Trattative lunghe, Europa inerte

Ave Socii

Si è da poco concluso un accordo che la maggioranza dei commentatori definisce “storico”. Con esso, per la prima volta, i Paesi membri dell’Unione Europea hanno deciso di creare un debito comune per finanziare misure senza precedenti con cui affrontare il dopo-coronavirus.

Raccontata così, sembra che tutto sia andato per il verso giusto. Che abbiano vinto tutti. Che abbia vinto l’Europa, soprattutto, alla faccia di sovranisti e nazionalisti vari. In realtà però, queste trattative hanno rivelato tutta la fragilità dell’Unione. Nonché la sua stretta dipendenza dalle decisioni prese dai singoli governi nazionali. Ciò che dovrebbe far riflettere, inoltre, è che ad opporsi più tenacemente a questo accordo sono stati alcuni Paesi governati proprio da forze cosiddette “europeiste”.

Chiunque abbia a cuore l’Italia e la sua ripresa, desidererebbe che le cose stessero davvero come le raccontano Cinque Stelle e Pd. Ma non si può mentire agli italiani. I soldi promessi non ci sono e non si sa come verranno raccolti. E, ciò che più conta, ogni singolo Stato dell’UE deve approvare quell’accordo.

Quanto raccontato da Cinque Stelle e Pd su queste trattative “storiche” rischia di trasformarsi nell’ennesima menzogna di un governo incapace di decidere. Non è vero che “hanno vinto tutti”, visto che molti Paesi iniziano già a lamentarsi dell’accordo. E forse non è neanche vero che “ha vinto l’Italia”, visto che le decisioni su come spendere quei soldi dovranno necessariamente essere vagliate dagli altri Paesi dell’UE.

I soldi promessi, fra l’altro, arriveranno solo fra un anno. Ammesso e non concesso che arriveranno. Tutto dipenderà dalla capacità del governo di presentare piani di sviluppo credibili secondo l’UE. Inoltre, se a livello aggregato gli aiuti a fondo perduto superano i prestiti, per l’Italia ciò non si verifica. Per noi, al contrario, la quota dei prestiti supera (e non di poco) quella del fondo perduto. Segno evidente della diffidenza che alcuni in Europa nutrono nei confronti del nostro Paese.

Come si può notare, i tempi della UE non sembrano certo idonei ad affrontare celermente un’emergenza come il coronavirus. Non lo sono stati sin dall’inizio, in realtà. La locuzione “solidarietà europea” è certamente portatrice di un bello e auspicabile messaggio di unità. Ma più e più volte l’Europa ha dimostrato di essere tutt’altro che solidale nei nostri confronti. Anche durante quest’ultima emergenza legata al virus. Il fatto stesso che si sia ricorso a trattative estenuanti per raggiungere quest’ultimo accordo, la dice lunga su quanto limitata sia questa presunta solidarietà europea. Solo il tempo ci dirà se questa solidarietà è davvero genuina, o è solo l’ennesimo espediente per mascherare i soliti egoismi di certi Stati.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Autostrade e concessioni: l’eterno braccio di ferro tra pubblico e privato

Ave Socii

Perché uno Stato sia forte, settore pubblico e settore privato dovrebbero pervenire, se non ad una vera e propria alleanza, perlomeno ad una collaborazione costruttiva. La vicenda delle concessioni autostradali ci dimostra che spesso non è così. Avendo interessi spesso contrastanti, pubblico e privato procedono ognuno per conto proprio. Talvolta lungo direzioni diametralmente opposte.

La sfera di interessi del pubblico è fondata sul perseguimento dei diritti costituzionalmente rilevanti. La sfera di interessi del privato si basa, invece, sul criterio della massimizzazione del profitto. Il ruolo della politica, in questa “disputa”, dovrebbe essere quello di sintetizzare tutti gli interessi in gioco. E sintetizzarli, possibilmente, in tempi ragionevoli.

I continui rinvii in tema di autostrade hanno portato alla situazione che stiamo osservando ormai da giorni. Viadotti intasati, ponti costruiti e non ancora collaudati, caos sul tema delle concessioni… Evidente che le maggiori responsabilità siano della politica o, meglio, dell’assenza di politica. Il governo, più che decidere, preferisce rinviare su qualsiasi argomento. E questi sono i risultati…

Un tempo si sarebbe potuta addurre la motivazione che la colpa dei ritardi fosse “della Lega”… Peccato che ora il governo sia costituito da Cinque Stelle e Pd. E che il Ministero delle Infrastrutture, negli ultimi due anni, sia stato nelle mani prima dei Cinque Stelle, ora del Pd. Il continuo scaricabarile delle responsabilità evidenzia ancor più, qualora ce ne fosse bisogno, la necessità di una classe dirigente in grado di “decidere”.

Alcuni pensano che “liberalizzare tutto quel che si può” sia la soluzione più adeguata ed efficiente. Altri, invece, pensano che la soluzione sia accentrare interi settori dell’economia sotto il controllo statale. In realtà la linea più condivisibile, come già ricordato, potrebbe essere la collaborazione fra pubblico e privato. Una sintesi che tenga in debito conto gli interessi, egualmente rilevanti, di entrambe le parti. Nel caso delle autostrade, ad esempio, darle in concessione a chi garantisce manutenzioni adeguate a fronte di pedaggi contenuti e penali non troppo onerose.

Certo, molte volte trovare il giusto compromesso è più facile a dirsi che a farsi. Ma proprio questo dovrebbe essere il compito della politica: sintetizzare gli interessi in gioco. Non rinviare, ma decidere. Anche a costo di prendersi delle responsabilità.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Italia bloccata da un governo che non sa decidere

Ave Socii

Sono ormai diversi mesi che tutto il mondo ha a che fare col coronavirus. Praticamente tutti i governanti, all’inizio, hanno sottovalutato gli effetti della pandemia. Ma nella maggioranza dei casi, accortisi dei propri errori, hanno rimediato con provvedimenti drastici. Non solo in ambito sanitario ma pure, soprattutto, in ambito economico. In Italia ciò, purtroppo, non è mai avvenuto. Facendo finta che il nostro governo abbia gestito “discretamente bene” la questione sanitaria, riguardo a quella economica sembra di essere ancora fermi al palo. Miliardi e miliardi di euro che vengono promessi, ma all’atto pratico molte famiglie e imprese continuano a soffrire.

Il problema cruciale è, probabilmente, di esclusiva natura politica. Un governo composto di molteplici anime, ognuna con propri interessi e ambizioni, necessita di negoziazioni interne molto lunghe. Il che allunga notevolmente i tempi di attesa dei provvedimenti i quali, spesso, non sono che un’accozzaglia incoerente di belle intenzioni senza capo né coda. Non è un difetto esclusivo di questo governo, ma di qualsiasi governo di coalizione in cui ciascuna delle parti risulti determinate per la sopravvivenza del governo stesso.

Proprio per questo, tra le molte riforme che andrebbero portate avanti, una dovrebbe assolutamente riguardare il tema della legge elettorale. Modificare il sistema in senso prevalentemente maggioritario, sul modello delle Regioni, garantirebbe maggiore stabilità ai governi in carica. Di destra come di sinistra. L’accordo fra Pd e Cinque Stelle su un sistema proporzionale, invece, è destinato a condannare l’Italia alla perenne ingovernabilità. Il tutto pur di evitare di consegnare l’Italia all’avversario “sovranista”. In fondo, è sempre stato questo il collante in grado di tenere in piedi un governo così instabile.

Ma forse la richiesta di mantenere in vita questo governo proviene anche dal di fuori. Fra circa un paio d’anni, il Parlamento italiano sarà chiamato ad eleggere il prossimo Presidente della Repubblica. E all’Europa sarebbe certamente gradito un Presidente prono ai suoi voleri e senza alcuna macchia di “sovranismo”. Indire proprio ora nuove elezioni, d’altro canto, potrebbe effettivamente consegnare l’Italia ai “sovranisti” e ai “nemici dell’Europa”.

Ma a questo punto la domanda è: l’Italia è disposta ad attendere altri due anni di stallo, pur di arrivare ad eleggere un “europeista” al Quirinale? Perché finché dura questo governo, dura anche l’immobilismo di questo Paese. L’Italia non può permettersi di attendere ancora. Tenere in piedi un governo solo per paura del “sovranismo” appare, alla luce delle precedenti considerazioni, assolutamente insensato e forse ancor più dannoso dei presunti “effetti del sovranismo” per gli interessi nazionali. Persino per gli interessi degli “europeisti” più convinti.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Inginocchiarsi per un delinquente: la resa della civiltà

Ave Socii

Spesso i gesti simbolici valgono più di mille parole. In questi giorni, tutto il mondo è attraversato da proteste e manifestazioni contro il razzismo. E, soprattutto, il mondo sembra unirsi in un unico gesto: quello di inginocchiarsi nel ricordo di un uomo inerme, ucciso per mano di un poliziotto. Che l’evento sia accaduto negli Stati Uniti, patria dei diritti e delle libertà, fa certamente riflettere. Che quell’uomo sia un nero rende ancora più simbolico il gesto di inginocchiarsi (non certo per la stupidità dei “razzisti”, semmai per la propaganda degli “antirazzisti”). Ma che quell’uomo abbia molteplici precedenti penali, se permettete, fa riflettere ancor di più.

Un tempo ci si inginocchiava dinanzi a Dio, a un sovrano, a un signore… Ben poche erano le categorie di soggetti dinanzi ai quali era chiesto di inginocchiarsi. E, soprattutto, erano categorie di soggetti rappresentanti un qualche potere, terreno o ultraterreno che fosse. Poteri espressione di un ordine sociale verso cui i popoli erano chiamati a rispodere, dunque a tendere. Beh, oggi ci rendiamo conto (ma forse non è una novità) che valori sociali e poteri tradizionali sono stati sovvertiti. Se un tempo ci si inginocchiava dinanzi alla legge e all’ordine, oggi ci si inginocchia dinanzi all’eversione.

Che il Presidente Trump abbia arginato, nonostante COVID-19, la crescita della disoccupazione negli Stati Uniti passa in secondo piano, dinanzi a maree umane inginocchiate nel ricordo di un pluripregiudicato afroamericano. E poco importa se, durante queste manifestazioni, si verificano assembramenti, scontri e tafferugli: sono manifestazioni “per i diritti”, quindi provengono dai “buoni” della società. Poco importa se il mondo è dilaniato dal coronavirus e dalla crisi economica: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente. Poco importa se in Italia la crisi morde più che in altri Paesi: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente.

Soprattutto nelle società progredite, è diffusa l’idea che ogni persona abbia diritto a sempre nuove possibilità. Stranamente, l’idea che arrivati a un certo punto dare nuove possibilità sia inutile sembra stridere col concetto di “libertà” che tanto ci piace sbandierare. E allora, nell’immaginazione, diventa tutto possibile. Come in un romanzo moralista, il nemico deve diventare per forza amico. Non esistono più differenze e culture diverse, tutti si amano senza alcun pregiudizio. Buono e cattivo si confondono, con buona pace della giustizia, delle fondamenta del diritto e della stessa civiltà.

Mai come oggi il buonismo è l’oppio dei popoli. Ma dopo lo sballo, bisogna fare i conti con la realtà. Se gli immigrati commettono, in proporzione, più reati dei cittadini autoctoni, forse un problema di culture e di radici esiste. Forse chi è forzosamente trapiantato in altre culture ha maggiori probabilità di “reagire male”, dinanzi alla cultura che dovrebbe accoglierlo. Pur di non farci un bel bagno di realtà e ammettere che la totale integrazione è solo un bel sogno, preferiamo farci di buonismo e sognare un mondo senza differenze e divisioni. Oggi l’oppio che offusca il mondo si chiama “mettersi in ginocchio”. Attendiamo solo che il suo effetto finisca…

Vostro affezionatissimo PennaNera

Magistrati intercettati, democrazia mutilata

Ave Socii

“Salvini ha ragione, ma va attaccato”… Da queste poche parole, intercettate dal telefono di un magistrato, si comprende che la magistratura (o almeno, una parte di essa) non è poi così staccata dalla politica (o almeno, dalla parte sinistra di essa). E che il potere giudiziario non è poi così indipendente dagli altri poteri e viceversa. Evidentemente c’è qualcosa nel sistema che non funziona. E non da oggi, in realtà. Infatti è da più di venti anni, in Italia, che una certa parte di magistrati è solita muovere attacchi soprattutto verso il ramo destro del Parlamento.

Attaccare le politiche migratorie di Salvini e della Lega è, da diverso tempo ormai, lo sport preferito della sinistra. Prima, del Pd e dei partiti più a sinistra; ora, addirittura, pure dei Cinque Stelle (che sui migranti, almeno fino alla nascita dell’attuale governo, sembravano schierarsi con la Lega). Tuttavia il tema risulta alquanto spinoso. Chi si schiera dalla parte degli immigrati risulta piuttosto impopolare in questi tempi. Se però a schierarsi apertamente fossero dei magistrati, finora considerati “buoni, onesti e al di sopra delle parti”, allora qualche speranza di “acquisire popolarità” potrebbe pure sorgere.

Questo discorso può valere, tuttavia, solo finché i magistrati sono considerati “buoni onesti e imparziali”. Dalle recenti intercettazioni, invece, viene fuori uno spaccato della magistratura tutt’altro che positivo. Molti magistrati, dichiaratamente “di sinistra”, hanno apertamente sostenuto le idee del Pd non “secondo giustizia”, ma “secondo appartenenza politica”. Che vi fosse pericolo di una “deriva giustizialista”, di un “golpe giudiziario”, è affermazione tanto forte quanto probabile. E il fatto che nelle intercettazioni compaiano esclusivamente magistrati di idee sinistrorse e personaggi di sinistra, non fa che corroborare tale tesi.

Ultimamente, poiché sostiene idee piuttosto fuori dal mondo, la sinistra intercetta un elettorato alquanto magro. Acquisire popolarità entrerebbe di diritto fra i suoi interessi. E a quanto pare, pur di acquisire popolarità, non si badava nemmeno alla separazione dei poteri, calpestando deliberatamente i dettami della Costituzione. Non riuscendo a sconfiggere l’avversario nelle urne, la sinistra ha pensato bene di schierare dalla propria parte un manipolo di magistrati compiacenti. Sperando così di riuscire nel suo intento di governare l’Italia, stravolgendo ogni principio democratico. Questa è la cruda realtà. Realtà radicata in Italia già da diversi decenni, purtroppo. Speriamo che queste ultime vicende convincano tutte le forze politiche (specialmente quelle “con le mani in pasta”) del bisogno urgente di una seria riforma del sistema. A cominciare proprio dalla giustizia.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Terrorismo islamico e riscatti: l’Italia è sotto ricatto

Ave Socii

Perché in Italia non sono avvenuti (almeno finora) gli attentati terroristici verificatisi, invece, in altri Paesi a noi molto vicini? Un semplice favore del caso? O c’è dell’altro? Forse il nostro Paese fa comodo al terrorismo islamico in altro modo. Non come palcoscenico di attentati, ma di valori contrari alla democrazia, alla libertà e alla pace. Ne abbiamo avuto la prova in questi ultimi giorni, durante il rientro in Italia della giovane cooperante rapita in Kenya un anno e mezzo fa. Più o meno consciamente, con quella “passerella” abbiamo pubblicizzato una delle fazioni più feroci del terrorismo islamico.

Ovviamente è un bene che una ragazza poco più che ventenne sia tornata a casa. Quel che fa riflettere è la modalità con cui è stata riportata a casa. Si parla di un riscatto milionario. Il nostro Paese, giustamente, pone la vita al vertice della piramide dei diritti, così come tutti i Paesi occidentali. Chi di noi non sarebbe disposto a pagare qualsiasi cifra, pur di riavere indietro una vita umana? I terroristi questo lo sanno e, consci di impugnare il coltello dalla parte del manico, fanno leva sul nostro senso di impotenza per avere ciò che loro interessa.

L’Italia è solita risolvere rapimenti e simili eventi attraverso la pratica del riscatto. Se ciò, da una parte, è una forte garanzia di tutela della vita umana, dall’altra è pure un segnale di debolezza che inviamo all’estero. Segnale che il terrorismo islamico ha da tempo captato. C’è un altro modo per tutelare la vita umana, senza per forza cedere ai ricatti di soggetti senza scrupoli, la cui cultura spesso offende il diritto alla vita e la libertà delle persone? Sì, forse sì: chiedendo a chi invia persone in luoghi pericolosi, di assumersi le responsabilità delle sue scelte. D’altronde, se la nostra cultura difende la vita, difenderla dovrebbe essere compito di tutti. Non solo degli Stati, ma anche di una qualsiasi associazione umanitaria.

Quanto successo dimostra, invece, la totale subalternità della cultura occidentale (dell’Italia, perlomeno) alla cultura islamista più radicale. Con i soldi di quel riscatto, probabilmente il terrorismo finanzierà nuovi attacchi o attentati le cui vittime, un giorno, saremo costretti a piangere. Coi criminali non si tratta, soprattutto se a trattare deve essere uno Stato. Al massimo, se è proprio necessario trattare, la trattativa dovrebbe esser sostenuta da soggetti privati, come associazioni e simili. Nessuno può chiedere a degli inermi di “fare gli eroi”, se non ha i mezzi necessari per equipaggiarli in sicurezza. Specie in luoghi ostili alla cultura occidentale, impregnati dell’Islam più radicale.

Non raramente certe associazioni, ammantate di bei valori come il dialogo o l’integrazione, attirano giovani pieni di speranze ambizioni e ideali. Ebbene, se simili enti sono soliti predicare il dialogo e l’integrazione dei popoli, a maggior ragione dovrebbero farlo quando di mezzo ci sono diritti come la vita o la libertà. Motivo in più per renderle responsabili, appunto, della vita e della libertà dei loro “inviati”. Se i terroristi islamici vanno trattati “senza pregiudizi”, vadano loro a negoziare “senza pregiudizi” coi terroristi islamici. E senza scomodare gli Stati. Se poi non ne sono capaci, smettano di mentire a migliaia di giovani e ammettano una volta per tutte che l’integrazione con certe culture è impossibile.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Ripartenza fra tentativi di “normalità” e timori di nuovi contagi

Ave Socii

In tempi di coronavirus, persino sospendere alcuni diritti fondamentali è stato un attimo. Ovviamente in nome di un diritto al momento prevalente, come la tutela della salute. Molti si interrogano, e forse non hanno tutti i torti, se questa “privazione delle libertà” sia legittima. O se, al contrario, vi siano gli estremi per una violazione della Costituzione o, addirittura, le avvisaglie di una dittatura. E il governo accusato di prendere provvedimenti da regime, ironia della sorte, è lo stesso che diversi mesi fa nacque con l’intento di “evitare pericolose derive autoritarie”…

Detto questo, chiudere tutto è stato semplicissimo. Sarà altrettanto semplice riaprire? Certamente no. La ripartenza non è mai cosa semplice. Bisogna mantenere una visione a lungo termine del problema, evitare di procedere a tentoni, scegliere con ragionevolezza i criteri su cui basare la ripartenza stessa. In questa fase bisogna lasciare ampio margine di discrezione alle Regioni, o addirittura ai Comuni. Le decisioni prese a livello centrale, infatti, spesso non tengono conto delle esigenze dei singoli territori.

Ci sembra fuori dal mondo, ad esempio, costringere al blocco un Comune senza contagi da settimane, semplicemente perché la grande città capoluogo ha ancora almeno un caso di contagio. Far riprendere almeno la vita interna di quel Comune, controllando che nessuno vi entri o vi esca indiscriminatamente, ci pare un tantino più sensato. La ripartenza senza il coinvolgimento dei territori è impensabile e insostenibile, specie in un Paese vessato dalla burocrazia come il nostro.

Riaprire su base comunale, ancor prima che regionale, permetterebbe anche un più efficiente controllo dei contagi. I Comuni senza contagi da settimane non dovrebbero correre rischi se “lasciati liberi”. In caso di “imprevisti”, sarebbe comunque molto più facile circoscrivere il territorio di un piccolo Comune rispetto a quello di un’intera Regione. Per i Comuni più grandi, invece, si potrebbe riaprire sulla base di quartieri o municipalità. E’ evidente come la ripartenza sia un lavoro certosino. Non esauribile di certo con un provvedimento governativo. In realtà, già l’aver affidato al solo governo la chiusura dell’Italia (praticamente senza alcun passaggio parlamentare) si è rivelato piuttosto infelice…

In tutto ciò, dobbiamo tener conto anche dell’Europa. Non si sa, a dire il vero, se come ausilio o come intralcio. La ripartenza, secondo alcuni, non può non transitare per gli “aiuti europei”… Secondo altri, l’Europa finora ha solo perso tempo prezioso contribuendo ad aggravare la situazione… Per alcuni, bisogna attendere fiduciosi che l’Europa ci aiuti… Come se avessimo ancora del tempo da attendere, dopo circa tre mesi di emergenza… Per altri, la priorità è ridurre la burocrazia… Come se i governi, anche in passato, non avessero mai avuto questa “priorità”… Sappiamo cosa ne è stato di quelle belle parole, purtroppo…

L’auspicio è che la ripartenza venga gestita tenendo conto soprattutto delle istanze dei territori e delle categorie maggiormente in difficoltà. E che non si spacci per “prudenza” quel che spesso è solo inerzia o continuo rinvio. Nessuno pensi che si possa attendere ancora e “ripartire tutti insieme”. L’economia non aspetta. E l’Italia, con tutte le precauzioni, non vede l’ora di rimettersi in movimento.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Burocrazia, un muro che nemmeno il coronavirus è in grado di abbattere

Ave Socii

L’Italia è un Paese fantastico. Ha circa il 70% del patrimonio artistico-culturale del mondo ed è la culla della civiltà e delle arti occidentali. Per non parlare del “Made in Italy”. Proprio per questo alcuni Paesi, in Europa soprattutto, vorrebbero che l’Italia facesse la fine della Grecia: commissariata dalla Troika e acquistata a basso prezzo dalle banche estere, tedesche e francesi in primis. Pure la Cina, in realtà, vorrebbe intascare la propria quota parte. E noi italiani, che in questa fase abbiamo un potere contrattuale molto risicato, siamo costretti a indebitarci con le banche e con l’Unione Europea.

In questi giorni, la politica si interroga su quale sia lo strumento economico più adatto per affrontare il coronavirus. In un modo o nell’altro, per sopravvivere nel breve termine, saremo costretti a fare debito. Nuovo debito che andrà ad aggiungersi a quello già in essere. Che già è piuttosto alto, per l’Italia. Il timore è che, alla fine dei giochi, qualcuno in Europa solleverà il problema della sostenibilità del debito italiano. E allora giungerà implacabile il commissariamento da parte della Troika. Cosa accadrà dunque? Grecia docet!

Il coronavirus, questo esserino minuscolo e invisibile, sta mettendo a repentaglio le certezze finora acquisite dall’essere umano. Ma c’è una cosa, almeno qui in Italia, che il virus non è ancora riuscito minimamente a scalfire: la burocrazia. Nonostante tutti i proclami e le risorse stanziate, le lungaggini e le procedure continuano ad essere più forti del COVID-19. E’ ormai del tutto evidente che i burocrati vivono campando sui problemi della gente. Altrimenti, almeno in tempi di pandemia, si sarebbero fatti da parte e sarebbero “rimasti a casa” come tutti noi comuni mortali. Cos’altro ci vuole, per abbattere la burocrazia?

In altri Paesi del mondo, i governi hanno stanziato fondi trasformatisi in pochi giorni in denaro sonante per famiglie e imprese. Qui in Italia siamo rimasti ai proclami, mentre la gente letteralmente “inizia a morire di fame”. Le risorse necessarie, in realtà, ci sarebbero pure. E senza ricorrere a ulteriori finanziamenti europei o simili. Sono nascoste, appunto, tra le maglie della burocrazia, delle procedure, delle carte… Se si riducesse la burocrazia a monte e si facessero più controlli a valle, probabilmente si darebbe uno stimolo non indifferente all’economia nazionale. E si eviterebbero quei “lacci e lacciuoli” che troppo spesso ingessano l’Italia rendendola un Paese debole e poco competitivo in confronto ad altri Stati nel mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Uomo al centro del mondo: un progetto destinato a fallire

Ave Socii

L’umanesimo inteso come esaltazione delle capacità dell’uomo… Come metodo di governo del mondo… Talvolta come vera e propria filosofia di vita… Mettere l’uomo al centro di tutto… L’uomo come origine e fine di ogni azione… Un sistema del genere vige nei momenti “di euforia” della Storia dell’umanità. Vige ai tempi di Hammurabi, parlando dell’Antica Babilonia. Vige ai tempi di Cheope, parlando dell’Antico Egitto. Vige ai tempi di Aristotele, parlando dell’Antica Grecia. Vige ai tempi di Augusto, parlando dell’Antica Roma. Vige ai tempi di Leonardo, parlando del Rinascimento. Vige ai tempi di Voltaire, parlando dell’Illuminismo. Probabilmente vigeva fino a qualche settimana fa, parlando del mondo aperto e globalizzato.

La Storia dell’uomo oscilla alla stregua di un pendolo. Da epoche di euforia si passa ad epoche di riflessione e, talvolta, di vera e propria depressione o sfiducia nelle capacità umane. E viceversa. Il momento che stiamo attraversando potrebbe costituire uno di questi momenti di passaggio. Se l’uomo, con le capacità di cui è dotato, non riuscirà a fronteggiare con successo gli effetti del coronavirus, si incamminerà verso un sentiero di sfiducia verso se stesso e la propria identità. Questo è, pertanto, uno di quei momenti in cui l’uomo può fare la Storia. La propria Storia.

L’umanesimo, nelle fasi “euforiche” della Storia, tende a diffondersi e dilagare in tutti gli ambiti. Scienza, economia, medicina, persino religione… Grazie alla visione “umanistica”, tutto magicamente diviene “a misura d’uomo”. Tutto è a servizio dell’umanità, perfino Dio. E talvolta ci convinciamo che tutto sia, in un modo o nell’altro, dovuto e lecito. Ma le conquiste umane, nella Storia, hanno spesso significato sacrifici e perdite. Non c’è nulla di così scontato. Nulla di così certo. Nulla di così sicuro e incrollabile. La “fede nell’umanità” non può durare per sempre. E forse in questi giorni difficili lo stiamo comprendendo meglio. E’ bastata qualche settimana e un essere invisibile, tale COVID-19, per mettere in discussione valori di cui nessuno avrebbe mai osato dubitare.

Globalizzazione, valori universali, caduta dei muri, abbandono dei pregiudizi, integrazione… Chiunque, solo qualche settimana fa, si fosse proclamato contrario a queste idee sarebbe rimasto relegato ai margini della Storia. Oggi la situazione è un po’ diversa. Solo qualche settimana fa i giovani riempivano le piazze per sposare la causa ambientalista… Altro frutto, neanche a dirlo, di un’umanità “in preda all’euforia”. Perché non c’è altra definizione per un’umanità che ha modo e tempo di pensare ai “diritti dell’ambiente”. Un’umanità abituata alla liberalizzazione di qualsiasi cosa… Al fatto che qualsiasi cosa sia possibile… Al fatto che non esistano limiti… Poi è arrivato il virus. E l’umanità ha dovuto risvegliarsi dal suo dolce torpore, correndo il serio rischio di piombare in una voragine di depressione collettiva.

Potrebbe anche darsi che, dopo la scoperta di un vaccino, tutto quanto ritornerà come prima. Certo, pure se ne uscirà vincitrice l’umanità non potrà dimenticare facilmente questa esperienza. L’autoconvinzione del proprio senso di onnipotenza ha reso l’umanità cieca dinanzi alla portata dell’ignoto. La fede illimitata nell’uomo ci ha fatto sottovalutare l’eventualità di pericoli inattesi. Forse questo potrà essere il tempo giusto per ritornare ad una fede autentica. Una fede basata non sulle capacità umane, fragili e limitate come abbiamo visto, ma su una riscoperta sincera del Mistero e del Regno di Dio. Magari attraverso una più approfondita lettura del Vangelo, libro che forse varrebbe la pena rivalutare e meditare. Perché se l’uomo può forse governare ciò che gli è noto, ciò che gli è ignoto può affrontarlo solo con l’aiuto di Dio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Globalizzazione agli sgoccioli, il mondo volta pagina (forse)

Ave Socii

Il momento che stiamo vivendo entrerà di diritto tra gli accadimenti principali della Storia. Costituirà lo spartiacque tra due distinte fasi, quella del mondo globalizzato e quella che è ancora tutta da scrivere. Decenni e decenni a elogiare e decantare le meraviglie della globalizzazione (che pure esistono, sotto certi aspetti)… L’uomo ha corso, ha corso con una velocità inimmaginabile durante questo tempo. Ma forse è giunto il momento di fermarsi. Fermarsi e riconoscere che l’uomo, nonostante la sua grandezza e le sue conquiste, può sempre venir fermato da un essere minuscolo e invisibile come un virus.

Dopo che la pandemia sarà passata, forse nulla sarà più come prima. Se solo i fautori della globalizzazione avessero pensato a come difendere l’uomo dagli effetti negativi della globalizzazione stessa, probabilmente ora non saremmo arrivati a questo punto. L’Unione Europea, il risultato forse più ardito della teoria globalista, rischia di collassare sotto la sua stessa insensatezza. Nonostante il coronavirus stia flagellando buona parte del Vecchio Continente, l’Europa esita a parlare con una sola voce. E le voci sovraniste si fanno sempre più forti.

Sarà davvero ricordato come un punto di svolta, il momento che stiamo ora vivendo? Oppure i suoi effetti si smorzeranno dopo poco tempo, consentendoci di ritornare “dove eravamo prima” come se nulla fosse mai accaduto? Difficile prevederlo. Sicuramente saremo influenzati nel breve periodo, visto che dal punto di vista economico tutto il mondo dovrà “risalire la china”. E dal punto di vista sociale? Ora dobbiamo evitare di stare vicini, di abbracciarci, di viaggiare… Ci porteremo dietro tutto questo? Avremo paura anche in futuro ad avvicinarci agli altri? Oppure riprenderemo i nostri contatti come se nulla fosse?

Paradossalmente, se da un lato la globalizzazione ha portato ad una maggior tendenza a sentirci “cittadini del mondo”, dall’altro ha anche ampliato la nostra solitudine in quanto, molto spesso, la globalizzazione si realizza all’interno delle reti (e non nella realtà). Sarà interessante capire come il coronavirus influenzerà le nostre vite in un futuro prossimo ma anche più remoto. Chissà, forse le relazioni virtuali si potenzieranno a scapito di quelle reali e il nostro senso di solitudine si acuirà.

La “mitizzazione dell’individuo”, propugnata proprio dalla dottrina della globalizzazione, potrebbe dunque uscirne sorprendentemente rafforzata. E dunque, lungi dal costituirne il “canto del cigno”, l’esperienza del coronavirus potrebbe fornire al globalismo uno slancio inaspettato e pericoloso al tempo stesso. Tagliando tutti i ponti reali all’individuo, questi può vivere unicamente grazie alle reti virtuali. Ma le esperienze virtuali possono essere controllate, a differenza delle nostre esperienze reali. Questo ci renderà persone insicure, senza fondamenta, dunque estremamente influenzabili e manipolabili…

Ovviamente questa “dittatura del virtuale sul reale” costituisce un evento estremo, un’immagine puramente teorica. Probabilmente non accadrà una cosa tanto radicale, ma è pur sempre opportuno rifletterci. Tale dittatura potrebbe sempre istaurarsi, anche in misura più blanda e subdola. Perciò vale la pena, in questo tempi di “meditazione”, riscoprire alcuni valori propri della nostra cultura. Valori che, qualora accada quanto prospettato, possano svegliare in noi gli anticorpi necessari a proteggerci dall’individualismo selvaggio e dall’egualitarismo illimitato.

La riscoperta delle sovranità nazionali potrebbe essere l’arma giusta per affrontare simili derive globaliste. Essere sovranisti significa, in primo luogo, proteggere i valori che accomunano i membri di una Nazione e preferirli ai valori propri di un’altra Nazione. Solo riscoprendo le sovranità nazionali potremo evitare qualsiasi deriva verso il mondialismo sfrenato e la “cultura unica”. Perché la cultura è, anzitutto, ciò che rende gli uomini differenti e molteplici.

Vostro affezionatissimo PennaNera