della propria vita, ovviamente nei limiti della liceità. Anche vendere il proprio corpo in piena libertà, a nostro avviso. Se dobbiamo proprio fare lezioncine di morale, sarebbe più opportuno farle ai minorenni quando siamo ancora in tempo per farci ascoltare. Ma i minorenni assorbono più facilmente ciò che vedono e sentono attorno a loro. Ciò che è buono come ciò che è cattivo. E poi, scimmiottando i valori propugnati dai loro modelli adulti, li estremizzano e mettono “alla prova” la coerenza della società, per vedere fin dove la società stessa tollera che ci si spinga.

La società manda messaggi ambigui e contrastanti… Prima esalta l’apparenza, il farsi vedere, il dare un’immagine di sé attraente, il sex appeal… Poi si scandalizza dinanzi alle donne di facili costumi. O dinanzi alle “ragazze oggetto”. O dinanzi alle pubblicità in cui le donne posano in atteggiamenti provocanti. O dinanzi a comportamenti che esaltano il maschilismo o il “machismo”. Nessuno di noi saprebbe prendere una posizione chiara e netta, dinanzi a comportamenti del genere. Forse tali atteggiamenti un po’ ci piacciono anche. Sotto sotto, oppure anche più in superficie, ad ogni uomo piace vedere una donna in forma e provocante. E ad ogni donna piace vedere un uomo possente e sicuro di sé. Influenze della società o caratteristiche naturali? Chi lo sa…

Ogni essere umano, in buona sostanza, sembra provare attrazione per chi “si vende”. Gli uomini, forse, perché alla ricerca di sicurezza. Le donne, forse, perché alla ricerca di attenzioni. Quando ci sono di mezzo i bisogni umani, il moralismo è utile quanto una penna priva di inchiostro. Se una persona fa di tutto pur di attirare l’attenzione, magari arrivando a vendere il proprio corpo, probabilmente questa è la strategia che meglio si adegua alle sue esigenze di attenzione da parte degli altri. Se la correzione di determinate strategie non è arrivata in tenera età, in età matura nessuno più gliele toglierà. Ovviamente c’è pure chi si vende per necessità e magari non ha di questi problemi di autostima… Riguardo tutte queste persone, comunque, vale la stessa domanda: perché rischiare che del loro corpo benefici la criminalità?

E allora, piuttosto che condannarle ad una vita di inutili pregiudizi, giudizi ipocriti e sensi di colpa, perché non consentire loro di vendere il proprio corpo in piena libertà e consapevolezza? Magari non in mezzo a una strada. Magari con qualche protezione in più. Magari con maggiori tutele anche per i potenziali clienti, oltre che per loro stesse. Magari consentendo loro, tramite un lavoro regolare, anche di raggiungere una sorta di realizzazione personale. Forse non è la priorità, ma lo Stato dovrebbe regolamentare il mondo della prostituzione. Ne beneficerebbe esso stesso. Anche se ciò farebbe arrabbiare non poco le associazioni criminali, che di punto in bianco si vedrebbero togliere il monopolio su un segmento di mercato redditizio. Con le droghe sarebbe diverso, il potere dei narcotrafficanti rimarrebbe sempre ben saldo. Forse è per questo (lo diciamo con un pizzico di malizia) che qualcuno spera così tanto nella liberalizzazione delle droghe.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Divertimento e crisi dei valori

Ave Socii

Oggidì nella Chiesa si parla spesso di “crisi delle vocazioni”. Forse i valori cristiani non attraggono più come un tempo. Ma se c’è un settore che non sembra conoscere mai crisi, specie negli ultimi tempi, questo settore è il divertimento. Il buon andamento delle industrie del divertimento, guarda un po’, sembra andare di pari passo con la crisi dei valori tradizionali. Come dire: in mancanza di sicurezze nel futuro, si esalta l’effimero. Forse qualcuno spera pure, nei momenti di crisi, di elevare il divertimento ad unico vero credo. Nei momenti di crisi, il divertimento sembra operare una vera e propria sostituzione di valori ormai passati di moda. La “religione del divertimento” non pare conoscere crisi di vocazioni.

Il divertimento è una sacrosanta componente di ogni società, più o meno “progredita”. Esso si contrappone al dovere, elemento opposto ma complementare. Il divertimento è fisiologico quando nessuno dei due elementi prevale sull’altro. Una persona sempre impegnata in mille faccende, che non si diverte mai, è una persona malata di dovere. Così come una persona che si diverte sempre, senza mai assumersi impegni seri, è una persona malata di divertimento. E qui rientriamo nella patologia, nella fede cieca e persino intollerante. Rientriamo addirittura nell’odio nei confronti di determinate categorie di persone: quelle che hanno avuto successo nella vita. Tutti vorrebbero avere successo. Ma non tutti riescono a mantenerlo nel tempo. Chi ha fede cieca nel divertimento, per l’appunto, vuole il successo ma fatica a mantenerlo. Lo vuole tutto e subito. Domani è un altro giorno…

Talvolta questa fede esagerata nel divertimento sembra assumere i connotati di una vera e propria crociata verso i “migliori”, da parte dei “mediocri”. Da parte di chi nella vita non riesce a combinare alcunché per il proprio futuro. Perché non è capace di pianificare e organizzare un bel nulla, se non vivere alla giornata. Nei momenti di crisi, quando le certezze crollano, questi mediocri spuntano fuori come funghi. Rincuorati e ringalluzziti, perché possono finalmente dire di non essere gli unici al mondo a fallire, iniziano a ribadire che tutto è relativo e che la vita va vissuta giorno per giorno. Che nella vita molte volte conta divertirsi, come se non ci fosse un domani. E che chi non crede nel loro divertimento è un frustrato sfigato. Perché tanto il domani sarà tutt’altro che roseo, dunque perché rinunciare a questa dose di divertimento?

Molti, in realtà, si convertono al divertimento per celare un’intima sofferenza interiore. Per tentare di soffocare i loro complessi di inferiorità e impotenza di fronte a chi considerano migliore di loro. Forse sono le persone più belle al mondo, questi “sofferenti”, ma ce la mettono tutta pur di apparire brutte. E spesso ci riescono benissimo. Assumendo magari comportamenti a rischio, costoro sperano di ottenere le attenzioni delle persone a loro più vicine. Talvolta, arrivando a mettere in gioco la loro stessa vita, sperano pure di lasciare un perpetuo senso di colpa nelle figure che “avrebbero duvuto amarle di più”. Cosa sono, i comportamenti a rischio, se non lenti e progressivi tentativi di suicidio, un mettere a repentaglio la propria vita, un rendersi “potenziale vittima” per mettere alla prova l’istinto protettivo delle figure significative?

Queste “vittime” vogliono farci credere che se hanno comportamenti rischiosi, la colpa non è di loro che si comportano così. Perché loro sono persone belle. La colpa è invece delle “autorità”, che hanno “pregiudizi” verso di loro e che “giudicano”. Persone brutte e cattive, dunque. Le “vittime” non si sentono mai responsabili di nulla. Sono le figure significative, dicono, che dovrebbero amarle di più. E’ il “bisogno di amore” che le “povere vittime” vorrebbero far pesare alle figure significative, tenendole “sotto scacco”. Tuttavia, se davvero costoro hanno bisogno di aiuto e amore e sono davvero persone “belle”, perché a volte fanno tanto i preziosi e continuano a farsi vedere “brutti”? Avere comportamenti a rischio è patologico, è credere ciecamente nel divertimento compulsivo.

Il divertimento compulsivo genera una società di depressi. Chi del divertimento fa proseliti, come trapper e spacciatori, incita i suoi affiliati a mettere in dubbio i rapporti con le figure significative. Con quegli sfigati e frustrati che costituiscono l'”autorità”. Perché nella vita c’è bisogno di divertirsi. Chi non si diverte è un depresso, un frustrato, uno sfigato. I sacerdoti del divertimento invitano i loro fedeli a mettere in discussione l’autorità, agendo sul senso di colpa. Il senso di colpa costituisce il braccio della potenza col quale il depresso fa leva sull’altro per ottenerne le attenzioni. Ed è spesso difficile, per le figure significative, mettere la parola “fine” a un legame divenuto ormai patologico.

I fedeli del divertimento compulsivo, invece, hanno già da tempo detto basta ad un rapporto sano con le precedenti figure significative. Tanto c’è la droga a colmare questo vuoto. La depressione non sarà per loro un problema, finché c’è la droga. E il loro crescente senso di colpa sarà alleviato da quantità sempre crescenti di sostanza. Ormai trapper e spacciatori avranno già preso da un pezzo il posto dell’autorità. In nome non della ricerca di relazioni sane, ma della degenerazione sociale e del denaro. Cosa resta da fare, dunque, alle precedenti figure significative? Una cosa sola: lasciar perdere. Avere il coraggio di recidere il rapporto, così come tempo prima ha avuto il coraggio di fare la controparte. Sappiamo che è doloroso a pensarsi, ma il dolore è sopportabile quando uno sa di aver dato tutto se stesso per evitare che alcuni percorressero certe strade.

Certamente la decisione di cui sopra non si prende mai a cuor leggero. I cosiddetti “buoni” dicono di dover stare vicino a chi sbaglia, di aiutarlo a “rientrare in sé”. In pochi, invece, dicono di lasciarlo al proprio destino perché pare una cosa crudele, da persone “cattive”. Ma noi ribadiamo: se c’è qualcuno che davvero merita l’appellativo di “cattivo”, non è chi ha cercato di aiutare e ora non lo fa più perché esasperato. E’ invece chi mette continuamente alla prova le figure significative. E’ chi ha sbagliato e continua imperterrito a sbagliare. E’ chi incita alla perseveranza nello sbaglio, in nome del divertimento e del guadagno. E’ chi non ha nulla da insegnare al mondo, perché mediocre dentro. Da chi ha sbagliato e non cambia mai, non abbiamo nulla da imparare. Da chi ha sbagliato e nonostante ciò ha la forza di cambiare, abbiamo tutto da imparare.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Morte e vita. Il diritto e la pena

Ave Socii

La vicenda della ragazzina olandese che ha deciso di darsi la morte, perché provata dal male di vivere, ha riacceso il dibattito sull’eutanasia. Chi si professa “progressista” crede che il progresso passi anche per la “buona morte”. Certo, consentirla a delle ragazzine minorenni forse non è il massimo. Anche l’Olanda, in realtà, ha norme piuttosto stringenti su questo tema.

Decidere di morire, perché si è stanchi di vivere… Se la “buona morte” ha un qualche senso, crediamo debba limitarsi ai soli casi di malattie terminali e malattie per le quali non esiste alternativa diversa dall’accanimento terapeutico. Di certo non dovrebbe servire per curare casi di depressione. Così l’aborto, se ha un qualche senso, dovrebbe limitarsi ai soli casi di rapporti sessuali non consenzienti. E ai casi di malattie gravi dell’embrione. E dovrebbe essere praticato, comunque, entro tempi non troppo lunghi dalla fecondazione.

Forse stiamo perdendo il “senso della vita”, presi come siamo dal “senso della morte”. Preferiamo tutelare chi sceglie di morire, invece di supportare chi vorrebbe scegliere di vivere. I fascio-buonisti, dall’alto del loro senso di progresso, premono per una regolamentazione delle “pratiche di morte”. Se per loro il concetto di vita è così relativo, allora per quale motivo non sono altrettanto pressanti in tema di pena di morte per i criminali? Va bene battersi per il diritto a una vita dignitosa. Però, a questo punto, non dimentichiamoci della dignità di vivere. E di chi, forse, per quel che ha combinato non merita una tale dignità.

Speriamo che mai nessuno debba morire per mano d’uomo, ci mancherebbe. Però, se proprio qualcuno deve perdere la vita in questo modo, preferiamo siano i colpevoli e non gli innocenti. Pensate che strani che siamo! I “politicamente corretti” cosa dicono, invece? Pena di morte per i criminali no, aborto e eutanasia sì… Saremo noi fuori dal mondo, ma questo ci pare un po’ un controsenso. Perché se un privato sceglie di morire va tutto bene… e se invece è lo Stato a decidere che uno deve morire, perché ha violato determinate leggi, ripiombiamo nel buio Medioevo?

E così, in nome del progresso, dobbiamo liberalizzare anche la morte… Così comanda la “retta dottrina” dei fascio-buonisti. Noi abbiamo un’idea di progresso diversa. Per noi una società è progredita se ognuno dei suoi membri si assume le responsabilità di ciò che fa. Chi nega il diritto alla vita di una persona, dovrebbe sapere che di quel medesimo diritto può anche essere privato. Non da un altro individuo, sia chiaro, ma dallo Stato. Anche gli aborti e i suicidi assistiti sono negazioni della vita. Per “giusti motivi”, ci mancherebbe… ma anche lo Stato può avere “giusti motivi” per privare qualcuno della vita, non solo i singoli. L’intervento dello Stato, anzi, potrebbe pure distogliere gli individui dal desiderio di farsi giustizia da sé, prevenendo il sorgere di eventuali faide e contribuendo ad abbassare il livello di tensione sociale. Lo Stato dovrebbe essere l’unico legittimato a compiere simili atti “di giustizia straordinaria”.

Noi vorremmo uno Stato in cui le pene siano certe e servano alla “rieducazione del condannato”, come raccomanda anche la Costituzione. Rieducazione finalizzata al reinserimento del reo nel tessuto sociale. In questo senso, l’ergastolo è forse la pena più inutile che esista… Fine pena mai, nessuna possibilità di ritorno alla vita sociale, quindi nessuna finalità rieducativa… Un posto in galera occupato a vita da un tizio che, nella maggioranza dei casi, trascorre i suoi giorni a meditare una strategia di fuga oppure il suicidio (che poi non è altro che una particolare strategia di fuga)… Ergastolo spesso commutato in altra misura perché magari il condannato ha dato di matto, oppure per “buona condotta”… Alla faccia della certezza della pena… E il tutto a spese dello Stato.

La Costituzione stessa, nella sua prima formulazione, prevedeva la pena di morte in casi eccezionali. Un tempo perfino la Chiesa condannava a morte i suoi colpevoli. Formalmente, lo Stato Pontificio ha abolito la pena di morte solo nel 2001. In realtà, tuttavia, le ultime condanne risalgono a circa due secoli fa. Ora la Chiesa, coerentemente, condanna espressamente qualsiasi forma di “negazione della vita”, che sia aborto o pena di morte o eutanasia. D’altro canto, uno Stato che ha tempo di interrogarsi sull’introduzione della “buona morte”, secondo noi, dovrebbe interrogarsi anche sull’introduzione della “pena di morte”. Sembrano ora riecheggiare a nostro sfavore le parole dell’illuminista Beccaria: perché lo Stato dovrebbe prevedere la morte come pena, quando la condanna come reato?

Eppure il nostro ordinamento non può non prevedere fattispecie di reati riguardanti, in un modo o nell’altro, il concetto di “morte”. Tutti noi saremmo contenti se non vi fossero omicidi, ma evidentemente la realtà dei fatti è un po’ diversa. Qualcuno potrebbe dunque obiettare a Beccaria: perché la morte può comunque esistere come reato, all’interno di uno Stato che la aborrisce addirittura come pena? Le considerazioni di Beccaria sulla pena di morte, perciò, dovrebbero essere ribaltate: se è sbagliato aborrire la morte solo come reato e prevederla comunque come pena, perché dovrebbe essere giusto aborrirla solo come pena e prevederla comunque come reato?

Siamo dell’idea che uno Stato davvero progredito debba prevedere la pena di morte per reati particolarmente efferati, che violano gravemente specifici diritti di rilevanza costituzionale. Vogliamo incominciare a ristabilire un po’ di certezza della pena? Ebbene, pena più certa di questa non esiste davvero. Chi nega la vita altrui dovrebbe sapere che può incorrere nel medesimo trattamento. Però non vogliamo la legge del taglione. Crediamo sia comunque opportuno dare un “tempo di recupero” al reo, per consentire la sua responsabilizzazione e “rieducazione”. Qualora poi il reo non sfruttasse adeguatamente questa possibilità, lo Stato potrebbe sempre prendere i dovuti provvedimenti. Fossimo noi lo Stato, arrivati a questo punto preferiremmo senza dubbio giustiziare il colpevole piuttosto che rischiare, per causa sua, di piangere altri innocenti.

Probabilmente non tutti condivideranno le nostre posizioni, i temi qui affrontati sono particolarmente delicati. Ma noi siamo per la cultura libera e per la libera espressione del pensiero. Neanche noi condividiamo le posizioni di alcuni, in merito a questi argomenti. Tuttavia le rispettiamo e auspichiamo un confronto costruttivo nel rispetto reciproco. Speriamo che pure il dibattito politico trovi al più presto una sintesi positiva e coerente fra le varie istanze.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Giustizia italiana. Un mondo tutto da riformare

Ave Socii

Controllare i controllori. Quando si è in presenza di un organo deputato al controllo, c’è forse motivo di dubitare della serietà e imparzialità dei suoi componenti? Tutti noi vorremmo che la risposta fosse no… Ma alla luce anche dei recenti “scandali” che stanno colpendo la magistratura italiana, forse ci domandiamo se chi controlla necessiti a sua volta di essere controllato.

Da più parti, e da molti anni, si parla di “riforma della giustizia”. Secondo noi, sarebbe necessario rivedere più in generale il ruolo di ogni organo di controllo. Compito non certo facile, visto che già nei tempi antichi qualcuno si domandava “chi controlla i controllori?”… Chi riveste ruoli di controllo e non è a propria volta controllato da nessuno, potrebbe abusare indiscriminatamente del potere conferitogli dalla carica che riveste. Inventare organi di controllo superiori complica il problema, invece di risolverlo. I controllori superiori controllano gli inferiori, ma chi controlla i superiori? Un nuovo organo di controllori collocato ancora più in alto? Ma poi chi controllerà questi ultimi? E così via, all’infinito.

E’ evidente che il “metodo gerarchico” fin qui descritto non è il massimo. E’ dunque necessario riflettere sulla possibilità di introdurre altre modalità di controllo. Magari di controllo “fra pari”. Se si motivasse adeguatamente le parti a controllarsi a vicenda, forse, si eviterebbero eclatanti abusi di potere. Nella Roma repubblicana, i consoli erano due proprio perché l’uno controllasse l’operato dell’altro e viceversa. Tornando ai giorni nostri, il sistema parlamentare italiano prevede che vi siano due Camere aventi i medesimi ruoli e poteri. Ognuna delle due Camere si autogoverna e stabilisce il proprio regolamento interno (cosiddetta “autodichia”). Non sarebbe più opportuno, invece, che l’una stabilisse le regole dell’altra e viceversa?

Si parla tanto di conflitto di interessi. Quello citato sopra potrebbe essere un esempio. Ma se esiste un conflitto di interessi davvero grave, forse è quello per cui l’organo dei controllori, la magistratura, si autogoverna. Quello per cui un giudice viene giudicato da un altro giudice. Un suo “simile”, diciamo così. E per gli amici, ovvero i simili, le regole spesso si interpretano nel senso più favorevole possibile. Alla faccia dell’imparzialità. E spesso l’incompetenza del Legislatore moderno contribuisce ad allargare in misura indeterminata le possibilità di interpretazione delle leggi da parte del potere giudiziario.

Fare in modo che esistano organi di controllo “alla pari”, che insistono cioè sui medesimi interessi, potrebbe essere una soluzione al problema. Il conflitto d’interessi dovrebbe essere esternalizzato, cioè ricondotto ad organi differenti, invece che rimanere internalizzato nel medesimo organo. Creare organi superiori, per l’appunto, è inutile poiché ripropone al proprio interno le medesime tipologie di conflitti. Se proprio deve esistere un “organo superiore”, questo dovrebbe accogliere al suo interno rappresentanti delle varie istanze di un sistema. Ognuna delle parti, rappresentative delle varie istanze, propone le condizioni cui le altre parti dovrebbero attenersi per salvaguardare al meglio i loro interessi. In sede congiunta, poi, si effettua una sintesi delle posizioni. Questo ci pare il metodo più corretto per trattare il problema del controllo. Una sorta di applicazione della teoria dei giochi.

Spesso anche i membri di diversi organi vengono scelti in rappresentanza dei poteri di un sistema. Si pensi ai componenti della Corte Costituzionale, scelti in egual numero dai tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario). In presenza di conflitti fra questi poteri, ogni organo deputato alla risoluzione di tali conflitti dovrebbe accogliere rappresentanti di tutti i poteri coinvolti. Il Consiglio Superiore della Magistratura accoglie membri togati e laici, ma forse non basta. Perché ogni membro sia egualmente motivato a perseguire gli interessi della propria parte, dovrebbe essere ricompensato a partire dai risultati positivi conseguiti dalla parte che rappresenta. E, al contrario, penalizzato in base ai risultati negativi.

Il tema della “responsabilità civile dei magistrati” è collegato a quanto detto prima. L’innocente che abbia subito un processo lungo e ingiusto, dovrebbe essere risarcito direttamente dai rappresentanti del potere giudiziario. Costoro dovrebbero rispondere delle loro mancanze. Ciò potrebbe ridurre il ricorso al loro strapotere di interpretazione. Se un magistrato pagasse per le sue omissioni, potrebbero anche ridursi i tempi della giustizia. Se i compensi dei giudici fossero inversamente proporzionali al tempo dei processi, forse si uscirebbe da una situazione che definire “farraginosa” è un’offesa agli eufemismi.

Evitare la presenza di organi di controllo superiori, magari, farebbe pure risparmiare dei bei soldini. Così come decidere i compensi in base ai risultati conseguiti e non perché “si ha diritto a quei compensi”. Ma dei bei soldi pubblici si risparmierebbero anche liberando parzialmente le casse statali dall’onere di stipendiare indistintamente tutti i rappresentanti della giustizia. In questa direzione potrebbe andare un provvedimento incentrato sulla liberalizzazione della giustizia civile. In particolare, tutto ciò che concerne i contenziosi fra privati dovrebbe essere gestito da mediatori giuridici, non necessariamente facenti parte dell’apparato statale. Sia chiaro, anche lo Stato potrebbe decidere in merito alla disputa fra privati. Ma forse, liberalizzando la giustizia civile, si eviterebbe l’attuale ingolfamento dei Tribunali.

Lo Stato dovrebbe avere rappresentanza, mediante magistrati propri, solo in sede amministrativa (nei contenziosi fra pubblico e privato) e in sede penale (al momento della violazione delle relative norme). In entrambi questi casi, la sfera pubblica persegue interessi diretti ed è motivata a farlo. Ma nei contenziosi fra privati, dove l’interesse pubblico spesso non è in gioco, il pubblico interviene senza alcuna motivazione. Ed ecco che i processi possono durare un’eternità. Ecco che le udienze possono essere rinviate di mesi. Ecco che i giudici possono godere di ferie spropositate rispetto ad altri funzionari pubblici.

A nostro avviso, per far sì che uno Stato divenga più efficiente, c’è bisogno di cambiare paradigma. Passare, cioè, dalla “ricerca di imparzialità” (che sovente coincide con “inerzia”) alla “ricerca di motivazione e interesse”. Fare in modo che ogni parte coinvolta si metta nei panni delle altre, scrivendo le regole necessarie al perseguimento degli interessi altrui e non dei propri. Perché nessuno può essere imparziale, mentre scrive le regole per se stesso. Solo rendendo interessati i suoi membri, lo Stato può sperare di funzionare meglio. Agganciare i benefici dei funzionari pubblici ai risultati da loro conseguiti, per esempio, potrebbe spronare i funzionari stessi ad impegnarsi di più. E la macchina dello Stato a muoversi più velocemente. Ma finché i controllori non pagheranno, finché continueranno a suonarsela e cantarsela a modo loro, dimentichiamoci pure una legge uguale per tutti.

Vostro affezionatissimo PennaNera

America first! Quanto può insegnarci la “dottrina Trump”?

Ave Socii

La maggior parte degli opinionisti affermava che l’America sarebbe andata a picco, se solo il magnate Donald Trump si fosse azzardato a metter piede alla Casa Bianca. Ora, a quasi tre anni dalla sua elezione a Presidente, l’economia degli Stati Uniti è ancora in corsa e la disoccupazione quasi nulla. Una bella e sostanziale differenza, rispetto alle catastrofiche previsioni degli opinionisti. Il segreto del successo di Trump? A nostro parere, la riscoperta del sovranismo americano.

“America first”. Questo è lo slogan che ha accompagnato tutte le principali misure adottate dall’amministrazione Trump. Forse era necessario che qualcuno risvegliasse il sovranismo americano, dopo la grande crisi del 2008. In linea generale chiudersi al mondo non è buono, ma farlo ogni tanto è tollerabile e persino auspicabile. In campo economico, ad esempio. “America first”, prima i prodotti americani. Prima i lavoratori americani. Prima le aziende americane.

Imporre dazi non è certo positivo, in un mercato globalizzato come quello in cui viviamo. Tuttavia nel breve termine può essere una strategia vincente. Specie se la bilancia commerciale pende ingiustificatamente a favore di certi Paesi. Imporre dazi alla Cina, scatenando guerre commerciali con chi vorrebbe imporci il consumo di beni taroccati e senza tutele, assume perfino un’aura di positività. Anche solo per cercare di ottenere condizioni migliori dal rapporto commerciale. Magari potessimo averlo noi, un potere contrattuale tanto influente!

L’America impone dazi alla Cina… E noi che facciamo? Stipuliamo accordi con la Cina. Eppure dovremmo sapere di che pasta sono fatti. Che magari fra “Made in Italy” e “Made in China” c’è un po’ di differenza. Pensiamo veramente di aver fatto una grande cosa, accordandoci con la Cina? Forse questa moderna “via della seta” sarà invece la “via della sottomissione” al gigante asiatico. Certi accordi dovrebbero essere attuati solo in una cornice europea. Sempre che l’Europa abbia interesse a tutelare il “Made in Italy”.

E’ naturale che prodotti maggiormente controllati siano acquistati a prezzi più alti. Questo li espone al rischio di concorrenza sleale da parte di prodotti a basso costo ma privi di ogni controllo. E i prodotti cinesi non sono certo rinomati per essere quelli di migliore qualità in circolazione. Identico ragionamento per i lavoratori. Forse ci sono italiani che lasciano volentieri i lavori più umili agli stranieri. Ma non è detto che sia sempre così. Spesso gli italiani sono costretti a lasciare il posto agli stranieri, perché impiegare lavoratori stranieri è più conveniente. Imporre dei dazi, a livello europeo, su prodotti e manodopera in concorrenza sleale non significa prevaricazione. Significa semplicemente ristabilire un equilibrio commerciale che allo stato attuale manca. Come Italia, purtroppo, non possiamo fare granché in questo senso. Ma i Cinque Stelle non lo sapevano?

Accordarsi con la Cina significa assumersi il rischio di subire l’invasione di prodotti e manodopera privi di tutele. I bassi costi di produzione sostenuti dalle imprese cinesi, a lungo termine, relegheranno le imprese italiane sempre più ai margini del mercato. Il rischio è quello di impoverire il mercato dei beni e il mercato del lavoro italiani. La complessiva perdita di valore del “sistema Italia”, infine, consentirà agli stranieri di “comprarci” a prezzi per loro sempre più convenienti. In parte sta già avvenendo da tempo, ma attraverso la nuova “via della seta” non è da escludere che l’invasione dello straniero accelererà il passo. D’altronde non possiamo che aspettarci questo, da un movimento vassallo della Cina e prostrato alla sua bandiera a cinque stelle.

L’America sovranista di Trump intende bloccare anche altri tipi di invasione, oltre quella economica della Cina. Prima fra tutte, quella dei migranti dal Messico. La costruzione del muro va ovviamente in questa direzione. Ma l’idea del muro, ricordiamolo, venne inizialmente caldeggiata da Clinton… Il quale non è certamente un repubblicano, meno che mai di idee trumpiane. E’ bene che soprattutto i democratici se lo ricordino. E con loro tutti i fascio-buonisti che si professano “dalla parte dei deboli”. Se il Messico è crocevia di immigrazione incontrollata e narcotrafficanti latinoamericani, è sacrosanto che gli Stati Uniti si difendano. Anche per l’Europa dovrebbe essere così. Trump ha persino evocato la pena di morte per gli spacciatori… Pensate che affronto, per i poveri fascio-buonisti!

Se esistono dei deboli da tutelare, crediamo siano le vittime e non i criminali. In questo senso, l’America è molto più avanti dell’Europa. Il diritto alla legittima difesa è scolpito perfino nella Costituzione degli Stati Uniti. Le critiche alla diffusione delle armi sono altrettanto legittime, per carità. Purché non si facciano passare le vittime per carnefici e i carnefici per vittime. Chi si difende non è mai da considerare carnefice. Mai. E invece si inventano mille questioni morali.

Da noi si approva un testo sulla legittima difesa e subito i fascio-buonisti evocano il “far west”… Fino a prova contraria, la legittima difesa vale all’interno della proprietà. Nessun privato cittadino sarà mai legittimato a camminare per strada con una pistola in tasca. La legge non incita a sparare per strada, come forse qualcuno vorrebbe insinuare. A dirla tutta, la legge non incita nemmeno a sparare dentro casa. Un individuo, nella sua proprietà, dovrebbe essere libero di difendersi come vuole. Anche un coltello da cucina può costituire un’arma. Allora cosa dovremmo fare, per evitare il “far west”? Evitare l’acquisto di coltelli da cucina?

Dovremmo imparare molto dalla dottrina di Trump. Come Italia ma, soprattutto, a livello di Europa. Perfino in tema di ambiente, sul quale forse il Presidente assume le posizioni più controverse e meno condivisibili. Il successo dei Verdi alle recenti elezioni europee indica che Trump ha ancora molto da insegnarci. Se per tutelare l’ambiente bisogna bloccare l’economia, allora certamente non abbiamo capito nulla. Dietro ad ogni bella idea, in realtà, c’è sempre l’interesse di qualche particolare gruppo di influenza. La difesa dell’ambiente, talvolta, può anche costituire il tramite per la difesa dei privilegi dei soliti. Potrebbe sembrare strano… Ma un vero sviluppo sostenibile dovrebbe essere implementato nell’interesse di tutti. Non nell’interesse dei signori del petrolio.

Vostro affezionatissimo PennaNera