Magistrati intercettati, democrazia mutilata

Ave Socii

“Salvini ha ragione, ma va attaccato”… Da queste poche parole, intercettate dal telefono di un magistrato, si comprende che la magistratura (o almeno, una parte di essa) non è poi così staccata dalla politica (o almeno, dalla parte sinistra di essa). E che il potere giudiziario non è poi così indipendente dagli altri poteri e viceversa. Evidentemente c’è qualcosa nel sistema che non funziona. E non da oggi, in realtà. Infatti è da più di venti anni, in Italia, che una certa parte di magistrati è solita muovere attacchi soprattutto verso il ramo destro del Parlamento.

Attaccare le politiche migratorie di Salvini e della Lega è, da diverso tempo ormai, lo sport preferito della sinistra. Prima, del Pd e dei partiti più a sinistra; ora, addirittura, pure dei Cinque Stelle (che sui migranti, almeno fino alla nascita dell’attuale governo, sembravano schierarsi con la Lega). Tuttavia il tema risulta alquanto spinoso. Chi si schiera dalla parte degli immigrati risulta piuttosto impopolare in questi tempi. Se però a schierarsi apertamente fossero dei magistrati, finora considerati “buoni, onesti e al di sopra delle parti”, allora qualche speranza di “acquisire popolarità” potrebbe pure sorgere.

Questo discorso può valere, tuttavia, solo finché i magistrati sono considerati “buoni onesti e imparziali”. Dalle recenti intercettazioni, invece, viene fuori uno spaccato della magistratura tutt’altro che positivo. Molti magistrati, dichiaratamente “di sinistra”, hanno apertamente sostenuto le idee del Pd non “secondo giustizia”, ma “secondo appartenenza politica”. Che vi fosse pericolo di una “deriva giustizialista”, di un “golpe giudiziario”, è affermazione tanto forte quanto probabile. E il fatto che nelle intercettazioni compaiano esclusivamente magistrati di idee sinistrorse e personaggi di sinistra, non fa che corroborare tale tesi.

Ultimamente, poiché sostiene idee piuttosto fuori dal mondo, la sinistra intercetta un elettorato alquanto magro. Acquisire popolarità entrerebbe di diritto fra i suoi interessi. E a quanto pare, pur di acquisire popolarità, non si badava nemmeno alla separazione dei poteri, calpestando deliberatamente i dettami della Costituzione. Non riuscendo a sconfiggere l’avversario nelle urne, la sinistra ha pensato bene di schierare dalla propria parte un manipolo di magistrati compiacenti. Sperando così di riuscire nel suo intento di governare l’Italia, stravolgendo ogni principio democratico. Questa è la cruda realtà. Realtà radicata in Italia già da diversi decenni, purtroppo. Speriamo che queste ultime vicende convincano tutte le forze politiche (specialmente quelle “con le mani in pasta”) del bisogno urgente di una seria riforma del sistema. A cominciare proprio dalla giustizia.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Terrorismo islamico e riscatti: l’Italia è sotto ricatto

Ave Socii

Perché in Italia non sono avvenuti (almeno finora) gli attentati terroristici verificatisi, invece, in altri Paesi a noi molto vicini? Un semplice favore del caso? O c’è dell’altro? Forse il nostro Paese fa comodo al terrorismo islamico in altro modo. Non come palcoscenico di attentati, ma di valori contrari alla democrazia, alla libertà e alla pace. Ne abbiamo avuto la prova in questi ultimi giorni, durante il rientro in Italia della giovane cooperante rapita in Kenya un anno e mezzo fa. Più o meno consciamente, con quella “passerella” abbiamo pubblicizzato una delle fazioni più feroci del terrorismo islamico.

Ovviamente è un bene che una ragazza poco più che ventenne sia tornata a casa. Quel che fa riflettere è la modalità con cui è stata riportata a casa. Si parla di un riscatto milionario. Il nostro Paese, giustamente, pone la vita al vertice della piramide dei diritti, così come tutti i Paesi occidentali. Chi di noi non sarebbe disposto a pagare qualsiasi cifra, pur di riavere indietro una vita umana? I terroristi questo lo sanno e, consci di impugnare il coltello dalla parte del manico, fanno leva sul nostro senso di impotenza per avere ciò che loro interessa.

L’Italia è solita risolvere rapimenti e simili eventi attraverso la pratica del riscatto. Se ciò, da una parte, è una forte garanzia di tutela della vita umana, dall’altra è pure un segnale di debolezza che inviamo all’estero. Segnale che il terrorismo islamico ha da tempo captato. C’è un altro modo per tutelare la vita umana, senza per forza cedere ai ricatti di soggetti senza scrupoli, la cui cultura spesso offende il diritto alla vita e la libertà delle persone? Sì, forse sì: chiedendo a chi invia persone in luoghi pericolosi, di assumersi le responsabilità delle sue scelte. D’altronde, se la nostra cultura difende la vita, difenderla dovrebbe essere compito di tutti. Non solo degli Stati, ma anche di una qualsiasi associazione umanitaria.

Quanto successo dimostra, invece, la totale subalternità della cultura occidentale (dell’Italia, perlomeno) alla cultura islamista più radicale. Con i soldi di quel riscatto, probabilmente il terrorismo finanzierà nuovi attacchi o attentati le cui vittime, un giorno, saremo costretti a piangere. Coi criminali non si tratta, soprattutto se a trattare deve essere uno Stato. Al massimo, se è proprio necessario trattare, la trattativa dovrebbe esser sostenuta da soggetti privati, come associazioni e simili. Nessuno può chiedere a degli inermi di “fare gli eroi”, se non ha i mezzi necessari per equipaggiarli in sicurezza. Specie in luoghi ostili alla cultura occidentale, impregnati dell’Islam più radicale.

Non raramente certe associazioni, ammantate di bei valori come il dialogo o l’integrazione, attirano giovani pieni di speranze ambizioni e ideali. Ebbene, se simili enti sono soliti predicare il dialogo e l’integrazione dei popoli, a maggior ragione dovrebbero farlo quando di mezzo ci sono diritti come la vita o la libertà. Motivo in più per renderle responsabili, appunto, della vita e della libertà dei loro “inviati”. Se i terroristi islamici vanno trattati “senza pregiudizi”, vadano loro a negoziare “senza pregiudizi” coi terroristi islamici. E senza scomodare gli Stati. Se poi non ne sono capaci, smettano di mentire a migliaia di giovani e ammettano una volta per tutte che l’integrazione con certe culture è impossibile.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Ripartenza fra tentativi di “normalità” e timori di nuovi contagi

Ave Socii

In tempi di coronavirus, persino sospendere alcuni diritti fondamentali è stato un attimo. Ovviamente in nome di un diritto al momento prevalente, come la tutela della salute. Molti si interrogano, e forse non hanno tutti i torti, se questa “privazione delle libertà” sia legittima. O se, al contrario, vi siano gli estremi per una violazione della Costituzione o, addirittura, le avvisaglie di una dittatura. E il governo accusato di prendere provvedimenti da regime, ironia della sorte, è lo stesso che diversi mesi fa nacque con l’intento di “evitare pericolose derive autoritarie”…

Detto questo, chiudere tutto è stato semplicissimo. Sarà altrettanto semplice riaprire? Certamente no. La ripartenza non è mai cosa semplice. Bisogna mantenere una visione a lungo termine del problema, evitare di procedere a tentoni, scegliere con ragionevolezza i criteri su cui basare la ripartenza stessa. In questa fase bisogna lasciare ampio margine di discrezione alle Regioni, o addirittura ai Comuni. Le decisioni prese a livello centrale, infatti, spesso non tengono conto delle esigenze dei singoli territori.

Ci sembra fuori dal mondo, ad esempio, costringere al blocco un Comune senza contagi da settimane, semplicemente perché la grande città capoluogo ha ancora almeno un caso di contagio. Far riprendere almeno la vita interna di quel Comune, controllando che nessuno vi entri o vi esca indiscriminatamente, ci pare un tantino più sensato. La ripartenza senza il coinvolgimento dei territori è impensabile e insostenibile, specie in un Paese vessato dalla burocrazia come il nostro.

Riaprire su base comunale, ancor prima che regionale, permetterebbe anche un più efficiente controllo dei contagi. I Comuni senza contagi da settimane non dovrebbero correre rischi se “lasciati liberi”. In caso di “imprevisti”, sarebbe comunque molto più facile circoscrivere il territorio di un piccolo Comune rispetto a quello di un’intera Regione. Per i Comuni più grandi, invece, si potrebbe riaprire sulla base di quartieri o municipalità. E’ evidente come la ripartenza sia un lavoro certosino. Non esauribile di certo con un provvedimento governativo. In realtà, già l’aver affidato al solo governo la chiusura dell’Italia (praticamente senza alcun passaggio parlamentare) si è rivelato piuttosto infelice…

In tutto ciò, dobbiamo tener conto anche dell’Europa. Non si sa, a dire il vero, se come ausilio o come intralcio. La ripartenza, secondo alcuni, non può non transitare per gli “aiuti europei”… Secondo altri, l’Europa finora ha solo perso tempo prezioso contribuendo ad aggravare la situazione… Per alcuni, bisogna attendere fiduciosi che l’Europa ci aiuti… Come se avessimo ancora del tempo da attendere, dopo circa tre mesi di emergenza… Per altri, la priorità è ridurre la burocrazia… Come se i governi, anche in passato, non avessero mai avuto questa “priorità”… Sappiamo cosa ne è stato di quelle belle parole, purtroppo…

L’auspicio è che la ripartenza venga gestita tenendo conto soprattutto delle istanze dei territori e delle categorie maggiormente in difficoltà. E che non si spacci per “prudenza” quel che spesso è solo inerzia o continuo rinvio. Nessuno pensi che si possa attendere ancora e “ripartire tutti insieme”. L’economia non aspetta. E l’Italia, con tutte le precauzioni, non vede l’ora di rimettersi in movimento.

Vostro affezionatissimo PennaNera